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La chimica di Baerbock per sistemare le relazioni europee
Il cuore franco-tedesco non batte più in armonia. La ministra di Berlino tiene alta “l’amicizia”, mentre nasce un nuovo motore. La foto di famiglia
E’ nei momenti in cui più dipendiamo l’uno dall’altro che si misura la qualità di un’amicizia, ha scritto Annalena Baerbock su Twitter ringraziando la Francia per “l’eccellente cooperazione e per la fiducia reciproca” nell’organizzare le evacuazioni di cittadini francesi e tedeschi dal Sudan precipitato nella guerra. La sua dichiarazione così generosa e in controtendenza rispetto a quel che si dice da un po’ di tempo nelle conversazioni europee – e cioè che il cuore franco-tedesco non batte più in sincrono – è stata accolta da due reazioni contrapposte: chi le dice di insegnare a Emmanuel Macron, il presidente francese, come si diventa davvero strategicamente autonomi; chi le dice al contrario che sta trascinando la Germania in un abisso di incomprensioni internazionali che finiranno per travolgere tutti, lei, il suo paese, il suo capo, il cancelliere Olaf Scholz. Un intellettuale tedesco molto seguito, Richard David Precht, è andato più nello specifico, e nel malevolo: “Che accidente che questa donna sia diventata ministro degli Esteri”, ha detto, “in condizioni normali non sarebbe riuscita a ottenere nemmeno uno stage al ministero. Ha il fervore morale di una rappresentante di classe”. C’è una continua e fastidiosa confusione tra la volontà di insistere sui valori liberali occidentali – cosa che la Baerbock fa con limpida determinazione – e quella di impartire lezioni morali e moralistiche di superiorità: la ministra degli Esteri tedesca si è fatta portavoce in Europa dei valori liberali perché ne riconosce la forza, ma difficilmente fa la morale a qualcuno, semmai cita i fatti e ne trae le conseguenze. Per questo è forse una delle leader più interessanti che ci sono oggi in Europa, perché dà una voce alla Germania che non è sempre quella ufficiale, perché cerca di smussare i conflitti e le tensioni, anche quelli più eclatanti come con la Francia, perché non sembra appesantita dalla convivenza spesso scomoda con i partner di governo, i socialdemocratici e i liberali, e perché lavora a tenere intrecciata la trama europea.
In questo il cancelliere Scholz non è bravissimo: sembra sempre più attento agli equilibri interni al suo governo che a quelli europei; deve gestire una fase non brillante dell’economia tedesca; il suo rapporto con Parigi è burrascoso e non riesce a trovare, come è quasi sempre accaduto in passato, compromessi utili a tutta l’Ue; ha fatto una trasformazione energetica e militare senza precedenti nella storia tedesca moderna, ma sembra sempre più costretto che convinto; si è infilato in querelle evitabili come quelle sui Leopard da fornire a Kyiv, passando per il più restio a sostenere l’Ucraina quando Berlino dà più fondi finanziari e umanitari di Parigi, per dire, e i carri armati tedeschi sono sul campo e quelli francesi no. Soprattutto, Scholz ha un carattere schivo e poco amichevole – qualcuno ci ha detto: non è simpaticissimo eh – e questo elemento, che sembra superfluo, in realtà cambia la chimica degli incontri europei, delle relazioni europee, della complicità europea. In questo senso la sua ministra degli Esteri molto più idealista e molto meno cauta (qualcuno dice: avventata) lavora in controtendenza: prende l’occasione al volo per celebrare l’amicizia con la Francia, fa in modo che la chimica dell’Unione non si alteri fino a diventare esplosiva, parla chiaro e idealista ma parla europeo, e quando c’è da aggiustare, ci si mette d’impegno. Con Parigi soprattutto, perché si sa che se il tandem franco-tedesco si inceppa, in Europa non funziona quasi niente. A Pechino, cioè una delle capitali più indaffarate del mondo e altrettanto ambigua, di recente questa cosa si è vista benissimo.
