Euporn - il lato sexy dell'europa

Quanto è arrabbiato Emmanuel Macron

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Il presidente francese vuole accelerare il metabolismo europeo su difesa e autonomia strategica, ma a volte si fa prendere dalla furia

Emmanuel Macron ripete con forza che l’Unione europea deve attrezzarsi meglio per proteggere i propri interessi in un mondo in cui la Cina avanza e gli Stati Uniti sono proiettati verso il Pacifico, dando per scontata la sintonia atlantica. Macron sta organizzando in questo senso la presidenza di turno della Francia nel primo semestre del 2022, anche se questo incarico coincide con la campagna elettorale per la sua rielezione ad aprile, e per questo è quantomai incerta. Ancor più perché la Germania sta traghettandosi nella sua stagione post Merkel e questo crea un vuoto che Macron ambisce a riempire ma allo stesso tempo teme (come un po’ tutta l’Europa). La postura del presidente francese è anche del tutto diversa rispetto a quella della cancelliera tedesca uscente: la leadership di Macron è disruptive laddove quella tedesca è (e con tutta probabilità sarà) incrementale, piccoli passi e cauti, e l’Unione europea è tarata più sul ritmo di Berlino che su quello acceleratissimo di Parigi. In realtà il presidente francese ha una risorsa esterna rilevante, che è l’Italia di Mario Draghi. Il premier ha una visione in linea con Macron sulla questione della difesa europea: “La Nato sembra meno interessata dal punto di vista geopolitico all’Europa e alle zone di interesse dell’Europa e ha spostato le sue aree di interesse ad altre parti del mondo. Se nasce una forza esterna alla Nato, rafforza entrambe”, ha detto Draghi al vertice in Slovenia. Ma Macron mostra molti segni di insofferenza che si sommano allo scontro politico dentro alla Francia e alla consapevolezza che un sistema abituato alla lentezza punta i piedi quando viene pungolato con troppa veemenza. Così anche Macron si è messo a puntare i piedi, a imporre l’idea che l’interesse europeo e quello francese coincidono, a pretendere  più coraggio e più uguaglianza nei rapporti internazionali, in particolare con l’America. Perché se si scava nella furia diplomatica di Macron si trova soprattutto delusione nei confronti degli Stati Uniti, ed è esplosa tutta durante il ritiro dall’Afghanistan.

Le notti afghane. Che le promesse di Joe Biden sulla ritrovata amicizia tra Stati Uniti e Unione europea non sarebbero andate troppo lontano è parso chiaro a tutti a Kabul. Il ritiro frettoloso e disastroso dell’America non è stato preso bene dai partner europei. Anzi è tra le evacuazioni forsennate che è partita la furia, la disillusione, lo scontento degli alleati Nato che chiedevano un ritiro diverso, più organizzato, più controllato. Un altro ritmo. Le evacuazioni sono state per tutti complesse e pericolose e la Francia di Emmanuel Macron con un ambasciatore molto attivo, David Martinon, nell’estate orribile di Kabul, si è messa a fare il lavoro che ci si sarebbe aspettati dagli americani. Martinon, dopo aver evacuato l’ambasciata, ha riaperto una sede diplomatica nell’aeroporto della capitale afghana. Si è messo a organizzare le evacuazioni, che in realtà la Francia stava già conducendo da maggio, tre mesi prima della caduta di Kabul. Le informazioni di intelligence che avevano i francesi erano le stesse degli americani, diversa, hanno detto esperti di sicurezza al Financial Times, è stata la valutazione dei rischi. Sulla scia rumorosa dell’abbandono americano, è aumentata la diffidenza europea. Gli europei con Macron che ha più fretta degli altri – già dall’elezione di Joe Biden era quello che meno confidava nel rifiorire della relazione transatlantica –  hanno iniziato a mettere la testa su una delle battaglie del presidente francese: la difesa europea. 


