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Per quanto tempo Putin ci terrà in ostaggio

Paola Peduzzi e Micol Flammini

La Russia è come un gorilla geopolitico, per contare ha scelto il (nostro) logoramento. Viaggio senza pretese nella testa del presidente russo

Potrebbe essere lungo, l’assedio diplomatico e militare di Vladimir Putin all’occidente. Continuiamo a leggere di attacchi imminenti, e il dispiegamento di truppe russe alle soglie dell’Ucraina questo dicono: siamo pronti. Ma poi invece i tempi si allungano a tal punto che sorge il dubbio contrario: non è che è lo stesso Putin a volere questo logoramento aggressivo? Il presidente russo sa che le crisi permanenti un po’ perdono visibilità – e al buio si ottengono cose che alla luce non sarebbero possibili – e un po’ spezzano   le alleanze democratiche, che nel lungo periodo tendono a farsi venire dubbi, a perdere lo slancio. I putinologi sono al lavoro e cercano di decifrare che cosa c’è nella testa dello zar Vladimir, e poiché nessuno lo sa ogni ipotesi diventa plausibile. E forse pure questo fa parte del piano d’assedio di Putin. Il capo della scuola di relazioni internazionali all’università guidata dal ministero degli Esteri russo, Andrei Sushentsov, ha detto: “Penso che questa crisi ci accompagnerà, sotto varie forme, per tutto il 2022 almeno”. E ha descritto questo assedio come la prima fase del piano russo per costringere l’occidente ad accettare una nuova architettura della sicurezza nell’Europa orientale. La sintesi del messaggio di Sushentsov è: la Russia tiene viva e ben presente la minaccia di guerra e intanto costringe gli occidentali a negoziati che fino a ora hanno evitato. In un’intervista ha specificato meglio: “Ciò che conta è la suspense che caratterizza il tempo che precede la guerra. La gente è stata viziata da un lungo periodo di pace, considera la sicurezza come un dato di fatto e come una concessione gratuita invece che come una cosa che va negoziata: questo è un errore”. Se vi sembra che in questo modo siamo in ostaggio dei tempi e delle pianificazioni di Vladimir Putin è perché in effetti lo siamo. Siamo andate a vedere le condizioni di questo sequestro, le vie diplomatiche aperte e anche le eventuali vie di fuga, sapendo che sì, Putin è indecifrabile e ci sta dettando i tempi, ma i calcoli può sbagliarli anche lui, e la scommessa  che ha fatto sulla assoluta prevedibilità delle mosse occidentali potrebbe pure perderla.

 


Il presidente russo ha interiorizzato “la nozione che l’occidente si occupa della Russia quando questa crea qualche problema”


 

