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Le tante facce del Wunderkind d'Austria

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Dalle alleanze spericolate al caos sui vaccini. Indagine sul ragazzo prodigio oggi “adulto problematico”,  partendo da una domanda: chi è Sebastian Kurz?

Il governo austriaco di Sebastian Kurz ha deciso di issare la bandiera di Israele sul tetto del palazzo della cancelleria di fianco a quella austriaca e a quella europea per esprimere solidarietà allo stato ebraico contro “gli attacchi terroristici” di Hamas da condannare “nel modo più forte possibile”, ha twittato Kurz. Poco dopo, l’Austria ha definito ufficialmente il partito libanese Hezbollah, il Partito di Dio, un gruppo terroristico vietando la sua bandiera e rompendo così la dicotomia tra l’ala politica e l’ala militare di Hezbollah. Le reazioni non si sono fatte attendere: il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, in tour in Europa (è stato anche in Vaticano e dal suo collega italiano, Luigi Di Maio), ha annullato la tappa viennese in protesta contro la bandiera e il presidente turco,  Recep Tayyip Erdogan, ha detto: “Condanno l’Austria per aver issato la bandiera dello stato terroristico di Israele. Sembra che l’Austria voglia far pagare ai musulmani il prezzo del proprio ruolo nell’Olocausto”. Resul Yigit, membro dell’Övp, il Partito popolare austriaco di Kurz, è stato espulso dopo aver postato sul proprio profilo facebook una bandiera palestinese e lo slogan “free Palestine”. La posizione dell’Austria è risuonata forte in Europa, è stata emulata in altre parti, e ha segnalato quanto si sia ridotto, nell’Unione europea, il campo pro palestinese. Ha anche acceso i riflettori sulla leadership di Sebastian Kurz, trentatreenne cancelliere che ha già attraversato molte crisi, che è di nuovo dentro a un’altra, e che porta addosso l’etichetta di Wunderkind, pesante e promettente al tempo stesso, non soltanto per lui e per le sue ambizioni, ma anche per le prospettive della destra europea, dei suoi equilibri e delle sue alleanze. Kurz ha preso la guida del Partito popolare austriaco nel 2017, ha vinto le elezioni cinque mesi dopo, è stato sfiduciato dal Parlamento nel maggio del 2019 a causa di uno scandalo che ha coinvolto il partito di coalizione, l’Fpö di estrema destra (lo scandalo è noto come l’Ibizagate), ha rivinto le elezioni quattro mesi dopo e dal gennaio del 2020 guida un governo politicamente innovativo con i Verdi austriaci. Da quando questo trentenne di Vienna che non ha finito l’università (studiava legge) per fare politica, che ha conosciuto la sua compagna Suzanne quando aveva 16 anni e non l’ha più lasciata, che ha l’ambizione dipinta in faccia ma anche la volontà di rifondare il conservatorismo europeo, è diventato il più giovane cancelliere della storia austriaca, tutti si sono chiesti: chi è Sebastian Kurz? O meglio: ci è o ci fa? Abbiamo provato a dare una risposta.

 


Il Ppe oggi è molto deluso dal cancelliere conservatore ma la coalizione con i Verdi racconta diverse cose rilevanti per l’Ue


 

