EuPorn-Il lato sexy dell'Europa

Com'è nata la nuova cortina di ferro nell'est dell'Ue

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Lungo la linea dell’incomunicabilità si svolge una guerra di ricatti, di gas, di soldati e di propaganda. La  missione è: non lasciare mai un vuoto

Com’è fatto un cattivo? Ognuno lo immagina come vuole, come può. Abbiamo fatto un sondaggio approssimativo: tanto per cominciare, per molti lo stereotipo del cattivo è uomo. Se donna, la cattiva è bella. Se uomo, è bruttissimo, spesso con il cappello in testa e basso. Questo probabilmente è un riflesso della nostra storia: il secolo breve è stato pieno di persone non alte che hanno fatto cose terribili. Poi i buoni hanno vinto, non erano tutti degli stangoni e a noi europei hanno regalato il migliore dei mondi in cui vivere.

 

Anne Applebaum, raffinata saggista con antenne speciali per intercettare lo stato delle nostre democrazie, ha scritto sull’Atlantic un articolo dal titolo: “I cattivi stanno vincendo”. Applebaum, che è americana e vive in Polonia, due paesi in cui la democrazia negli ultimi tempi è stata spesso ferita, dice che se il Ventesimo secolo è stato un lento progresso verso la vittoria della democrazia liberale su altre ideologie, il Ventunesimo va dalla parte opposta: verso la vittoria delle autocrazie. Ma queste non sono da immaginarsi come il regno di un uomo solo, cattivissimo, al comando, ma come un sistema ben congegnato, una rete sofisticata composta da strutture finanziarie cleptocratiche, servizi di sicurezza corrotti e propaganda. Questi autocrati spesso si alleano anche se non la pensano allo stesso modo; non esiste un solo “ismo”, non c’è una sola ideologia, ma vanno d’accordo e hanno un unico obiettivo: imporsi.

 

Gli autocrati sono forti sì, ma davvero stanno vincendo? La Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping sono due autocrazie diverse tra di loro ma entrambe stabili (la seconda più della prima), poi c’è Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco, e c’è Aljaksandr Lukashenka, il dittatore bielorusso. Sono tutti pericolosamente vicini all’Europa, e tutti a est. E se fosse che questo universo autocratico  rimane in piedi perché noi lo lasciamo in piedi, perché non ci opponiamo a sufficienza, perché abbiamo smesso di impegnarci per la democrazia fuori dai nostri confini? L’autocrazia è un tappo, che prima o poi è destinato a far implodere un paese.

 

Se le democrazie hanno perso però un loro modello –  l’America scappa a gambe levate dall’Afghanistan, l’Unione europea ha persino i suoi autocrati all’interno – le autocrazie trovano il modo di ispirarsi a vicenda, oggi potremmo dire che l’ispiratore in chief è proprio lui, Putin, e non a caso guardando la mappa si può individuare una nuova cortina di ferro, un po’ più a est, che incombe su alcuni stati europei e su altri che vanno in direzione dell’occidente. Fu Winston Churchill a introdurre nel nostro linguaggio la “cortina di ferro”: la intendeva come una barriera di incomunicabilità, con le armi e la paura del fungo atomico e tutto il resto, ma soprattutto come una calamita che funziona al contrario, spinge a dividersi, lacera, crea vuoti, ribalta le attese. 

 

Siamo andate sui fronti di questa cortina, dove la battaglia dell’incomunicabilità si combatte con il gas, con la minaccia di truppe al confine, con i sogni di libertà e con le paure della storia. La prima cosa che si nota a occhio nudo è: gli autocrati si vendono meglio, sempre. 

 

Gli autocrati spesso si alleano anche se non pensano allo stesso modo. Non c’è una sola ideologia, ma hanno un obiettivo: imporsi

 

Visti dalla Russia.  Negli anni, dalla caduta dell’Unione sovietica, il tonfo si sente ancora oggi, Mosca ha visto l’Ue e la Nato allargarsi sempre di più e in questi ultimi anni si è fatta sempre più assertiva. Pavel Slunkin, esperto della parte orientale dell’Europa, che in passato ha lavorato presso il ministero degli Esteri bielorusso e soprattutto ha preso parte agli accordi di Minsk, quelli per trovare una soluzione alla crisi scoppiata in Ucraina nel 2014, ci ha detto che la Russia non è più pronta ai compromessi e cerca di riguadagnare terreno. Come può farlo? Opponendosi e imponendosi. Cercando di contrastare l’influenza di Ue e Nato. Ci sono posti in cui i due mondi si sfiorano, si toccano, posti in cui Mosca si è sentita la coppia transatlantica ancora più addosso ed è lì che si è fatta più assertiva. In quei posti, le linee di divisione sono più forti, tanto da sembrare trincee. Sono l’Ucraina, la Moldavia, anche la Georgia. Non certo la Bielorussia, quella con cui l’incomunicabilità pesa di più.   