Parla Mark Galeotti. Uno dei primi dubbi è: noi non riusciamo a decifrarlo, ma almeno Putin sa cosa vuole? Forse no. Fa delle prove. Mark Galeotti, uno dei maggiori esperti di Russia e autore del libro “The weaponisation of everything”, ci ha detto che le negoziazioni e i processi di pace richiedono tempo e questo è un punto a favore sia per la Russia sia per l’occidente. Putin probabilmente cerca un compromesso che potrebbe non essere quello che ha prospettato con le inaccettabili richieste per la propria sicurezza, fatte per essere respinte, in cui tra le altre cose chiedeva alla Nato di tornare ai confini del 1997. “Lui vuole continuare a parlare fino a quando non ottiene abbastanza, ma vuole tenere alta la tensione perché non si fida del fatto che gli Stati Uniti e la Nato siano disposti a continuare a negoziare. Nel caso in cui i colloqui non portino da nessuna parte, vuole tenersi a disposizione delle alternative”. Inclusa quella militare. Putin ci  dice parliamo, ma aumenta il numero delle truppe puntate contro l’Ucraina. Galeotti non crede che l’opzione militare sia quella che in questo momento Putin preferisce, ma il presidente russo ha interiorizzato “la nozione che l’occidente si occupa della Russia quando crea qualche problema”. All’origine di questa crisi c’è anche la domanda: ma perché proprio ora? Mark Galeotti ci dice che secondo lui le ragioni non vanno trovate nella politica interna. “I russi non sono entusiasti all’idea di un conflitto, se il Cremlino continua a negare il suo ruolo nel Donbass e manda i mercenari è per questa ragione”. L’effetto rally ’round the flag, tutti insieme uniti, che ebbe dopo l’annessione della Crimea non è riproducibile. Quindi se non si tratta di politica interna o delle elezioni del 2024 che in caso di conflitto si terrebbero tra molti problemi economici, quello che sta accadendo riguarda piuttosto  “come Putin pensa che la Russia debba agire nel mondo, il posto che deve avere nella storia”. La Russia, tutto l’apparato statale e non soltanto il suo presidente, vuole comportarsi da grande potenza. “Senza averne le risorse. Non è un paese con un’economia forte, con soft power, con tecnologia, quindi mette in moto una guerriglia geopolitica, cerca di pesare in aree in cui pensa di essere più forte o in cui noi siamo più deboli”. Per Galeotti in questa epoca dirompente, la Russia è un paese che ha imparato a essere fantasioso, spietato e creativo nel modo in cui sfrutta le caratteristiche del mondo moderno. Questo gorilla geopolitico si muove in molti contesti, è presente ovunque anche se a volte non ha un piano, va dove c’è un’opportunità. Anche la stramba alleanza con la Cina è misurata sull’opportunità: quella di dar fastidio all’America. Forse siamo già nel bel mezzo di una Guerra fredda, “ma non è la stessa. Il primo motivo è che la Russia non è l’Unione sovietica, il secondo è che qui non c’è una dimensione ideologica. Non è autoritarismo contro democrazia, a Putin non interessa esportare il suo modello”.

 

Le opzioni sul tavolo (non quello). La crisi ai confini dell’Ucraina è una parte di questa guerra, per ora ancora fredda, e per uscirne, le opzioni non sono molte. Sul tavolo ce n’è una ancora nascosta, ma che si fa sempre più strada nei circoli diplomatici dell’Unione europea: la finlandizzazione dell’Ucraina, cioè l’accordo secondo il quale l’Ucraina dovrà rimanere neutrale come la Finlandia che durante la Guerra fredda per paura dell’Unione sovietica decise di rimanere in mezzo ai due blocchi. Così l’Ucraina non potrebbe diventare un paese membro  della Nato: anche se  per ora  nessuno in realtà pensava di farla entrare, gli alleati continuavano a chiedere riforme, a rimandare. Ma Putin ha messo la questione sotto i riflettori e in pochi, proprio con la minaccia di guerra, ora se la sentono di dire all’Ucraina che non entrerà mai a far parte dell’Alleanza atlantica. La Russia invece vuole che venga detto, che venga messo nero su bianco. Perciò, la parola indicibile finlandizzazione non viene tirata fuori – Macron lo ha fatto e poi ha smentito – e si preferisce parlare di accordi di Minsk. Che non sono meno insidiosi  per l’Ucraina rispetto alla   neutralità. Con gli accordi di Minsk che la Russia ama molto e promette di voler implementare – non aspettiamoci che i cambiamenti siano a favore dell’Ucraina – Kiev dovrebbe conferire  uno status speciale a Donetsk e Lugansk, le parti del Donbass che si sono autoproclamate repubbliche popolari. Queste due repubbliche avrebbero dei loro governi dipendenti da Mosca che peserebbero nelle decisioni interne dell’Ucraina: potrebbero avere anche potere di veto su questioni riguardanti  l’adesione alla Nato. Parte della società ucraina non accetta che si facciano accordi con la Russia e soprattutto non lo accetta sul Donbass, una zona che Kiev cerca di riconquistare con la guerra. Ci sono state vittime e sono stati spesi soldi per rafforzare l’esercito. Cedere Lugansk e Donetsk potrebbe portare disordini e rivolte delle quali potrebbe approfittare la Russia con la scusa di difendere la popolazione russofona. La società ucraina ne uscirebbe frammentata, forse Mosca riuscirebbe a occupare altre zone, il territorio della nazione sarebbe diviso: una balcanizzazione di Kiev. Quello che ai leader sembra più accettabile è altrettanto rischioso.

