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Il modello portoghese è capovolgere le aspettative

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Il governo di Antonio Costa prende la prima bella pagella dell’Ue sul Recovery plan. Storia di una leadership che sa come far volare “un trabiccolo”

Ursula von der Leyen ha iniziato il suo “NextGenerationEU tour” da Lisbona, e ha consegnato  nelle mani del primo ministro, Antonio Costa, la valutazione della Commissione sul piano nazionale di ripresa e resilienza del Portogallo. La scelta è simbolica. “Non è un caso”, ha detto von der Leyen durante la conferenza stampa insieme a Costa. Il Portogallo non è solo il paese che per primo ha presentato il suo piano di Recovery. Non solo ha la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue. E’  soprattutto una delle storie di successo della crisi del debito sovrano della zona euro di dieci anni fa.    Con l’arrivo di Costa al governo c’è stata una correzione di rotta sulle misure del piano di salvataggio per  allentare l’impatto sociale, senza rotture o scontri come avvenuto con la Grecia nel 2015. Per certi aspetti il modello Costa può addirittura essere considerato come l’ispiratore del  NextGenerationEU. Il principio non è più quello del periodo 2010-12, quando i creditori imponevano le condizioni per fornire i loro prestiti ai paesi in difficoltà. Adesso  le riforme sono proposte dalle capitali nazionali sulla base delle loro esigenze e concordate con Bruxelles.  Il giudizio della Commissione sul piano   del Portogallo è ovviamente positivo. “Non ci sono dubbi che trasformerà profondamente l’economia portoghese”, ha detto von der Leyen. La pagella  è ottima: 10  “A” su 11 indicatori e nessuna “C”. L’unica “B” riguarda il capitolo dei costi. E’  la stessa pagella  della Spagna, il secondo paese ad aver ricevuto  la visita di von der Leyen  (rassicuratevi: all’Italia tocca martedì 22 giugno).

 

Il modello Costa può essere considerato l’ispiratore del NextGenerationEu: le riforme partono dalle capitali

 
 
Il Recovery plan. Il piano portoghese prevede 115 misure: 32 riforme strutturali e 83 investimenti che saranno finanziati con le sovvenzioni e i prestiti del Recovery fund. Il 38 per cento dei fondi andrà alla transizione ambientale. Il 22 per cento alla transizione digitale . Sul fronte delle riforme strutturali, il Recovery fund servirà a capitalizzare le imprese sane colpite dalla crisi del Covid-19, creare una banca promozionale nazionale, modernizzare la giustizia, riformare le procedure per i fallimenti, liberalizzare le professioni regolamentate.   Lisbona riceverà 13,9 miliardi di sovvenzioni e 2,7 miliardi di prestiti fino al 2026. Ma a condizione di rispettare tutti i “target” e le “milestone” contenute nel piano. “Non è la fine del viaggio. Il lavoro difficile inizia ora”, ha ricordato von der Leyen. Tra gli impegni da rispettare c’è anche il capitolo (più doloroso) della sostenibilità del debito pubblico. Ma la Commissione è stata generosa: le riforme per rendere le finanze pubbliche del Portogallo sostenibili dovranno essere realizzate entro il 2025, cioè alla fine del periodo di finanziamento. Nel frattempo, secondo le stime della stessa Commissione, l’impatto diretto sul pil portoghese degli investimenti del Recovery fund dovrebbe raggiungere il 2,4 per cento nel 2024. A questo si dovrebbe sommare l’impatto delle riforme strutturali. “C’è molto lavoro da fare”, ha detto von der Leyen, consegnando il giudizio della Commissione sul piano portoghese nelle mani del premier. “Adesso posso andare in banca?”, ha chiesto Costa tutto sorridente. “Ora puoi andare in banca”, ha risposto von der Leyen. Sempre che i frugali non decidano di rovinare la festa, iniziando a cercare i difetti  durante il mese  che  i governi  avranno per dire sì o no a ciascun piano nazionale di ripresa e resilienza.

