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La gran girandola delle alleanze improbabili
Sguardi storti, minacce di separazione, voti in arrivo. Il gioco della maggioranza in Ue riparte sempre con Meloni e i conservatori dal via
A Varsavia si studia come cambiare l’Europa e i protagonisti di questa ansia di cambiamento sono i conservatori, la famiglia che a Bruxelles a volte è ambita a volte disdegnata. Il gruppo fino al 23 febbraio del 2022 era il fratello ben vestito del meno presentabile Identità e democrazia, ma sovranista, euroscettico e oppositivo allo stesso modo. Poi la Russia ha attaccato l’Ucraina e molto è cambiato, i conservatori di Ecr hanno ritrovato alcuni valori in comune con altre famiglie europee e sempre meno con Identità e democrazia e si sono uniti nella difesa senza esitazioni di Kyiv e quindi dell’Europa. Gli ospiti dei giorni di studio a Varsavia, i polacchi del partito di governo PiS, dopo l’uscita dal gruppo dei Tory inglesi, sono diventati i creatori, i dispensatori di identità di Ecr. Il loro rapporto con Giorgia Meloni è stato di collaborazione sin dall’inizio, a Varsavia c’è chi ritiene di aver cresciuto Fratelli d’Italia, e in parte ne rivendica la paternità. In Polonia Giorgia Meloni era la più attesa tra gli ospiti, particolare attenzione è stata riservata anche ai cechi del Partito democratico e agli spagnoli di Vox. Ma l’incontro con Meloni, per il PiS era di particolare importanza. Non soltanto perché durante l’ultimo vertice europeo Italia e Polonia sono state su fronti opposti riguardo al nuovo Patto migratorio in un periodo in cui il PiS usa l’immigrazione come spauracchio da campagna elettorale. Ma anche perché le nuove alleanze europee passano per i conservatori e soprattutto per la figura di Giorgia Meloni che ha iniziato a tessere legami con i popolari e con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e se, dopo le europee del 2024, questa nuova maggioranza si consoliderà, qualcosa dentro a Ecr dovrà cambiare oppure dovrà esserci una separazione.
Inoltre il PiS si rende conto che le future alleanze in Europa dipenderanno anche dalle elezioni in Polonia che sono dal risultato non scontato. Il PiS domina nei sondaggi, ma non ha la maggioranza. Il suo maggior sfidante rimane la Piattaforma civica (Po) di Donald Tusk, che ha più possibilità di allearsi con altri partiti, ma la maggioranza la sfiora a fatica. Tusk siede tra i popolari, è stato anche il presidente del Ppe, e nessuno della Piattaforma civica potrebbe mai desiderare o ammettere un’alleanza europea con il PiS, men che meno dopo il tentativo del partito di governo di presentarlo all’opinione pubblica come come cavallo di Troia della Russia. A Varsavia quindi si studia, ma gli sguardi tra i conservatori non sono sempre sereni, si temono le fughe, gli accordi nascosti, i ripensamenti e si continua a studiare il futuro dell’Europa, partendo da un presupposto: comunque la si guardi, la futura maggioranza al Parlamento europeo, spuntano ovunque delle alleanze improbabili. In Polonia c’è la più dolorosa e lampante, ma ne abbiamo contate altre.
Come funziona la maggioranza. Una nuova maggioranza tutta di destra nell’Unione europea è impossibile per ragioni strutturali, aritmetiche e politiche. Strutturali perché l’Ue per come è fatta, con un Parlamento europeo dove siedono i deputati e un Consiglio dove siedono i governi, ha bisogno di essere governata il più possibile per consenso. Aritmetiche perché le proiezioni attuali dicono che mancano almeno una quarantina di seggi ai gruppi delle destre per arrivare alla maggioranza assoluta, e una manciata di deputati sopra la soglia comunque non garantirebbe la governabilità. Politiche perché nell’Ue esistono alleanze inconcepibili, perfino più che a livello nazionale, dove a volte si è costretti a fare un patto con il diavolo per mancanza di alternative. Il gran cancan sulle alleanze per la prossima legislatura europea è in gran parte dovuto al calo elettorale del Partito popolare europeo. Una ventina di anni fa il Ppe era diventata la forza dominante del Parlamento europeo e di conseguenza di tutta l’Ue. Alla fine della legislatura 1999-2004 aveva il 37,44 per cento dei seggi (295 deputati su 788). Alle ultime elezioni europee ha ottenuto appena il 24,23 per cento dei seggi (182 deputati su 751). Dopo la Brexit i popolari hanno perso altri pezzi (176 deputati su 705). E il declino è destinato ad accentuarsi, quando gli elettori andranno alle urne nel giugno del 2024: secondo le proiezioni di Europe Elects, il Ppe perderà altri 21 deputati, fermandosi a 161 seggi. Il 22,83 per cento previsto per il 2024 è molto distante dall’epoca d’oro dell’inizio degli anni duemila: quindici punti percentuali in meno. Al di là delle oscillazioni elettorali abituali, il fattore decisivo dell’emorragia di seggi del Ppe è stato il tracollo di Forza Italia in Italia e la quasi scomparsa dei Républicains in Francia.