 


Secondo il Cremlino l’aumento delle proprie truppe ai confini dell’Ucraina fa parte del processo dei negoziati


 

Parla Pavel Slunkin. L’analista politico Pavel Slunkin, ex diplomatico della Bielorussia, ci ha detto che questa crisi non è temporanea. Ce lo ha ripetuto anche lui: “Sarà lunga”. “Abbiamo visto la Russia farsi sempre più minacciosa da quando è arrivato Putin, per interrompere questa traiettoria ci vuole un grande cambiamento”. Come la fine dell’èra del presidente russo, o qualche rivoluzione nella politica estera occidentale o qualcosa di peggio come un conflitto. “Putin vuole più ascolto e vede il potenziale delle sue minacce”. Capisce anche molto bene la politica della coercizione: “La filosofia dell’escalation russa è che non basta una parola gentile, meglio se ci affianchi una pistola, alla parola gentile”. E secondo Slunkin se Putin dice di voler continuare a dialogare ma nel frattempo manda le navi nel Mar Nero e aumenta le truppe ai confini di Kiev è perché crede che sia parte del processo di negoziazione. Ma più si fa minaccioso più c’è il rischio di isolamento. Ora finge amicizie con la Cina che molti russi, anche se non lui, vedono come un rischio. Con qualche anno di distanza rimane ancora il ricordo del G20 in Australia in cui Putin si ritrovò a cenare da solo con la presidente del Brasile Dilma Rousseff: gli altri leader non volevano sedersi con un presidente che aveva da poco annesso la Crimea. Anche ora al suo fianco rimangono in pochi. C’è Aljaksandr Lukashenka, il dittatore bielorusso, che dal 2020 è sempre più dipendente da Putin, ma attenzione a non sottovalutarlo: “Non è un burattino”, ci dice Slunkin, e ora “cerca di sfruttare la tensione con l’Ucraina a suo favore”. 

 

L’amico Kadyrov. Poi c’è un’altra amicizia molto scomoda che Putin porta avanti e che ai russi non piace per niente. E’ quella con Ramzan Kadyrov, capo della Cecenia. Mentre il presidente russo dice che Mosca si sente minacciata dalla Nato, lascia che il ceceno faccia sul territorio russo ciò che vuole. Kadyrov è  un leader spietato, ma grande sostenitore di Putin. I russi si lamentano che il presidente russo mostri una certa indulgenza, qualcuno dice sudditanza, nei confronti di Kadyrov. Putin in questi giorni ha accettato di incontrarlo anche se c’è un grande scandalo in corso: qualche settimana fa gli uomini di Kadyrov sono andati a Nizhny Novgorod ad arrestare un giudice ceceno ormai in pensione e sua moglie. I due sono stati deportati a Groznyj e  sono state mostrate delle immagini molto crude dell’arresto di lei. Pochi giorni dopo alcuni rappresentanti ceceni in un discorso alla Duma hanno detto che bisognava tagliare la testa al giudice e a tutta la sua famiglia. Putin si indigna molto per i missili della Nato, per le truppe in Polonia, per le armi mandate a Kiev, ma tollera che nella sua Duma si minacci di tagliare la testa a dei cittadini e che gli uomini di Kadyrov facciano dei blitz sul suo territorio. 

 

Peccato che non siano uscite delle foto dell’incontro segreto tra Putin e Kadyrov, saremmo state molto curiose di vedere il tavolo, di misurare la distanza tra i due, la freddezza del marmo, l’intensità dei colori attorno e l’espressione delle statue. Mark Galeotti ci ha detto una cosa molto interessante su Putin e le sue amicizie, ci ha detto che quando si parla di alleanze, bisogna sempre tenere presente chi è Putin, le sue ossessioni, anche la sua generazione. Le persone come lui sono fissate con l’occidente e alla sua età, all’età di chi lo circonda, hanno un orizzonte temporale molto specifico. I più giovani hanno la consapevolezza dei problemi che usciranno da amicizie storte come quella con Xi Jinping e Kadyrov, e si preoccupano. Putin molto meno. Noi restiamo all’altro lato del tavolo, quello che fissa Alessandro II. Basterebbe spostarsi a Kiev per trovarne uno più piccolo, in legno, più stretto, più accogliente, quasi lì a dirci: stateci vicini, non vi daremo problemi.