 
La presidenza Covid. Il semestre europeo del Portogallo sta per concludersi  con una lieve  amarezza. Un po’ perché  era partito svantaggiato sin dall’inizio:  prendere il testimone della presidenza del Consiglio dell’Unione europea dopo Angela Merkel non è stato semplice.  Un po’ perché la presidenza era stata impostata come se la pandemia dovesse essere già alle spalle, e invece, il Portogallo, nella pandemia, ci si è trovato in mezzo. Le sue priorità annunciate prima dell’inizio del semestre erano tre: la ripresa grazie alle transizioni climatica e digitale, l’attuazione del pilastro sociale dell’Ue e il rafforzamento dell’autonomia strategica. Quasi tutto  è finito in secondo piano, perché il Portogallo, così come l’Europa, è rimasto appeso al coronavirus. Eppure Lisbona le buone intenzioni ce le aveva messe tutte, voleva che la sua fosse una presidenza ospitale, calorosa, concreta, da ricordare. I paesi europei più piccoli puntano molto sul semestre europeo, è il loro biglietto da visita, e non capita spesso di averlo tra le mani e poterlo dare a tutti i paesi che contano di più. Il governo è stato criticato molto per le spese. Aveva sognato vertici appariscenti, ma nulla o quasi si è tenuto di persona e gli oltre 260 mila euro spesi per attrezzare un nuovo centro stampa a Lisbona sono finiti nel nulla. Il centro è stato allestito, ma i giornalisti,  portoghesi e  internazionali, non ci sono andati. E non è finita qui, perché altri 35 mila euro sono stati pagati a un’azienda  per rifocillare  ospiti che non si sono mai presentati  e 39 mila per acquistare 360 camicie e 180 abiti nuovi per gli autisti che avrebbero dovuto accogliere  delegazioni mai arrivate. Il Portogallo aveva molta voglia di normalità, e lo si è visto anche quando ha organizzato il summit sociale di Porto, che sarebbe dovuto essere l’appuntamento più importante della presidenza,  in cui dare nuovo impeto all’idea dell’Europa sociale. A gennaio, il premier Antonia Costa aveva detto: “Abbiamo bisogno di un impegno comune per rendere il pilastro europeo dei diritti sociali una realtà (...) la dimensione sociale dell’Ue è assolutamente la  chiave per garantire che la doppia transizione di cui le nostre società hanno bisogno (climatica e digitale) sia equa e inclusiva”. Il summit di Porto era l’occasione perfetta, ma undici paesi, fieri delle proprie politiche sociali e che non avevano intenzione  di trasferire ulteriori competenze a Bruxelles, hanno bloccato l’iniziativa. Erano: Austria, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Paesi Bassi e Svezia. Il sole, logo della presidenza portoghese, lascerà il posto alle montagne di quella slovena. Altri sei mesi, altre sfide, e qualche grattacapo in più per l’Ue: al posto dell’europeissimo Costa, arriva lo scettico Janez Jansa, e qualcuno, a est, è molto contento. 

 

Il premier concreto. Quando Costa prese il potere, nel 2015, il suo governo tutto a sinistra si ritrovò subito appiccicato addosso un soprannome: “geringonça”, che vuol dire trabiccolo, un aggeggio che non può stare insieme, figurarsi se può funzionare. Quattro anni dopo, Costa vinse le elezioni con un consenso più grande, avendo reso il trabiccolo più a sinistra dell’Unione europea un governo funzionante, moderato, pragmatico, determinato, persino gentile se è vero che quando si parla di Costa, nei corridoi europei, il suo sorriso è sempre tra le cose più citate. Sessant’anni a luglio (è nato il 17, come Angela Merkel), padre scrittore di origini indiane, madre giornalista, un’unica moglie da trent’anni e il Partito socialista nel cuore da quando era al liceo, Costa ha trovato la sintesi tra conti in ordine come-chiede-l’Europa e spese necessarie per sostenere i redditi più bassi. Dopo aver accettato le imposizioni europee nella stagione della crisi del  debito, e averle colorite di buon senso e visione, nel 2017 il governo Costa ha registrato il più basso livello di deficit degli ultimi quarant’anni, ha ritrovato investitori internazionali, la fiducia è cresciuta e così si è consolidata la spirale positiva. Il Portogallo è riuscito ad aumentare il salario minimo, abbassare la disoccupazione, eliminare quasi del tutto il deficit e nel contempo mantenere una buona relazione con Bruxelles: è un’esperienza unica, se si pensa che Costa non ha nemmeno dovuto pagare un prezzo personale come è accaduto, per dire, a Tsipras in Grecia. Il Portogallo ha mostrato che le finanze possono migliorare insieme al tenore di vita dei cittadini e che obbedire all’Ue non vuol dire soltanto mettersi il muso lungo dell’austerità e subire le riforme come una punizione. L’effetto è benefico: non c’è populismo in Portogallo, o meglio c’è ma non si è creato seguendo lo stesso percorso degli altri partiti populisti in Europa. E’ stata la pandemia e non l’euroscetticismo come altrove a far emergere il partito di estrema destra Chega, che vuol dire “Basta”,  e che a oggi ha un unico deputato in Parlamento. Chega è il risultato, secondo molti, più della debolezza degli altri partiti di destra moderata che di un’ascesa del populismo in sé e questo è un altro effetto della leadership di Costa. Il premier ha instaurato un dialogo molto costruttivo con il presidente, Marcelo Rebelo de Sousa o semplicemente “Marcelo”, come lo chiamano i portoghesi, che è di centrodestra: i due si conoscono da sempre, Marcelo era professore di diritto all’università di Costa, e pur partendo da mondi politici lontani hanno creato una sinergia politica che gli entusiasti definiscono “miracolosa”. Da sinistra, Costa ha fatto quello che la Merkel in Germania ha fatto da destra: un assembramento moderato. Con i conti in ordine per di più, una roba da sogno, ancor più per i partiti di sinistra che soffrono e s’arrabattono in buona parte dell’Unione europea, e pagherebbero a peso d’oro quel trabiccolo su cui nessuno avrebbe scommesso un euro. E naturalmente questo leader concreto e bravo nelle mediazioni ha ambizioni oltre i confini del suo paese: si dice che punti al posto di presidente del Consiglio europeo.  