Le divergenze sulla Cina. Sono molti gli argomenti su cui Francia e Germania non vanno più d’accordo, molti sui quali hanno deciso di sedersi dalle parti opposte delle barricate e, anche quando provano a parlarsi, non si capiscono: sulla Cina, per esempio, ed è forse il più grande degli esempi. La visita rumorosa di Macron a Pechino ha seguito di qualche giorno quella della Baerbock e affinché emergessero tutte le differenze, non poteva esserci una coincidenza meglio organizzata. La ministra e il presidente hanno mandato messaggi molto diversi. Baerbock, con il suo omologo cinese vicino, ha parlato di tutto: Ucraina, Taiwan e diritti umani. Ha detto che l’aumento della tensione nello stretto di Taiwan sarebbe “uno scenario dell’orrore per il mondo intero” e ha avvertito che un cambiamento unilaterale e violento dello status quo sarebbe inaccettabile per noi europei”. Macron nella sua intervista a Politico e Les Echos aveva parlato invece della necessità per l’Europa di non entrare in conflitti non suoi, e poi aveva delineato il concetto sciagurato di equidistanza tra Washington e Pechino, come se uno dei due non fosse un alleato, come se con gli Stati Uniti non ci fosse un terreno di valori in comune che invece non esiste con Pechino. Sull’invasione russa in Ucraina, Macron aveva addirittura espresso le sue speranze sul fatto che Xi Jinping riuscisse a “riportare alla ragione Putin”, come se il progetto di invasione del presidente russo non rispondesse a un piano studiato a tavolino, alla sua sete di impero, ma a un momento di confusione e follia momentanea. Poi aveva lodato i dodici punti con cui Pechino ha espresso la sua posizione sulla guerra, senza rilevare le inesattezze e le controversie. La Baerbock è stata molto più precisa: “E’ bene che la Cina abbia segnalato il suo impegno a una soluzione, ma francamente mi chiedo perché la posizione cinese non includa una richiesta all’aggressore di fermare la guerra”. Poi ha sottolineato che dall’attitudine sull’Ucraina dipenderanno anche le relazioni con l’Ue. Nessuna sfumatura, insomma. Macron invece ha usato tutte le nuance che aveva a disposizione nella missione cinese, e se il suo piano era di non disturbare troppo Xi, neppure sui diritti umani il presidente francese ha ritenuto di dover insistere. Baerbock invece non ha mollato neppure su quello, ha ricordato “la riduzione dello spazio per la società civile” e la “repressione dei diritti umani”, che sono “universali”, perché la Carta dell’Onu e la dichiarazione universale vincolano tutti i membri delle Nazioni Unite e hanno un impatto sulla “parità di condizioni” commerciali, ha ricordato la ministra degli Esteri. La sua non è da leggersi come una posizione personale, come la dimostrazione della sfumatura verde al governo in Germania, perché l’intervista di Macron ha attirato critiche da ogni lato, anche da buona parte della Spd e dei cristiano democratici, la Cdu di Angela Merkel, che pure negli anni passati era promotrice di un’epoca di mercantilismo, di dialogo con Cina e Russia. Ma l’invasione in Ucraina ha cambiato tutto e sembra che Macron a volte faccia fatica a capirlo.
Le parole diverse sulla Cina, la strategia green, le riforme dei trattati e l’assenza di complicità che bloccano tutto
In ostaggio. Al Consiglio europeo di fine marzo, è andata in scena, con i suoi effetti disastrosi, l’incapacità di Parigi e Berlino di costruire vie di compromesso che permettono di superare gli intoppi che spesso si creano quando si devono prendere decisioni collettive. Il segreto del funzionamento dell’Europa sta spesso in questo meccanismo: si parte da posizioni diverse, ci si scontra, poi si trova la quadra grazie all’intesa – alla chimica – tra vari paesi. Se le incomprensioni riguardano la Francia e la Germania il problema è più grosso. A quel Consiglio, Scholz arrivò nel mezzo di un braccio di ferro con la Commissione per aprire un varco a favore dei carburanti sintetici nel regolamento che impone la fine dell’immatricolazione di auto con motore termico nel 2035. Macron era contrario a riaprire l’accordo che era stato faticosamente raggiunto alla fine del 2022 (avrebbe poi avuto la meglio). Stessa ostilità sul nucleare: Parigi vuole che l’energia nucleare sia inserita nella lista delle tecnologie “chiave” che beneficeranno dei vantaggi dello Zero Net Industry Act, lo strumento di politica industriale che dovrebbe portare a permessi più facili e a più aiuti pubblici per il green tech. Berlino fa parte dei paesi ostili al nucleare ed è riuscita a convincere la Commissione a concedere un rango inferiore ai reattori modulari e alla fusione. In realtà questi due dossier non erano nemmeno nell’agenda di quel Consiglio, ma la rivalità franco-tedesca ha fatto di nuovo sì che si creasse uno stallo e un clima molto poco collaborativo tra tutti i paesi, in un momento in cui l’unità europea è quantomai preziosa.