Cosa dice la biografa. Cosa è rimasto in questi giorni di critiche  del Wunderkind,  del primo millennial diventato cancelliere lo abbiamo chiesto a Barbara Tóth, che assieme a Nina Horaczek ha scritto una delle prime biografie sul cancelliere, il cui titolo è una domanda: “Sebastian Kurz è il nuovo bambino prodigio?”. “Del Wunderkind – ci dice Tóth – non è rimasto nulla. Kurz è diventato un adulto problematico, è sbarcato nella vita reale e la sua immagine ormai si è rotta”. Non sono state le alleanze politiche a far male all’immagine di Kurz, che tuttavia in Austria rimane tra i politici più popolari. A scalfire la sua faccia da premier giovane e sperimentatore sono soprattutto gli ultimi scandali, quelli che da mesi sconvolgono il suo partito, fino ad arrivare all’ultimo: le sue presunte bugie sull’Ibizagate.  Prima con l’estrema destra dell’Fpö, poi con i Grünen, protagonisti di quell’onda verde responsabile che interessa soprattutto Germania e Austria, Kurz ha dimostrato di avere  “un’abilità strabiliante nel trasformarsi, nel cambiare posizione. Politicamente questo lo ha aiutato e lo aiuterà in futuro”. Il suo obiettivo, ci dice Barbara Tóth, è il potere, ma questo suo approccio fluido alle alleanze politiche ha destato molto interesse in Europa, e il modello Kurz, soprattutto la sua abilità nel ridurre il peso dell’estrema destra, è stato fonte di ispirazione, il segno che per annientare i barbari fosse necessario prima romanizzarli.  Si pensava che le vicende di Kurz e le sue manovre spericolate potessero essere importate anche in Europa. Ma se il cancelliere aveva sedotto gli europei, in questi mesi, soprattutto a causa degli attacchi alla campagna di vaccinazione, ha “perso la sua reputazione, ha agito da egoista”. Il risultato è che piace meno, ha irritato molti alleati e il numero di persone che lo vede come modello si è ristretto. In Austria però continua ad andare bene nei sondaggi, l’Övp è al 35 per cento, ha perso punti, ma rimane il primo partito. Ed è chiaro, ci dice la sua biografa, che è pronto a buttarsi sul vittimismo. “Circolano già degli slogan ufficiosi per delle eventuali elezioni anticipate. I popolari sono pronti a puntare sul ‘non lasceremo che ci tolgano Kurz’. Ma se dovesse vincere, cosa che sembra piuttosto probabile, chi vorrà questa volta formare una coalizione con lui?”. Forse di nuovo l’Fpö, che alle elezioni del 2019, nonostante fosse stata rinnegata, nonostante gli scandali, durante la campagna elettorale non faceva altro che corteggiare il Wunderkind. Gli spot erano dichiarazioni di amore e pentimento. Ma “il partito di estrema destra si sta riprendendo nei sondaggi” dopo l’11 per cento di un anno fa. Ora è al 17, “ha saputo sfruttare la pandemia,  Kurz non ha annientato  l’Fpö”. Finora il cancelliere ha polarizzato il dibattito su di lui in Austria e da una parte ci sono i suoi sostenitori, “per i quali è un eroe, un giovane leader intelligente”. Dall’altra ci sono i suoi critici che lo identificano “come un populista di destra che condurrà l’Austria verso l’orbanismo”. Ma se Kurz non è più un Wunderkind, ci assicura Tóth, non vuol dire che sarà una meteora della politica austriaca, anzi “le sue tracce si vedono già, con lui è finita la seconda repubblica, nata nel 1945”. 

 

Le aspettative deluse del Ppe. Come ci ha raccontato Barbara Tóth, c’è stato un momento in cui Sebastian Kurz era considerato come il futuro del Partito popolare europeo, una leadership diversa e per molti aspetti alternativa a quella esercitata da Angela Merkel negli ultimi sedici anni, ma che avrebbe garantito la prosperità della principale famiglia politica dell’Ue. Correva l’anno 2017 e il giovane Kurz, ad appena 30 anni, aveva appena preso la presidenza del Partito popolare austriaco (Övp), dopo essersi fatto le ossa come ministro degli Esteri di un governo di grande coalizione con i socialdemocratici per quattro anni. Era il 14 maggio e mancavano solo cinque mesi alle elezioni legislative. Subito Kurz trasformò l’Övp nella “Lista Sebastian Kurz –  Il nuovo Partito popolare”, presentando un programma in tre punti: tagli di tasse, istruzione obbligatoria e ordine e sicurezza. In poche settimane decollò nei sondaggi, ottenne il 31,5 per cento il giorno del voto (il 7,5 per cento in più delle elezioni del 2013), superò i socialdemocratici della Spö e fu così che le porte della cancelleria di Vienna si aprirono a Kurz. Agli occhi del Ppe fece un miracolo ben più importante: Kurz era riuscito a contenere l’avanzata dell’estrema destra della Fpö, che prima del suo arrivo alla testa dell’Övp dominava  nei sondaggi con speranze molto serie di arrivare alla cancelleria. Non contento Kurz snobbò da subito i socialdemocratici per compiere una scelta che era già costata all’Austria sanzioni nel 2000, quando l’allora cancelliere Wolfgang Schüssel si alleò con Jörg Haider: formare una coalizione con la Fpö, portando al potere come vice-cancelliere Heinz-Christian Strache. In un colpo solo tutti i parametri della politica europea erano cambiati. La conventio ad excludendum per l’estrema destra era finita, così come l’inevitabilità delle grandi coalizioni nei sistemi elettorali proporzionali. Per il Ppe si apriva la prospettiva di un riposizionamento a destra, cosa che una parte della famiglia conservatrice (in particolare la Csu bavarese e il Pp spagnolo) chiedeva con forza dopo la crisi del debito sovrano e quella dei migranti. Così Kurz era diventato il Wunderkind, il ragazzo prodigio, del Ppe. Giovane, di bellezza ariana, europeista a parole, sempre pronto a rivendicare gli interessi nazionali (e a sgarrare alle regole in caso di necessità), promotore dei valori cristiani contro l’invasione dei migranti e il pericolo del terrorismo (cioè l’islam): Kurz incarnava e continua a incarnare una certa idea della destra, rispettabile ma politicamente scorretta, capace di sentire la pancia degli elettori e a volte pure di stuzzicarla.  Nell’èra del populismo, per il Ppe costituiva un modello, che poi è stato copiato da altri membri della famiglia: Pablo Casado in Spagna, Andrej Plenkovic in Croazia, i Républicains in Francia. Anche a Berlino stava arrivando una nuova generazione di leader della Cdu più spregiudicata e più a destra di Merkel, come Annegret Kramp-Karrenbauer e Jens Spahn. Kurz non aveva mai nascosto le sue ambizioni di essere un attore di primo piano dentro al Ppe e nella politica europea. Da ministro degli Esteri aveva coltivato le sue relazioni politiche e personali e da cancelliere le ha fatte fruttare. Così, all’avvicinarsi della scadenza delle elezioni europee del 2019, Kurz si è messo in testa l’idea di poter trasformarsi da Wunderkind austriaco in kingmaker dell’Ue. Il cancelliere austriaco è stato tra i promotori e più forti sostenitori della nomina del bavarese Manfred Weber come candidato del Ppe per la presidenza della Commissione. “E’ stato Sebastian a darmi il segnale”, ha ammesso in passato lo stesso Weber. In campagna elettorale, i due hanno fatto comizi insieme, con Weber che elogiava “lo spirito giovane” e “le nuove idee” di Kurz che era stato capace di “riconquistare la fiducia della gente”. Se l’operazione fosse riuscita, Kurz sarebbe diventato uno dei leader nazionali più influenti a Bruxelles. E invece la campagna di Weber si è conclusa miseramente, con i capi di stato e di governo che hanno spazzato via il sistema degli Spitzenkandidaten (i candidati capolista), scegliendo Ursula von der Leyen come nuova presidente della Commissione. E da lì sono iniziati i problemi europei di Kurz, peggiorati durante la pandemia.  