Se si scava nella furia diplomatica del presidente francese si trova soprattutto una delusione americana


Il peso piuma. Nel suo ultimo numero, la rivista francese Express, è uscita con una copertina molto significativa: un sottomarino francese che affonda e  il titolo La Francia peso piuma. Corentin Pannarguear, giornalista della rivista, esperto di questioni europee e prima corrispondente dagli Stati Uniti ci ha detto che la difesa francese e quindi europea è sempre stata una delle ossessioni del capo dell’Eliseo. “Ne parla dall’inizio del suo mandato, dal suo discorso fondatore alla Sorbona. E’ arrivato alla presidenza in un  momento particolare: con  Donald Trump alla Casa Bianca. Adesso c’è Biden, ma gli Stati Uniti continuano a trascurare un po’ l’Europa”. Macron, ci ha detto il giornalista, pensa che sia compito della Francia, militarmente più forte, convincere gli europei a  creare una difesa comune. E’ uno dei presidenti che ha dovuto gestire più crisi, interne ed esterne,  “e sulla scena internazionale si sa muovere, quindi anche in campagna elettorale il suo ruolo fuori dalla Francia avrà un peso”. Nel 2022, durante la guida del semestre europeo, ci dice Pannarguear, “ci sarà da aspettarsi di tutto”. Sicuramente insisterà molto sul concetto di difesa e la presidenza “sarà un atto della campagna elettorale”. 

 


L’alleato americano. La politica estera francese, dalla crisi del canale di Suez, si comporta con gli Stati Uniti come fa la diplomazia italiana con i Paesi Bassi: quando non sai cosa dire perché non hai ricevuto istruzioni, fai l’opposto degli olandesi. I francesi hanno qualche ragione per lamentarsi di non essere sempre ascoltati dagli americani: dall’invasione dell’Iraq nel 2003 contro i desideri di Francia e Germania, alla decisione di Barack Obama nel 2013 di non bombardare il regime siriano che aveva utilizzato armi chimiche quando gli aerei francesi erano già pronti a partire, i rapporti tra Parigi e Washington hanno avuto sempre alti e bassi. Il concetto di autonomia strategica caro a Macron fu elaborato dopo Suez con la decisione del generale De Gaulle di accelerare il programma nucleare e di uscire dal comando integrato della Nato in risposta al tradimento americano di Suez. Macron è in continuità con la tradizione gollista. Quando l’America di Donald Trump è stata costretta a fare la voce grossa con la Russia, Macron ha teso la mano a Vladimir Putin. Quando l’America di Joe Biden ha chiesto alle democrazie di allearsi per contenere la Cina, ha fatto squadra con Angela Merkel per continuare a fare affari con Pechino.  In campagna elettorale, per Macron la tentazione di usare gli Stati Uniti come specchio per identificare i propri interessi è ancora più forte. Lo si è visto con la sua  reazione alla cancellazione del contratto per la fornitura di sommergibili francesi all’Australia e l’annuncio del patto Aukus nell’Indo-Pacifico. “Pugnalata nella schiena”, ha detto il suo ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian. Non solo (e non tanto) dell’Australia, ma degli Stati Uniti, che non avevano avvertito e consultato la Francia durante i sei mesi di negoziati. La reazione di Macron è stata di arruolare l’Ue nel suo conflitto con Washington e Canberra. Così è riuscito a trasformare una crisi francese su una questione commerciale bilaterale in una crisi transatlantica sulle relazioni dell’Ue con il suo principale partner.
 
Capricci europei. Il caso Aukus ha rivelato un’altra tentazione francese: quella di confondere gli interessi nazionali con quelli europei. Macron ha convinto la Commissione di Ursula von der Leyen a minacciare di cancellare l’inaugurazione del Consiglio commercio e tecnologia tra Unione europea e Stati Uniti, che dovrebbe servire da piattaforma comune per contenere la Cina. Poi la Francia ha costretto gli altri 26 stati membri ad annacquare la dichiarazione finale della prima riunione che si è tenuta a Pittsburgh. La Francia ha chiesto rappresaglie anche contro Canberra. E così la Commissione è stata costretta a rinviare il prossimo round di negoziati su un accordo di libero scambio con l’Australia. Macron e la diplomazia francese “avvolgono le loro richieste in una retorica molto europea. Ma la realtà è che la solidarietà in francese è a senso unico: da Bruxelles verso Parigi”, ci ha spiegato un diplomatico dell’Ue. Sia sul Consiglio commercio e tecnologia, sia sui negoziati commerciali con l’Australia, la Francia era isolata. Ma la Commissione  non ha voluto infierire. Meglio far passare la rabbia del presidente francese – cosa accaduta con la telefonata di fine settembre con Biden – e tornare al business as usual.


