EuPorn-Il lato sexy dell'Europa
Un manifesto con la scritta: all'Ucraina con amore
Soldi e armi, gli europei sanno come aiutare Kyiv a far finire la guerra in fretta. Rimangono due problemi: i facinorosi e certe baruffe in casa
Sulle strade di Kherson e di Mykolaïv, nel sud dell’Ucraina occupato dai russi, ripreso dagli ucraini e devastato poi dalle bombe dei russi, si incontrano dei cartelloni come questo: una ragazza e un ragazzo di spalle davanti a un luogo semidistrutto, lei ha una piccola bandiera ucraina in mano, lui una bandiera dell’Unione europea sulla maglietta, e la scritta “Ricostruiamo insieme. Insieme siamo l’Europa”. In alto a destra c’è un’altra bandiera europea, in basso le stelline europee. E’ la proposta di sorellanza tra Ucraina ed Europa che diventa un patto per il futuro, ricostruiamo insieme, siamo tutti europei, cammineremo insieme. Mentre nell’est dell’Ucraina, nel Donbas sfigurato dai russi già dal 2014 e ora irriconoscibile, si combatte quel tipo di guerra che indispettisce di più le opinioni pubbliche europee, più delle bombe indiscriminate di Vladimir Putin su tutte le città del paese, perché è sangue, terra, imboscate, mutilazioni, morte, nel sud i cartelloni del futuro insieme con l’Europa diventano promessa e incoraggiamento: lo sguardo è rivolto verso ovest, e il cielo è azzurro.
Ma a che punto è questo cammino di avvicinamento? Siamo andate a vedere che cosa è successo da quando, il 23 giugno dello scorso anno, duecentotré giorni fa, il Consiglio europeo ha concesso all’Ucraina lo status di candidato all’ingresso nell’Unione europea, alla luce del fatto che non soltanto si sono ricomposte molte divisioni interne, non soltanto sono state adottate sanzioni via via più severe, ma dalla scorsa settimana è cambiato anche il contributo militare che l’Ue è disposta a dare perché l’Ucraina vinca la guerra contro la Russia. Dopo molte telefonate, dopo i tanti tentativi falliti di avviare un dialogo con Putin, dopo le dichiarazioni ambigue su condizioni di pace ambigue e non proposte da Kyiv, oggi anche in Europa prevale la consapevolezza che una fornitura di armi veloce e sofisticata può accorciare i tempi della guerra. Anche se accorciare i tempi per inviare le armi, come vedremo, è tutt’altro discorso.
L’incontro a inizio febbraio. Nella prima telefonata del 2023 di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, con Volodymyr Zelensky, si è parlato di un incontro a Kyiv per il 3 febbraio. La data non è stata ancora confermata – “Non vedo l’ora di incontrarci presto”, aveva twittato la von der Leyen – ma ieri la Commissione ha proposto di formare una squadra di dieci o quindici commissari che viaggerà nella capitale ucraina nella prima settimana di febbraio. L’obiettivo è quello di “approfondire ulteriormente le relazioni” e mostrare solidarietà all’Ucraina. E’ anche “un riconoscimento dei progressi che l’Ucraina sta facendo nel suo cammino verso l’Europa”, ha detto la Commissione. A fine dicembre, la vicepremier ucraina Olha Stefanishyna aveva detto a Euractiv: “L’integrazione europea è oggi il più importante strumento di unità dentro al nostro paese: il 91 per cento degli ucraini la sostiene, c’è una piena mobilitazione e unità dentro al Parlamento ucraino sul tema, nel governo e nelle amministrazioni locali”. L’adesione all’Ue è un collante fortissimo in Ucraina, e infatti l’Ucraina sta cercando di andare veloce, continua a parlare di adesione in tempi record anche se non è una cosa che Bruxelles ha mai considerato troppo possibile e mette sul piatto le sue riforme: il Parlamento di Kyiv ha adottato tutte le leggi sistemiche richieste dall’Ue per avviare l’adesione, anche se molti paesi europei le considerano soltanto un punto di partenza, non il raggiungimento degli standard necessari all’adesione (che sono raggruppati nelle cosiddette “sette raccomandazioni”). La Commissione sta preparando la valutazione tecnica che permette di capire a che punto è l’armonizzazione legislativa tra Unione europea e Ucraina: il documento doveva essere pronto a dicembre ma è ancora in lavorazione. La ricostruzione, che come si sa è onerosa e lo sarà sempre di più vista la strategia di distruzione adottata da Putin, offre una opportunità di armonizzazione concreta: si può ricostruire seguendo gli standard europei. Kyiv aspetta la prima tranche del pacchetto di aiuti europei: si tratta di tre miliardi di euro, su un totale di 18.
