EUPORN - IL LATO SEXY DELL'EUROPA
Quanto conta per l'Ue l'eccezione norvegese
Un paese ricco di energia, con un premier laburista che blocca gli scioperi, un confine con la Russia che è un imbuto e anche un viaggio nel tempo
La Norvegia è un’eccezione: nella penisola scandinava, in Europa, nel mondo. E’ tra i paesi fondatori della Nato, quando i vicini svedesi e finlandesi hanno deciso adesso di aderire all’Alleanza, ma non fa parte dell’Unione europea, anzi: fa parte del mercato unico ma non dell’unione doganale, è dentro la zona Schengen e in alcuni progetti comuni per la difesa, ma i norvegesi sono contrari all’ingresso nell’Ue: a domanda diretta, in due referendum, negli anni Settanta e negli anni Novanta, hanno detto no grazie, stiamo bene così, in questa relazione eccezionale. Sembra tanto comoda la Norvegia che il Regno Unito, quando ha deciso di lasciare l’Ue, ha flirtato a lungo con il cosiddetto “modello norvegese”, salvo poi rifiutarlo perché in Norvegia i lavoratori europei circolano liberamente e gli inglesi invece vogliono riprendersi il controllo anche e soprattutto sulla circolazione delle persone. Ma l’eccezione più grande che rende la Norvegia così unica soprattutto da quando Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina è data dal gas e dal petrolio.
Circa cinquant’anni fa i norvegesi hanno scoperto di galleggiare sopra enormi giacimenti e da quel momento è cambiato tutto: per loro, per noi, per il mondo. E poiché l’eccezione è eccezione, la Norvegia non è dentro all’Opec, il consorzio dei produttori di petrolio che si accordano sulla produzione e quindi sui prezzi, pur essendo chiamata (non senza invidia) l’Arabia del nord. Ci sono circa 90 giacimenti di gas e petrolio operativi e anche se la produzione complessiva è calata rispetto a vent’anni fa, il governo ha in progetto di rendere operativi altri 30 siti. Il governo sì, perché il settore del gas e del petrolio è tutto in mano allo stato, altra potentissima e chiacchieratissima eccezione che ci porta dritti a un’altra unicità, che spacca la politica locale e il dibattito globale: la Norvegia inquina tantissimo. Poiché la guerra di Putin ha stravolto priorità, alleanze e sentimenti popolari, per la prima volta da sempre il consenso nei confronti dell’Ue è aumentato persino tra gli euroscettici norvegesi: non abbastanza per segnare un cambiamento nella relazione con Bruxelles, naturalmente, e comunque nessuno si sogna adesso di andare a sentire per davvero, nelle urne, che cosa pensano i cittadini dell’Europa.
Quel che conta però tantissimo oggi è la solidarietà norvegese: stiamo costruendo un mondo che non dipenda dalla Russia, non dalle sue risorse energetiche almeno, e per farlo c’è bisogno di una solida politica di compensazione. E per quanto ci sia una piccola ma persistente sfiducia nei confronti di Oslo – possiamo fidarci o farà soltanto il proprio interesse? – è molto meglio negoziare e discutere con Jonas Gahr Støre, premier laburista e milionario di Norvegia, che con gli algerini, i qatarioti, i libici, i sauditi, gli iraniani. Ed è anche più utile perché la compensazione norvegese c’è e funziona.