Spesso ha il coraggio di fare quello che gli altri europei non fanno. Ma non sempre l’interesse francese coincide con quello Ue 



Coraggio europeo. Spesso le campagne di Macron sono nell’interesse dell’Ue. Quella sull’autonomia strategica e la difesa europea è sacrosanta, se l’Ue vuole contare a livello globale. Ma i Ventisette non hanno una visione comune dei loro interessi concreti. La fissazione francese per il militare (e i contratti) e la tendenza di Macron a contrapporre la difesa europea alla Nato sollevano sospetti e irritazioni. Un esempio è l’accordo di partnership strategica firmato con la Grecia. Non solo prevede la vendita di tre fregate, ma anche un intervento armato della Francia in caso di attacco sul suo territorio. Il premier greco, Kyriakos Mitsotakis, ha presentato l’accordo di difesa collettiva come qualcosa oltre gli impegni della Nato. Macron ha detto che è l’embrione del suo progetto di difesa europea, che gli consentirebbe anche di liberarsi di un alleato transatlantico che con la Francia proprio non riesce ad andare d’accordo. 
 
Il nemico turco. I rapporti tra Recep Tayyip Erdogan, presidente  della Turchia, ed Emmanuel Macron, non sono mai andati bene, neppure all’inizio. Ma con il tempo sono addirittura peggiorati. Non c’è campo in cui i due vadano d’accordo. Dalla Libia alla Siria fino al Nagorno-Karabakh, sono sempre dalla parte opposta. Non si sopportano, si provocano, si inseguono. Quando il presidente francese pronunciò la famosa frase sulla morte cerebrale della Nato, lo fece non soltanto perché Donald Trump minacciava di portare via gli americani dall’Alleanza, ma anche perché dall’altra parte c’era la Turchia che provocava la Grecia e comprava sistemi missilistici russi – questo sembrava urtare più Trump che Macron, ma pareva un buon sintomo per dichiarare la  morte cerebrale dell’Alleanza. Erdogan anche non ha risparmiato  attacchi, tanto da definire il capo dell’Eliseo come un peso per la Francia. E ancor peggio, il presidente turco ha sfruttato la decapitazione del professor Samuel Paty per fare propaganda anti francese a capo di una coalizione di paesi chiamati a boicottare Parigi. Per tutta risposta il settimanale satirico Charlie Hebdo dedicò una sua copertina al presidente turco, che prese malissimo la  caricatura.


Perdono russo. Chi invece ha potuto beneficiare di una clemenza permanente di Macron è stato Vladimir Putin. Nonostante l’annessione della Crimea e la destabilizzazione dell’Ucraina a partire dal 2014, ma anche le interferenze nelle elezioni presidenziali francesi del 2017, nell’agosto del 2019 Macron ha annunciato una strategia di dialogo con la Russia. Per il presidente francese, coinvolgere Mosca negli affari europei era l’unico modo per risolvere le crisi. Niente ha smosso Macron. Non il mancato rispetto degli impegni da parte di Putin  per riportare la pace nell’est dell’Ucraina. Non l’uso di armi chimiche sul territorio europeo per cercare di uccidere l’ex spia Sergei Skripal. Non le altre operazioni condotte dai servizi russi in Repubblica ceca e Bulgaria. Non i cyberattacchi contro la Germania e una mezza dozzina di altri paesi europei. Non l’avvelenamento di Alexei Navalny.  Non l’umiliazione inflitta da Sergei Lavrov all’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell. Non gli interventi in Siria   contro gli interessi francesi. Non l’invio, ancora non confermato,  della milizia Wagner in Mali, zona di influenza della Francia per eccellenza. A prescindere dai calcoli strategici che spingono Macron a continuare a tenere la mano tesa a Putin, la politica francese sulla Russia viene considerata da molti partner  come contraria agli interessi europei.

Corentin Pannarguear dell’Express ci ha detto che è ancora presto per parlare di campagna elettorale, ma quel che è vero è che Macron già da tempo cerca di occupare tutti i campi, tutti gli argomenti che per i francesi sono importanti per non lasciarli ai suoi avversari. I macroniani si stanno già preparando da tempo alla sfida per la rielezione del presidente e i più agguerriti sono i giovani che hanno allestito  dei manifesti rossi e neri, color Netflix, quasi a dire: guardatelo il presidente, è il protagonista di una serie tv. Anche la sua furia è molto cinematografica, e a ogni suo annuncio ci ritroviamo ad aspettare l’episodio successivo. In attesa di aprile ci chiediamo di continuo: ma tu, come pensi che andrà a finire? 


(ha collaborato David Carretta)

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