Arsenali incompleti. Riguardo alle armi, l’Ue ha aumentato la sua consapevolezza, ma ogni invio è frutto di sproni, qualche litigio, lunghe richieste. Gli ucraini combattono la guerra contro i russi su vari campi di battaglia. A momenti alterni, capita che su uno dei campi di battaglia ci si concentri di più e allora sembra che le richieste degli ucraini ai loro alleati occidentali cambino incessantemente. Non è così, la lista delle necessità degli ucraini è nota e oltre a badare alla protezione delle città dai bombardamenti di Mosca, ora Kyiv sa di doversi concentrare anche sulla terra. Soprattutto a est e da un eventuale attacco da nord, dalla Bielorussia. Alla decisione di Francia, Germania e Stati Uniti di fornire veicoli da combattimento di fanteria è seguita la richiesta di carri armati perché sono visti come il logico passo successivo, come l’anello mancante per permettere ai Marder tedeschi, agli Amx-10 francesi e ai Bradley americani di liberare tutto il loro potenziale. La risposta occidentale è stata timida, tranne quella britannica. Londra starebbe prendendo in considerazione l’invio di una dozzina di Challenger 2 e se lo facesse davvero per gli altri paesi sarebbe difficile tirarsi indietro.
Liberate i leopardi. Gli ucraini e i paesi orientali dell’Ue si sono lanciati al grido “Liberate i Leopard”, per chiedere a gran voce l’invio dei carri armati tedeschi da 60 tonnellate, considerati tra i migliori al mondo con il loro cannone da 120 millimetri e un sistema di difesa molto all’avanguardia. Poiché i carri armati sono di fabbricazione tedesca, Berlino blocca qualsiasi riesportazione da parte dei suoi partner: la Spagna è stata la prima nazione a proporre di inviare a Kyiv 40 vecchi Leopard dalle sue scorte lo scorso giugno e non ha potuto. Anche l’ex capo dell’esercito tedesco, Bruno Kasdorf, ha esortato Berlino a liberare i Leopard 2, sostenendo che i Marder “scatenano il loro pieno potenziale solo in combinazione con i principali carri armati”, poiché “si completano a vicenda sul campo di battaglia”. Il viaggio della ministra degli Esteri Annalena Baerbock a Kharkiv assieme al suo omologo ucraino, Dmytro Kuleba, ha fatto pensare che qualcosa si stia muovendo, ma per quanto Berlino sia stata spesso accusata di essere refrattaria, non è certo la sola. La Francia preferisce mandare avanti la Germania mettendo in esposizione le falle tedesche. Parigi si è affrettata ad annunciare, con un certo senso dello spettacolo, l’invio degli Amx-10, ma quando Kyiv le ha chiesto di inviare i carri armati Leclerc, è rimasta in silenzio. O meglio, la risposta è stata: saremmo disposti a schierare i nostri carri armati presso gli alleati della Nato che inviano alcuni dei loro Leopard in Ucraina. La palla è così tornata nel campo della Germania. Un funzionario francese ha anche detto che ormai i Leclerc non sono più in produzione, che mancano i pezzi di ricambio. L’affermazione è sembrata quantomeno stramba perché la Francia intende mantenere in servizio i suoi Leclerc fino al 2040 e vuole modernizzarli. Un’operazione impossibile senza pezzi di ricambio. A rallentare l’invio di armi ci pensano anche le influenze putiniane dentro ai paesi europei, che sanno bene come agire, seppure in minoranza. E c’entra ancora la Germania, e, senza sorpresa, anche la solita Ungheria.