Una dipendenza meno pericolosa. La Norvegia è il secondo fornitore di gas e di petrolio dell’Unione europea: il primo, come si sa, è la Russia. A fine giugno, Oslo ha firmato un accordo con l’Ue in cui assicura di fare “tutto il necessario” per soddisfare la domanda europea di risorse energetiche e promette di continuare a farlo anche quando questa emergenza sarà finita, fino al 2030 e oltre, pure se il 2030 è l’anno in cui l’Ue si è posta l’obiettivo di rendere più operativa la sua transizione ecologica: nei piani europei insomma ora del 2030 sarà la domanda a essersi notevolmente abbassata, e quindi chi gestisce l’offerta sarà meno rilevante. Sappiamo che questo è un sogno che si allontana sempre di più, e lo sa anche la Norvegia che vuole infatti ampliare i suoi giacimenti, visto che quelli esistenti marciano già quasi al massimo della loro capacità, ma così facendo violerebbe (già lo fa) gli standard climatici che tutto il mondo si sta imponendo. Ma ora che l’Ue, come ha detto Ursula von der Leyen, si deve preparare al taglio totale del gas russo perché Vladimir Putin “continua a utilizzare l’energia come arma”, la questione climatica può essere rimandata: va garantito il flusso di gas e petrolio. Ancor più se c’è, come dicevamo, qualche sospetto nei confronti della Norvegia. Il primo a esplicitarlo fu il premier italiano, Mario Draghi, all’inizio della guerra, quando introdusse l’idea, assieme a Spagna, Grecia e Portogallo, di stabilire un prezzo massimo al gas: il governo di Oslo si era opposto. “I profitti del governo della Norvegia – aveva spiegato Draghi: era il 25 marzo, la guerra era scoppiata da un mese – sono stati 150 miliardi di dollari in questi ultimi mesi, per un paese di 5 milioni abitanti: questo dimostra l’entità straordinaria dei profitti e spiega la loro resistenza a un tetto del prezzo che certamente finirebbe per diminuire ma tutt’altro che annullare i loro profitti”. A fine maggio il governo polacco era stato ben più diretto e polemico: i “giganteschi” profitti della Norvegia, aveva detto il premier Mateusz Morawiecki, sono “una preghiera indiretta perché la guerra continui”. I norvegesi si erano un pochino offesi, avevano precisato di essere molto solidali con l’Ucraina in termini di aiuti militari e umanitari, ma il dibattito si è aperto comunque: stiamo facendo abbastanza? Quando è arrivato il momento di dare una risposta, il governo di Støre ha voluto dare una risposta affermativa, e ferma.
Lo sciopero sventato. La settimana scorsa il governo norvegese ha sventato uno sciopero dei lavoratori del settore energetico che avrebbe potuto avere conseguenze disastrose, soprattutto perché avveniva in concomitanza con il primo consistente taglio delle forniture da parte della Russia. Sventato non è un termine casuale: il governo ha il potere, in Norvegia, in casi eccezionali e stabiliti, di imporre la fine dello sciopero e Støre, laburista che guida un governo di minoranza di sinistra, ha fatto proprio così: ha detto ai lavoratori che vogliono che i loro salari siano adattati all’inflazione che ne avrebbero discusso senz’altro, ma continuando tutti a lavorare. Resoconti di questa trattativa non ce ne sono: siamo stati tutti in sospeso perché l’impatto dello sciopero era stato calcolato in una riduzione del 60 per cento della produzione: un disastro. Quando Audun Ingvartsen, leader del sindacato meno malleabile, è andato in tv a dire: lo sciopero è finito, s’è sentito forte il sollievo continentale.
Il sostegno all’Ucraina. Dagli anni Cinquanta, la Norvegia era stata fedele a un pilastro della sua politica: mai inviare armi a un paese in guerra o a rischio di conflitto armato che non faccia parte dell’Alleanza atlantica. Con la guerra in Ucraina, questo principio è saltato e la Norvegia già a fine febbraio ha deciso di inviare a Kyiv 2.000 armi anticarro M72. Il primo ministro aveva detto: “La Norvegia ha politiche rigorose per quanto riguarda le esportazioni di equipaggiamento militare, ma l’Ucraina deve affrontare circostanze straordinarie”. Il sostegno non si è esaurito e Oslo ha continuato a mandare armi, munizioni, giubbotti antiproiettile e anche 22 obici semoventi M109: l’esercito norvegese ha recentemente sostituito la sua artiglieria e parte di quello che era in deposito l’ha mandato a Kyiv. Si è anche incaricato dell’addestramento dei soldati ucraini in Germania. A proposito di Germania, se non fosse stato per Oslo i Gepard, i semoventi antiaerei tedeschi promessi a Kyiv, sarebbero stati inutili. Berlino aveva bisogno di munizioni, prodotte da un’azienda con sede in Svizzera, ma il governo ha posto il veto all’esportazione di munizioni di fabbricazione svizzera utilizzate dai carri armati Gepard. E’ dovuto intervenire un produttore norvegese.
