Euporn - Il lato sexy dell'Europa

Usare l'oro di Mosca contro la nostra “Ukraine fatigue”

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Confiscare i beni russi congelati per aiutare l’Ucraina è possibile e rapido.  Ecco il percorso legale, economico e politico: un antidoto per chi si dice stanco

Immaginate una villetta rimasta in piedi tra le macerie, sopravvissuta ai bombardamenti ma non all’invasione. Una luce calda è accesa in una sola stanza. C’è una rara atmosfera di festa che unisce le nove persone della famiglia. Sono tutti insieme per festeggiare un compleanno, sono tutti dei sopravvissuti. Hanno sofferto e soffrono, la loro Volnovakha è stata attaccato il 25 febbraio, la lotta per la sua libertà è durata fino al 12 marzo, da quel giorno, come disse il governatore dell’oblast di Donetsk, “Volnovakha ha cessato di esistere”.  Ma loro no, i nove membri della famiglia, sono ancora  vivi, hanno una tavola lunga, imbandita, i compleanni vanno avanti, gli anni si contano, si sta insieme, si ride e ogni sorriso sembra un miracolo, ogni scherzo sembra una magia. Non dura a lungo questo senso di libertà rubata all’invasione: arriva un gruppo di soldati russi, senza bussare. Il gruppo avvisa i nove che devono cedere la loro casa all’esercito russo: sotto l’occupazione non c’è privacy, gli uomini in uniforme possono piombare in casa da un momento all’altro. Non esiste proprietà privata: tutto appartiene a Mosca, ne dispone come vuole, quando vuole. In casa, uno dei nonni si oppone. Si piazza davanti a uno dei soldati e gli ordina di lasciare subito la sua casa perché non cederà mai le sue stanze all’esercito russo. Gli uomini in uniforme non ci pensano due volte: imbracciano i fucili e sterminano un’intera famiglia. Non ci sono più sopravvissuti nella villetta di Volnovakha, non ci sono più tavole imbandite o feste di compleanno. Il cenno di normalità rubata alla paura è stato stordito con nove spari. Dai territori che la Russia ha occupato le storie trapelano con difficoltà, con messaggi sporadici mandati a familiari che si trovano fuori dai territori che Mosca sta cercando di russizzare, e così sono arrivati fino a noi. Città come Volnovakha o  Mariupol sono buchi neri, al loro interno Mosca ha bandito la lingua ucraina, ha imposto manuali scolastici in cui l’Ucraina viene presentata come un errore della storia e la sua cultura come una parentesi folcloristica della cultura russa. Queste città  hanno subìto epidemie di malattie debellate da tempo, come il colera, a causa della presenza di cadaveri putrefatti che avvelenano il suolo e l’acqua.   Il metodo applicato in questo territorio rivela l’intento principale russo: distruggere l’Ucraina, la sua lingua, la sua cultura, i suoi abitanti. Il disegno  distruttore non si fermerà a questo venti per cento del territorio occupato, andrà avanti se l’Ucraina non viene aiutata a vincere. Ma Kyiv può davvero vincere? Sì. Non da sola, ma può vincere. Serve che il sostegno occidentale prosegua, che le armi arrivino, che gli aiuti umanitari non si interrompano e serve un piano per la ricostruzione. E come la mettiamo con la nostra stanchezza? Per questo c’è un antidoto: la confisca degli asset russi congelati.
 