 

Un governo tutto a sinistra che pareva destinato a non durare è ora un punto di riferimento. E  s’è fatto ambizioso

 

La potenza del mare. Scherzano ma nemmeno troppo i portoghesi quando dicono che vogliono essere ancora una volta il trampolino tra il continente europeo e il resto del mondo, come accadeva quando esploravano e scoprivano terre nuove. “I mari del Portogallo hanno legato l’Europa al mondo già una volta nella storia – ha detto il ministro dell’Economia e della Transizione digitale Pedro Siza Vieira all’inizio del mese di giugno – Secondo il paradigma digitale attuale, la nostra posizione continua a essere importante”. Il ministro stava inaugurando EllaLink, un cavo internet sottomarino lungo seimila chilometri che collega Sines, il più grande porto logistico del Portogallo dove, si dice, nacque Vasco da Gama, a Fortaleza, in Brasile. Questo progetto serve all’Europa per mantenere un maggior controllo sul traffico globale di internet, in un momento in cui si discute moltissimo su chi abbia per davvero il controllo di questi cavi sottomarini globali che sono la spina dorsale della struttura di comunicazione mondiale (400 cavi al momento che raccolgono il 98 per cento del traffico internettiano del mondo). Le Big Tech stanno investendo molto in queste strutture ma anche gli stati lo fanno, a cominciare naturalmente dalla Cina che gestisce il progetto del cavo chiamato “Peace”, pace, che parte dal Pakistan, costeggia l’Africa, arriva nel Mediterraneo e finisce nel porto francese di Marsiglia. Il Parlamento europeo vuole imporre delle regole ai gestori dei cavi per evitare sabotaggi e intercettazioni, mentre i governi vorrebbero riprendere indietro il controllo di questi progetti dando la concessione all’unico grande operatore europeo, che è il gigante finlandese Nokia. Il Portogallo assicura che EllaLink sarà veloce e sicuro, che ingerenze e interferenze non ci saranno e che anzi l’ambizione del governo di Lisbona è proprio questa: cavalcare il secolo dell’innovazione garantendo sicurezza e protezione agli europei.

  
Un guaio a Lisbona. Lisbona è una città accogliente e in questi anni ha anche ospitato moltissimi attivisti, perseguitati, esiliati. Scoprire che dal 2011 i dipendenti comunali passavano alle ambasciate di Venezuela, Cina, Angola e Russia i nomi, gli indirizzi, i numeri di persone fuggite dai regimi ha fatto venire giù tutta la fiducia. Funzionava così: gli attivisti chiedevano al municipio il permesso di organizzare delle manifestazioni per i diritti dei loro concittadini rimasti in patria, lasciavano i loro dati e questi venivano comunicati ai diplomatici dei paesi dai quali erano fuggiti. Sono stati alcuni attivisti russi a rivelarlo e le autorità cittadine non hanno potuto fare altro che ammettere l’errore. Per il sindaco, Fernando Medina, l’ammissione è stata ancora più dolorosa. Sia perché tra quattro mesi ci sono le elezioni e si è alzato un prevedibile coro di “dimettiti”, sia perché lui è un uomo di Costa, anzi, è l’uomo che ha sostituito Costa a Lisbona quando è diventato premier. Economista, iscritto al Partito socialista, è sindaco dal 2015, quindi la pratica è precedente al suo arrivo, anzi esisteva già con Costa. Non è chiaro quanto i sindaci sapessero, per questo Medina verrà audito in Parlamento, ma il fatto rimane grave. Medina non vuole dimettersi, ha detto che lui è dalla parte dei perseguitati, di chi manifesta per i diritti, che questa è la sua posizione e la posizione europea, che si è trattato di un “errore burocratico” che non si ripeterà.  Ma tutti coloro che avevano cercato un rifugio tra i vicoli di Lisbona ora non si sentono più al sicuro.
 
Quando il Portogallo vinse gli Europei di calcio nel 2016, disse che la formula della squadra era quella di essere “semplice come una  colomba e astuta come un serpente”. Allora si confermò come la sorpresa in grado di stravolgere tutte le aspettative. Ora che il Portogallo si riaffaccia a questi Europei con Cristiano Ronaldo come il giocatore più forte della storia di questa competizione, il segreto del successo sembra essere nella capacità di creare e formare allenatori superstar, come José Mourinho. L’allenatore degli Juniores del Benfica, la squadra di cui anche Antonio Costa è tifoso, ha raccontato che è la capacità di adattamento e di tirare fuori il meglio con risorse scarse a disposizione a fare grande il calcio portoghese. Che è un po’ la sintesi di questo Portogallo contemporaneo, primo della classe senza averne l’aria. 

 

(ha collaborato David Carretta)

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