 

I capricci sul Recovery. E’ stato Kurz il primo a chiudere le frontiere dell’Europa per il Covid-19, quando si è messo a bloccare treni al Brennero per impedire che il virus arrivasse dall’Italia. In realtà – come gli hanno fatto notare in privato diversi altri leader dell'Ue – il Covid-19 era già in Austria e la località sciistica di Ischgl è stata il principale focolaio da cui si è diffuso nel resto d’Europa. Kurz ha negato, ha reagito indignato e poi è successo di nuovo con la seconda ondata, quando il Tirolo è diventato il principale focolaio della variante inglese per la decisione del suo governo di tenere aperti gli impianti da sci anche agli stranieri. Durante i negoziati sul Recovery fund si è schierato con i quattro frugali, ha rigettato le proposte iniziali, ha cercato di limitare lo strumento ai prestiti, ha insistito per imporre condizioni più dure. Ma la catastrofe in termini di immagine in Europa (e di relazioni con gli altri leader) è arrivata sui vaccini.

 


La biografa di Kurz ci spiega la trasformazione di questa leadership e perché non sarà affatto una meteora



I capricci sui vaccini. Kurz è stata la voce più autorevole nel mettere in discussione la strategia dell’Ue sui vaccini. Prima è volato in Israele annunciando un’alleanza per la produzione dei vaccini di nuova generazione e l’uscita dell’Austria dalla strategia europea. Poi ha criticato l’Agenzia europea dei medicinali perché troppo lenta e denunciato un “bazar” delle dosi. Successivamente ha annunciato un accordo con la Russia per la fornitura di Sputnik V (che non si è ancora concretizzata). Infine si è messo alla testa di un gruppo di paesi (Croazia, Bulgaria, Lettonia, Repubblica ceca e Slovenia) che volevano le dosi degli altri stati membri perché avevano sbagliato gli ordini. Il fatto è che l’Austria a marzo era in ritardo nelle somministrazioni a causa del suo sistema decentrato. Soprattutto sulla stampa locale c’erano polemiche per il fatto che  avesse comprato meno dosi di quante ne avesse diritto sulla base degli acquisti dell’Ue: 1,5 milioni in meno di Johnson & Johnson e 100 mila in meno di Pfizer-BioNTech. Con il taglio delle forniture di AstraZeneca (da 300 a 120 milioni nel primo semestre) la campagna di vaccinazione di Kurz era in serio pericolo. Nel panico il cancelliere ha preso in ostaggio l’Ue mettendo il veto a un accordo per la ridistribuzione delle dosi per i paesi più svantaggiati, perché l’Austria non ne avrebbe ottenute di più. Poi ha tenuto i leader bloccati in una lunga discussione al Consiglio europeo di marzo sullo stesso tema. Alla fine è stata Angela Merkel a dirgli di farla finita. Si ritirerà a fine anno, ma Merkel rimane la leader più autorevole dell’Ue, e non sopporta i capricci.