 

Lo scagnozzo pazzo di Putin. La Bielorussia si è ormai convertita alla Russia, negli anni passati Lukashenka flirtava un po’ qua un po’ là. Quando voleva fare dispetti a Putin, fantasticava con l’idea di una maggiore integrazione con l’Ue, magari anche con la Nato, ma ora, da quando ha rubato le elezioni e messo in galera mezzo paese,   gli è rimasta soltanto la Russia.  Putin  ne ha fatto il suo scagnozzo e plaude a ogni follia che viene in mente al dittatore, ossessionato dal voler essere riconosciuto dall’Europa. In questi mesi, Lukashenka ha dirottato un aereo per arrestare un oppositore, e Putin non è intervenuto. Poi ha incominciato a mandare verso il confine dell’Ue migranti che vengono dal medio oriente. Con un regime di visti agevolato, ha stretto accordi con Iraq, Siria, Yemen e altri, coinvolgendo anche compagnie di bandiera di paesi terzi, che comunque declinano ogni responsabilità. Lukashenka, per l’Ue, è un vicino terribile. Non ha paura di aumentare la tensione, anche perché sente di avere le spalle coperte da Putin, il quale ha molto da guadagnare dall’avere uno scagnozzo pronto a tutto incastrato tra la Russia all’Ue. E’ uno che minaccia con facilità e che non ha paura di realizzare le sue minacce. Questa settimana ha iniziato a limitare le forniture di gas alla Polonia, uno dei suoi nemici. L’agenzia russa Tass ha detto che si tratta di manutenzione, non c’è una volontà politica, ma le coincidenze pesano perché la Bielorussia nelle stesse ore ha sospeso anche la fornitura di energia elettrica all’Ucraina, uno di quei posti che non vogliono avere la Russia tra i piedi.

 

I migranti al confine. Lukashenka poi ha un gran talento quando si parla di autocrati: li studia, li imita, ne riproduce le idee. Ricattare l’Europa con i migranti non è certo una sua invenzione, lo ha imparato da Erdogan, che fino a un certo punto ha anche partecipato a questo gioco anche a Minsk. Gerard Knaus, architetto dell’accordo europeo con Ankara ha seguito con molta attenzione e ha enunciato quali possono essere le strategie da seguire per l’Ue. Possono fermare gli arrivi alla frontiera, ed è quello che stanno facendo. Possono cooperare con altri stati, ed è quello che in parte hanno fatto – Possono lasciar entrare i migranti, e non sarebbe un grande trauma visti i numeri irrisori. Oppure lasciare aperto, rinunciare al controllo e far vedere a Lukashenka che per l’Ue, l’immigrazione non è più una debolezza. 

 

Tutti zitti. L’Unione europea in quanto tale ha smesso da tempo di trattare, di comunicare,  con Vladimir Putin. Ursula von der Leyen, malgrado il suo slogan sulla Commissione “geopolitica”, non parla quasi mai di Russia. L’ultima volta che ha incontrato Putin era il 19 gennaio 2020, poco più di un mese dopo l’inizio del suo mandato. Il dossier russo è stato passato all’Alto rappresentante, Josep Borrell, che ha cercato più volte di tendere la mano a Mosca offrendo collaborazione in diversi settori. Il risultato è stato una visita umiliante a Mosca lo scorso febbraio, durante la quale Borrell è rimasto in silenzio di fronte ad accuse pesantissime del ministro russo degli Esteri, Sergei Lavrov. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, non ha fatto di meglio. Lui è il leader delle istituzioni dell’Ue che con Putin parla al telefono più spesso. Ma senza ottenere grandi risultati. “E’ Putin che rifiuta il dialogo con l’Ue”, ci ha spiegato un funzionario europeo: “Il presidente russo preferisce parlare direttamente con alcune capitali. E’ convinto che così sia più facile dividere i 27, manipolare alcuni stati membri e ottenere concessioni”. Una serie di stati membri – Grecia, Cipro, Lussemburgo e più recentemente l’Ungheria – fanno da testa di ponte della Russia dentro l’Ue. Altri, come l’Italia, hanno una diplomazia che simpatizza per le ragioni di Mosca. Ma gli unici due paesi che Putin considera come veri interlocutori sono Germania e Francia. Il presidente russo parla il linguaggio della forza. La Germania è la forza economica dell’Ue. La Francia è l’unica forza nucleare rimasta.