Il corteggiamento di FdI. Per correre ai ripari la leadership del Ppe sta cercando un grande partito in un grande stato membro che gli permetta di fermare il declino e magari rimpolpare le proprie fila. L’obiettivo è restare la forza dominante dentro il Parlamento europeo, in grado di continuare a dettare l’agenda alla Commissione e condizionare le nomine nelle altre istituzioni. In Francia manca una forza di centrodestra alternativa da poter recuperare. In Italia il Ppe aveva pensato alla Lega, ma senza Matteo Salvini come leader, perché troppo ammiratore di Vladimir Putin, troppo amico di Marine Le Pen e troppo euroscettico. Quando ha capito che nessuno dentro la Lega era pronto a ribellarsi al segretario, e quando ha visto Fratelli d’Italia decollare nei sondaggi e nelle urne, ha spostato la sua attenzione su Giorgia Meloni. Certo, agli occhi del Ppe, Fratelli d’Italia dovrebbe ripulirsi un po’ e darsi una patina più europeista. Tuttavia, finora, Meloni ha mantenuto la barra della moderazione sulle cose che contano nell’Ue: conti pubblici e sostegno all’Ucraina. Anche sui migranti ha mostrato spirito cooperativo dando il suo assenso al nuovo Patto su migrazione e asilo. Nei corridoi si evocano espedienti, come la creazione di un sottogruppo del Ppe per ospitare i partiti nazionalisti (la stessa cosa era stata fatta con i Tory britannici). Seppure discretamente, il corteggiamento è in corso da diversi mesi. La trentina di deputati che Meloni potrebbe eleggere nel 2024 permetterebbe al Ppe di risalire al 27 per cento di seggi e di distanziare nettamente il gruppo dei socialisti. Ma ci sono alcune linee rosse invalicabili: se Meloni dovesse cedere alle lusinghe, non potrà portarsi dietro il partito polacco Legge e Giustizia (PiS), gli spagnoli di Vox o i Democratici svedesi, tutti incompatibili con il Ppe perché troppo estremi per non provocare un’implosione dei popolari. Ma ogni nazione ha la sua destra gemella e il suo matrimonio impossibile, e non tutto accade dentro a Ecr.
In Germania. Il re dei matrimoni impossibili in Europa è forse quello tra i conservatori tedeschi e l’AfD, che pure nasceva come uno spin off di rigorosi sull’euro ai tempi delle spese pazze della Grecia ma che oggi è una deformazione estrema della destra. La Cdu, che è alleata con i cugini bavaresi della Csu, rappresenta il gruppo più importante del Ppe che ha un tedesco, il bavarese Manfred Weber come capogruppo ed esprime la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. In Germania è ora all’opposizione – e lo sarà anche quando ci saranno le elezioni europee – ed è guidata da Friedrich Merz, che non è un leader particolarmente popolare, che ha spesso criticato la svolta centrista operata dall’ex cancelliera Angela Merkel, che detestava cordialmente, ma che ha come obiettivo non soltanto quello di mantenere il cordone sanitario attorno all’AfD, ma anche quello di svuotarla di consenso, riportando dentro ai cristianodemocratici il voto della destra tradizionale che si era disperso quando la Merkel era considerata “troppo di sinistra”, soprattutto in seguito all’apertura ai migranti nel 2015. Non si può dire che il progetto gli stia riuscendo: Merz sconta il suo atteggiamento per lo più sprezzante, ma anche la difficoltà di fare opposizione al governo del socialdemocratico Olaf Scholz senza regalare argomenti all’AfD. Ma le incompatibilità sono profonde e strutturali, lo erano durante la pandemia, quando l’AfD marciava contro i vaccini e le mascherine e i lockdown lasciandosi contaminare dalle teorie complottiste di QAnon, e lo sono ancora oggi nel sostegno finanziario e militare all’Ucraina contro la Russia. Un esempio per tutti: nel 2019, il presidente di un distretto governativo, il cristianodemocratico Walter Lübcke, fu ucciso con un colpo alla testa di fronte a casa sua da un neonazista perché aveva sostenuto la linea dell’accoglienza della Merkel. Qualche giorno dopo, un leader locale dell’AfD minimizzò quell’omicidio politico e anzi prese persino un po’ in giro Lübcke: fu poi allontanato dal partito, ma la storia dell’AfD è costellata di ammiccamenti all’antisemitismo e alla violenza, nonché alla retorica neonazista. Nel 2016, era stata la dichiarazione di un leader dell’AfD sulla necessità di utilizzare le armi contro i profughi a sancire l’uscita del partito dal gruppo europeo dell’Ecr, confluito in Identità e democrazia, dove si trova tuttora. Le dichiarazioni eversive non si sono placate, la natura oltranzista del partito non è cambiata e questo la rende del tutto inconciliabile, pur rappresentando un quinto dei consensi tedeschi secondo i sondaggi, con la Cdu e quindi con il Ppe.