Gli scandali. L’Ibizagate, scoppiato nel 2017, coinvolgeva l’allora vicecancelliere  Heinz-Christian Strache, leader dell’estrema destra, ma Kurz ne pagò le conseguenze. Il video dello scandalo mostrava Strache e un suo vice in un appartamento a Ibiza che promettevano alla figlia presunta di un oligarca russo appalti in cambio di finanziamenti. Kurz licenziò dal suo governo gli esponenti dell’Fpö, ma non fu sufficiente, perse il voto di sfiducia al Parlamento e dovette dimettersi. Alle elezioni di pochi mesi dopo, l’Fpö perse molti consensi, Kurz no e tornò cancelliere. Ora i rivoli di quello scandalo si rifanno sentire, perché è stata aperta un’inchiesta sulle dichiarazioni di Kurz alla commissione parlamentare che indagava sull’Ibizagate: ci sarebbero delle incongruenze in quel che Kurz aveva detto e in quel che invece sapeva. Il cancelliere ha dichiarato che, comunque vada l’inchiesta, non intende dimettersi. Ma è il sistema di potere creato da Kurz a creare maggiore scandalo ancor più dopo che sono stati pubblicati dei messaggi scritti e ricevuti dal cancelliere (maledetti screenshot) che non rivelano nulla se non una grande sfrontatezza tanto che ora la cancelleria è chiamata “House of Kurz”, e i detrattori dicono che sta andando a fuoco. 


La coalizione turchese-verde. Kurz ha cambiato il colore del Partito popolare austriaco, da nero a turchese – durante la sua prima campagna elettorale molto rampante distribuiva per le città preservativi neri come l’Övp –  è stata un’operazione   importante per creare un nuovo stile che ha trovato il suo coronamento quando Kurz, dopo l’alleanza con l’Fpö, è riuscito a fare una coalizione  con i Verdi, sorprendentemente passati dal 4 al 14 per cento grazie alla leadership di Werner Kogler. Kurz non sembra molto interessato a intestarsi le battaglie ambientali e ha lasciato ai Grünen ministeri importanti per la loro causa come clima e trasporti. Le trattative sono state lunghissime, ma Kurz è riuscito a convincere i compagni di coalizione,  che  oggi cercano di far valere la loro presenza al governo negli obiettivi che contano. Finora sembra un matrimonio ben organizzato, ognuno ha i propri compiti, è tutto diviso con rigore e nessuno dei due partiti interferisce negli affari dell’altro. Kogler è l’opposto di Kurz, parla il minimo indispensabile ed è tornato alla guida dei Verdi dopo un periodo in cui i più giovani del partito si erano messi in testa di fare una rottamazione, che ebbe come conseguenza delle elezioni disastrose che lasciarono il partito fuori dal Parlamento. Ci pensò Kogler a rimettere a posto le cose e per ora non sembra neppure far caso  agli scandali del cancelliere, a lui interessa la tenuta del governo. La maturità dei Verdi austriaci è molto simile a quella dei tedeschi, che sono diventati un’alternativa moderata molto attraente: il governo Kurz mostra proprio la strada per una convivenza con i Verdi molto diversa rispetto al passato.
  


Ieri a Vienna hanno riaperto  bar e ristoranti, e Kurz e Kogler sono andati prima in una birreria poi a pranzare in un locale nel più grande parco di Vienna, il Prater. Tra loro non c’era il minimo segno di tensione. Sarà che sono tipi pragmatici, sarà che Kogler è abituato a dover badare ai danni dei colleghi più giovani, sarà il fascino della nuova normalità o quello della primavera viennese. Ci sarebbe piaciuto osservare la scena dalla ruota panoramica gigante del Prater. E’ alta 60 metri, è stata costruita per il cinquantesimo anniversario dell’incoronazione di Francesco Giuseppe  I. Ne ha viste tantissime, è sopravvissuta alla Prima guerra mondiale, alla Seconda, e ai bombardamenti. Sicuramente le fiamme della House of Kurz la interesseranno poco, ma forse lei l’ha vista, lei lo sa, qual è la vera faccia di Sebastian Kurz.


(ha collaborato David Carretta)

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