Si parla solo con il più forte. Angela Merkel e Emmanuel Macron  si sono fatti carico del dialogo con Putin. Hanno un approccio pragmatico, anche se spesso è interessato. La Germania prosegue la sua Ostpolitik, a cui ha aggiunto la dimensione mercantilista: comprare gas e vendere macchine. La Francia vive nel ricordo del generale De Gaulle e della sua visione dell’Europa dall’Atlantico agli Urali, compreso (quando possibile) la fornitura di armamenti. In assenza dell’Ue chi meglio di loro potrebbe riportare Putin con i piedi per terra? Merkel la scorsa settimana ha parlato due volte con il presidente russo della crisi con la Bielorussia sui migranti. Macron ci ha parlato per un’ora e mezza martedì, allargando la discussione all’ammassamento di truppe russe al confine con l’Ucraina. Per natura Merkel è restia ai conflitti, cerca sempre una mediazione e in ogni caso non è pronta a imporre sanzioni che possano danneggiare gli interessi tedeschi. Per natura Macron si crede più furbo degli altri, è più burrascoso e alterna conflitti e minacce a pacificazioni e rassicurazioni. I due si coordinano. Ogni tanto fanno il poliziotto buono e quello cattivo con Putin. Ma ogni volta si trovano a dover ricominciare da capo. Che sia sull’Ucraina, sulla Bielorussia o su Alexei Navalny, Putin può fare un passo indietro come chiesto da Germania e Francia, salvo poi farne due in avanti appena gli si presenta l’occasione.

 

Putin capisce il linguaggio della forza, per questo parla molto con Germania e Francia, la forza economica e quella nucleare


Il dittatore al confine. I colloqui di Merkel e Macron con Putin sulla Bielorussia ne sono l’ultima riprova. La cancelliera tedesca ha chiesto al presidente russo di esercitare la sua influenza su Lukashenka. La risposta è stata un capolavoro di cinismo. Putin ha spiegato che lui non c’entra niente e che Merkel deve rivolgersi direttamente al dittatore bielorusso. La cancelliera lo ha fatto, accettando di ridare al “signor” Lukashenka un po’ di quella legittimità che aveva perso con le presidenziali del 2020 e la repressione che ne è seguita: lo ha chiamato due volte. A Macron non è andata meglio. “Non c’è convergenza sulle origini dell’attuale crisi alla frontiera bielorussa”, ha spiegato un consigliere dell’Eliseo dopo la telefonata. Sull’Ucraina Macron ha ricordato a Putin la “volontà di difenderne la sovranità e l’integrità territoriale”. Secondo il resoconto del Cremlino, Putin ha attirato l’attenzione di Macron sulla “natura provocatoria delle esercitazioni su larga scala guidate dagli Stati Uniti e dai loro alleati nel Mar Nero che stanno aumentando la tensione tra Russia e Nato”. Entrambi i leader hanno espresso “insoddisfazione” per come vanno le cose in Ucraina, ha spiegato il Cremlino. Ma per ragioni opposte.

 

Vi ricordate il Donbass? L’Ucraina è stata la massima espressione della politica del dialogo di Germania e Francia con la Russia, e del suo fallimento. Dopo l’annessione della Crimea e l’intervento nel Donbass, nel giugno del 2014 Merkel e Hollande lanciarono il “Formato Normandia” per cercare di negoziare una soluzione pacifica tra Mosca e Kiev. Il primo (e unico) successo fu la firma degli accordi di Minsk II, che portarono a un cessate il fuoco nel Donbass mai veramente rispettato.  La cortina di ferro è anche mentale. Per Merkel e Macron (e più in generale l’Ue) l’uso della forza è sempre escluso e le sanzioni sono deboli per preservare gli interessi economici europei. Per Putin la forza è solo uno dei tanti strumenti per far avanzare gli interessi strategici russi a prescindere dalle conseguenze economiche di breve periodo.

 

La teoria dei vuoti, che in geopolitica significa che uno spazio vuoto sarà occupato da una forza di destabilizzazione, comprende anche armi che non sono il gas, le truppe, la propaganda. In Ucraina ci sono molti nouveaux riches che vogliono trasformare il paese in un Eldorado dello criptovalute. Il New York Times ne ha intervistati molti. Uno dice: “In questo paese, puoi uccidere una persona e non andare in prigione, se hai le giuste conoscenze” – versione pratica di “you can get away with murder”. Un altro descrive l’Ucraina come un’utopia dei sensi: tutto costa un quarto che altrove, ci sono droghe disponibili ovunque a prezzi stracciati, persino con le ragazze funziona al contrario, sono loro che baciano per prime. “Mi piace che ci sia tanta corruzione qui”, dice uno candidamente, immaginando un futuro di ombre e di illegalità per la criptovaluta, un’altra spinta che può lacerare, dividere, se non decidiamo di opporci.

(ha collaborato David Carretta)