I facinorosi /1. All’inizio dell’anno la Reuters ha pubblicato un’esclusiva molto dettagliata sugli agitatori pro Putin che operano in Germania. Il più importante paese dell’Ue è stato spesso il più enigmatico nella gestione della guerra: pur avendo sempre dichiarato il proprio sostegno a Kyiv, il governo del cancelliere Olaf Scholz è stato spesso riluttante ad adottare misure comuni per contrastare l’offensiva russa. I giornalisti di Reuters scrivono: “La posta in gioco qui è alta: se la Germania, l’economia più importante dell’Ue, volta le spalle a Kyiv, l’unità europea riguardo alla guerra si spezzerà”. Vi rassicuriamo: non siamo a quel punto, i proputiniani non hanno voce presso la cancelleria, ma si sa che il tempo che passa e la guerra che non finisce hanno un impatto sulle opinioni pubbliche. Ovunque, ancor più in un paese dove gli agitatori sono organizzati. Reuters ha fatto i nomi: Max Schlund, che si è cambiato il nome e lavorava per l’aeronautica russa (si chiamava Rostislav Teslyuk), lavora in stretto contatto con un’agenzia russa sotto sanzioni europee che ha creato una rete di “agenti di influenza”, come sono chiamati, che diffondono la propaganda del Cremlino; assieme a lui opera (e sale sui palchi: più di recente a Colonia) Andrei Kharkovsky, che fa parte di una confraternita cosacca che sostiene la campagna militare di Putin in Ucraina. Ma la più attiva del gruppo è la compagna di Schlund, Elena Kolbasnikova, che è di origini ucraine e che si era fatta notare nelle reti anti establishment prima della guerra perché diceva di essere stata licenziata – faceva l’infermiera – perché era filorussa e aveva denunciato la russofobia imperante in Germania. La coppia organizza molti eventi a sostegno della Russia, e al giornalista della Reuters che chiedeva ulteriori dettagli Schlund ha risposto su Whatsapp: “E’ meglio per te, brutto cretino, se non ti incontro mai di persona”. L’elenco degli influencer putiniani in Germania è lungo, ma ci sono anche molti che utilizzano degli alias per non rendere riconoscibili i loro legami con entità russe sotto sanzioni: molti sono di estrema destra.
I facinorosi /2. A ottobre per le strade di Budapest sono apparsi dei cartelloni con una bomba molto grande con su scritto “sanzioni”. Non erano certo parte di una campagna di sensibilizzazione per punire l’invasione di Putin attraverso l’economia: erano esattamente il contrario. La loro comparsa è stata richiesta dal governo di Viktor Orbán che era invece intenzionato a dimostrare come la lotta europea per sfidare Mosca a suon di sanzioni era un’idea contro l’Ungheria. Attorno alla bomba c’era scritto “Le sanzioni di Bruxelles ci puniscono”. La guerra di Putin ha dato nuovo vigore a Orbán che stava arrivando alle elezioni dell’aprile 2022 con il consenso in calo e una coalizione di partiti di opposizione bravi anche a sfidarlo nel campo del conservatorismo. Il progetto Lakmusz, che si occupa di verificare i fatti nella politica ungherese ed è sempre un buon punto di riferimento per capire i movimenti di Orbán, ha notato come in campagna elettorale, dopo l’inizio dell’invasione di Putin, il premier ha cambiato strategia: è passato dai problemi interni a quelli esterni, seguendo un copione che non lesinava false notizie come un patto segreto tra Zelensky e l’opposizione di Budapest per trascinare l’Ungheria in guerra. Quando l’Europol aveva espresso piena fiducia nella collaborazione con Kyiv per evitare i rischi del traffico di armi che aveva caratterizzato le guerre del passato, i media orbaniani avevano colto l’occasione per dire tutto il contrario e mostrare le immagini di trafficanti di armi nei Balcani suggerendo che i Javelin che oggi ricevono gli ucraini potrebbero finire nel bagagliaio di chissà chi e arrivare chissà dove.
Ognuno ha i cartelloni che si merita, chi pensa a ricostruire, chi a fermare la ricostruzione. Chi ad accelerare la fine della guerra, chi a rallentarla dicendosi pacifista. Chi mette foto con sanzioni-bomba che non esistono, chi arriva di fronte alle rovine della guerra a Kharkiv, con una strada davanti che sa di adesione e di futuro insieme ma che è ancora da costruire, e riesce a dire soltanto, con un filo di voce: “L’assoluta follia della guerra”.