In Francia. Più o meno per le stesse ragioni, nessuno nel Ppe vuole allearsi con Marine Le Pen. L’Europa è una mappa piena di incompatibilità tra partiti e leader nazionali e continentali. Basta guardare alla Francia. Emmanuel Macron non può in alcun modo cooperare con la sua grande rivale, Marine Le Pen. E non può nemmeno legittimare una sua potenziale ascesa al potere. Ecco perché gli esponenti del suo partito, la Renaissance, sono così propensi a lanciare avvertimenti o critiche a Giorgia Meloni: la priorità è dimostrare ai francesi che i populisti e i sovranisti non riescono a mantenere le loro promesse e le loro facili soluzioni su migranti, economia e politica internazionale. Ogni fallimento di Viktor Orbán in Ungheria è uno strumento politico che i macronisti possono utilizzare contro la Le Pen in Francia. Le incompatibilità francesi non stanno solo a destra. La sinistra che si era presentata unita alle elezioni legislative del 2022 sotto le bandiere della Nupes (Nuova Unione Popolare Ecologica e Sociale) di Jean-Luc Mélenchon si presenterà divisa alle elezioni europee del 2024. Il Partito socialista non ha ancora preso una decisione. Ma Raphael Glucksmann ha già detto che presenterà una lista di area socialista alternativa alla Nupes, perché Mélenchon è troppo antieuropeo e putiniano per poter convivere sotto lo stesso tetto elettorale. Anche i Verdi stanno avendo un ripensamento sulla Nupes e sembrano intenzionati a correre da soli.
In Spagna. Anche le elezioni spagnole previste per il 23 luglio sono destinate a modificare i calcoli europei perché i sondaggi dicono che il Partito popolare ora all’opposizione sarà il vincitore, registrando un aumento di consensi che potrebbe aumentare l’anno prossimo il numero di eurodeputati del Pp: oggi sono dodici, prima del voto europeo del 2019 erano sedici. Vincere le elezioni non significa governare, non soltanto in Spagna, quindi il Pp deve fare i conti con l’altro partito di destra, Vox, che nel 2019 ottenne per la prima volta della sua storia tre seggi al Parlamento europeo, e che siede dentro al gruppo dei Conservatori e riformisti. A differenza di quel che accade in Germania, il Pp non ha srotolato attorno a Vox un cordone sanitario, anzi in alcuni casi locali ci ha fatto delle coalizioni: naviga a vista, insomma, senza una linea precisa, sperando di avere il meno bisogno possibile del sostegno di Vox. Vox sta facendo una campagna elettorale poco europeista e poco aperturista, non cede minimamente al pragmatismo necessario per un eventuale dialogo con le forze conservatrici tradizionali e anche se la storia ci insegna che governando si diventa più concreti e più pragmatici, le divergenze ideologiche e strutturali tra Vox e il Ppe sono molte e non compensabili, ancor più se si pensa che il contributo in termini numerici dell’estrema destra spagnola è piccino.
La verità è che qualsiasi alleanza sarebbe troppo stretta per avere una maggioranza di destra e comunque, anche se i matrimoni improbabili dovessero farsi possibili, al Ppe non basterebbe Ecr e neppure Identità e democrazia per farcela. Quindi la maggioranza dovrà essere più eterogenea, e questo non esclude interrogativi e problemi. I terremoti politici si stanno verificando ovunque, perché i partiti stanno cambiando pelle, perdono deputati, traslocano. In Repubblica ceca, il partito dell’ex premier Andrej Babis ha perso due eurodeputate, contrarie a una possibile alleanza con il partito di estrema destra ceco Spd, membro di Identità e democrazia. Una delle grandi incognite, che in realtà sposta ben poco nella girandola dei seggi, è il Fidesz di Viktor Orbán, l’apolide che nessuno corteggia più. La sua naturale destinazione sarebbe Identità e democrazia, ma il premier ungherese sa che gli amici contano e rimane ai lati, senza che nessuno insista affinché partecipi alla conta della maggioranza. Dal ruolo di sopravvalutato demiurgo di alleanze, adesso è uno spettatore improbabile un po’ per tutti, in questo affannoso bisbiglio per creare la futura maggioranza europea.
(ha collaborato David Carretta)