I nuovi trattati. Francia e Germania sembrano non trovare la forza di rianimare il loro rapporto, e oltre all’idea delle relazioni internazionali, sono anche fatti più interni all’Ue che le dividono. Bruxelles, per dirla con un termine caro a Scholz, è di fronte a un cambiamento epocale, una Zeitenwende, che i leader europei sono chiamati a modellare, assecondare, governare, altrimenti il rischio è che rimangano schiacciati dal nuovo mondo che si sta formando. L’Ue ha bisogno di riforme, e questo a Bruxelles lo ripetono dalla pandemia, da quando si è capito che il Patto di stabilità e crescita così com’era non andava più, e anche in questo Parigi e Berlino sono contrapposte. Nei mesi estivi ci sarà da rivedere il Quadro finanziario pluriennale per il bilancio 2021-2027, Parigi ha proposto la creazione di un Fondo per la sovranità europea finanziato da nuovo debito e Berlino è contraria. Rivedere i trattati, prendere in mano e rivoluzionare il concetto di debito hanno a che fare con il futuro dell’Ue e se il motore franco-tedesco non riesce a mettersi d’accordo tutto procede a rilento. Non che Parigi e Berlino siano sempre andate d’accordo, ma ora sembrano disabituate a parlare, non trovano il tono, si incontrano e non si vedono, manca la chimica che serve, anche a Bruxelles, a trovare un compromesso. C’è un altro punto su cui le due non sono affatto d’accordo e ha a che fare, anche questo, con il futuro dell’Europa: l’allargamento. La Francia di Emmanuel Macron ha chiesto di rivedere i trattati che prevedono che l’Ue diventi più grande e più numerosa e negli ultimi anni la possibilità di accogliere alcuni dei paesi dei Balcani si è infranta contro le reticenze di alcuni paesi, tra cui Parigi. Ora che l’allargamento non ha a che vedere soltanto con i Balcani ma anche con l’Ucraina e la Moldavia, che hanno ottenuto lo status di candidati lo scorso anno, la situazione si è fatta più urgente.
Alcuni eurodeputati ci dicono che i negoziati per l’ingresso di Kyiv nell’Ue inizieranno entro l’anno. Cosa cambia per l’ovest
L’altro polo che fa funzionare l’Ue. Da quando la Merkel ha lasciato la politica, i due paesi fanno fatica a parlarsi, Macron forse avrebbe voluto prendere il posto di leader dell’Ue che era stato della cancelliera, ma non ci è del tutto riuscito. Ha ancora quattro anni davanti a sé, ma per ora fa fatica anche e soprattutto a parlare con la Germania. Scholz all’amicizia speciale con Parigi sembra non tenerci neppure così tanto, la Francia è una nazione come le altre e poi non ha il tatto del mediatore, né a Berlino né a Bruxelles. Mentre l’asse franco-tedesco si spezzetta, si rafforza invece quello dell’est e questo è un altro cruccio di Macron, che teme lo spostamento del baricentro dell’Ue. I paesi del fianco orientale dell’Europa hanno assunto dei ruoli protagonisti dall’inizio della guerra e sono sempre più impegnati anche a rendere l’allargamento realtà, alcuni eurodeputati ci hanno detto con sicurezza che i negoziati con Kyiv inizieranno prima del previsto, anche quest’anno, e credono che l’allargamento a est sia l’unico modo per far finire le guerre attorno all’Ue che hanno un motore solo: la Russia. Se l’Ucraina diventasse uno stato membro, con la sua storia, la sua grandezza e la sua popolazione, il peso dell’est diventerebbe molto consistente, preponderante e questo Parigi non sa come governarlo. Dopotutto è già successo che l’Ue si sia spostata a est, era il 2004 e l’ingresso di Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Lituania, Lettonia ed Estonia – i paesi che oggi sono protagonisti della risposta alla guerra di Putin – fu in una certa misura imposto da Berlino a Parigi. Al contrario, quando Georges Pompidou, in tutt’altra epoca, promosse l’ingresso del Regno Unito, fu il primo tentativo di arginare la crescente influenza tedesca. Con Londra sappiamo com’è andata, con i paesi entrati nel 2004 vediamo come sta andando. Ma se l’Ue si allargasse ancora a est, Berlino continuerebbe ad avere una sua posizione da protagonista, Parigi meno. Il fianco orientale dell’Ue ha le idee chiare: contribuisce, smuove, riordina. Ha vissuto sulla propria pelle la salvezza dell’essere diventati europei ed è convinto che questa salvezza vada estesa, per il benessere di tutti.
C’è una foto che è rimasta nella memoria delle relazioni franco-tedesche e dell’Europa: risale al novembre del 2018, è stata scattata a Compiègne, dove fu firmato l’armistizio, sul famoso vagone nei boschi della Piccardia, che pose fine alla Prima guerra mondiale. Nella foto ci sono Macron e l’allora cancelliera tedesca Angela Merkel, sono entrambi vestiti di scuro, si stringono le mani, sembra che si sostengano a vicenda, sono seri e complici allo stesso tempo. Era la prima volta dal 1940 che i leader di Francia e Germania non si recavano insieme in quel luogo e per le foto di rito sul vagone Macron e Merkel si sedettero vicini e non uno di fronte all’altro. La loro foto fece il giro del mondo, si moltiplicarono gli aneddoti sull’intesa tra Merkel e Macron, e se davvero la chimica tra i leader è un potente carburante per i motori europei, allora si può dire che lì s’era creata una combinazione parecchio efficace. A guardarla oggi, quella splendida foto, sembra un’immagine di altri tempi, e non solo perché la Merkel non è più cancelliera e l’eredità dei suoi quindici anni di governo è stata terremotata dalla guerra di Putin in Ucraina. Con la nostalgia non si fa funzionare l’Europa, servono nuove foto, nuove ispirazioni, nuovi ingredienti per questo indispensabile album di famiglia.