La faglia a nord. A far arrabbiare Mosca non è stato il sostegno all’Ucraina, quanto la decisione della Norvegia di bloccare i rifornimenti diretti all’insediamento minerario di Barentsburg, nelle isole Svalbard, in conformità con le sanzioni imposte alle navi russe. Per qualche giorno, anche se con meno attenzione, l’arcipelago ha vissuto una situazione molto simile a quella della Lituania con Kaliningrad, ma al contrario. La Russia ha così accusato la Norvegia di aver infranto il Trattato delle Svalbard, firmato nel 1920 che prevede innanzitutto la sovranità norvegese sulle isole e poi la loro demilitarizzazione e infine una serie di concessioni per i cittadini dei paesi firmatari che vivono sulle isole: i firmatari ora sono 46, c’è anche l’Italia. I centri abitati sono soprattutto tre e due, in passato, sono stati gestiti dall’Unione sovietica. A Barentsburg l’impresa statale russa Arktikugol continua a portare avanti un’attività estrattiva abbastanza fruttuosa: i minatori vivono nella cittadina dalle fattezze sovietiche e ricevono i rifornimenti dalla Russia. Sono di origine russa e anche di origine ucraina e per il momento sembrano convivere. La Norvegia alla fine non ha insistito, ha deciso di far passare i rifornimenti per i minatori e la disputa si è quietata.
Il punto di tensione. Prima che la Finlandia chiedesse di entrare nella Nato, il confine tra l’Alleanza e la Russia era lungo circa mille chilometri. Ora potrebbe più che raddoppiare. Centonovantacinque chilometri di questo confine lambiscono la Norvegia e per Mosca sono sempre stati un punto di forza, perché se il lato russo è facile da presidiare, quello norvegese è più complesso: è un imbuto. C'è un solo valico di frontiera, sulla E105, e due terzi del confine seguono due fiumi, il Pasvikelva e lo Jakobselva. Il confine marittimo, invece, è lungo più di ventitré chilometri che sono regolati da un trattato per lo sfruttamento dell’Artico firmato nel 2010: la Russia aveva preso in considerazione l’idea di abolirlo durante la disputa sui rifornimenti alle Svalbard. Ma tornando sulla terra, la penisola di Kola è la parte di Russia che confina con la Norvegia ed è una delle zone più dense di armi nucleari del pianeta, per Mosca è sempre stato un luogo strategico, dai tempi dell’Unione sovietica e prima in quelli degli zar. L’arrivo della Finlandia nella Nato tranquillizza anche la Norvegia perché le consente di sorvegliare meglio la frontiera con la Russia, di non essere costretta in un imbuto.
C’è un punto in cui i tre confini – Norvegia , Finlandia e Russia – si incontrano. Si chiama Treriksrøysa, che vuol dire: il tumulo dei tre paesi. Non è soltanto un punto, ma è anche una piramide di pietre su cui ci sono scritti i nomi dei tre paesi. E’ anche un viaggio nel tempo, perché sotto la piramide si vive al ritmo di tre fusi orari diversi: l’Europa centrale, quella orientale e l’ora del Caucaso. Oggi è il confine tra due mondi, tra due storie, il confine della democrazia.
(Questo è l’ultimo appuntamento con EuPorn di questa estate. Ci ritroviamo a settembre)