I soldi di Mosca. Il totale  dei beni pubblici russi congelati nelle banche occidentali ammonta a circa 300 miliardi di dollari. Hanna Hopko, Olena Halushka e Tata Marharian ci hanno spiegato cosa bisogna fare per utilizzarli, cosa sono e perché è importante fare in modo che non tornino nelle mani di Mosca. Hopko, Halushka e Marharian fanno parte della piattaforma Icuv, l’acronimo sta per International center for ukrainian victory, Centro internazionale per la vittoria ucraina, e tiene assieme alcuni dei più importanti think tank ucraini che, dopo il 24 febbraio del 2022, si sono uniti per formulare una strategia di vittoria. “Poteva sembrare strano leggere ‘vittoria’ nel nome del nostro centro, ma è l’unica chiave per una pace sostenibile e per il ritorno dell’ordine internazionale”, ci ha detto Hopko. Gli esperti di Icuv hanno iniziato a muoversi non appena gli asset sono stati congelati, quando ancora gli alleati ripetevano la parola “de-escalation”. “Poi sono cambiate molte cose, abbiamo dimostrato di poter resistere, di imparare in fretta a usare le armi, di poter fermare gli attacchi russi, inclusi i kinzhal, i missili che Mosca definisce invincibili. Siamo estremamente grati ai nostri alleati, ma se tutto l’aiuto ci fosse arrivato prima, avremmo potuto fare ogni cosa in modo più rapido”, ci ha detto Halushka. Ora si tratta di non commettere lo stesso errore con gli asset, con i beni pubblici russi che sono stati congelati e che possono servire a fermare l’aggressione. “Siamo consapevoli di quanto Vladimir Putin punti tutto sulla stanchezza dei nostri alleati – riprende Halushka – ma proprio perché c’è questo rischio bisogna agire subito. Se i nostri partner non vogliono più aiutarci con i loro soldi per ragioni interne, ecco che  hanno a portata di mano delle risorse da usare subito, senza il denaro dei contribuenti”. 

 

Non si diventa valuta di riserva da un giorno all’altro, la confisca non genera una fuga dalle risorse monetarie in euro o in dollari 

 

Le resistenze e il loro debunking. La decisione di utilizzare queste risorse dovrebbe essere presa dai paesi del G7, renderla una decisione europea è più complicato, la piattaforma del G7 invece ha dimostrato come l’adozione di misure che parevano impensabili possa essere più semplice del previsto: è già successo con il price cap, ricordano le esperte. Per i paesi occidentali, quando si parla di mettere i soldi russi nella vittoria ucraina, ci sono quattro tipi di problemi: legali, economici, politici e di sicurezza. Partiamo dai primi, e più spinosi. C’è chi sostiene che i beni statali russi siano protetti dall’immunità sulla base di una consuetudine del diritto internazionale. Ma Halushka ci spiega che la confisca dei beni, proprio in ambito di legge internazionale, può essere considerata un atto di autodifesa ed è visto come contromisura collettiva e legittima in risposta alle violazioni del diritto internazionale, e Mosca ha violato più di una norma, più di un accordo. Poi ci sono le barriere economiche, alcuni oppositori della confisca dicono che si tratterebbe di una misura con grossi rischi, che creerebbe un fuggi fuggi  da parte di vari paesi dalle riserve monetarie in dollari o euro, ma “il 90 per cento delle risorse del mondo è scambiata in sole quattro valute: dollari, euro, yen e sterline. Non c’è lo yuan cinese perché non è considerata pienamente convertibile e per essere una valuta di riserva dovrebbe essere tale, dovrebbe essere sostenuta da istituzioni forti, senza interferenze del governo sui mercati. Non si diventa valuta di riserva da un giorno all’altro, ci vogliono fattori oggettivi che né lo yuan né le rupie indiane, per esempio, rispettano. Di conseguenza non c’è rischio che le riserve di paesi terzi affluiscano verso valute diverse dal dollaro o dall’euro, ma Stati Uniti e paesi europei devono muoversi insieme”.  Passiamo alle resistenze politiche, che si basano sulle critiche di chi ritiene che la confisca sarebbe una misura arbitraria che potrebbe spingere la Russia ad agire con più forza, ma finora le linee rosse hanno dimostrato che è esattamente questo il conflitto che la Russia cerca ed è già abbastanza sanguinoso e doloroso. Arriviamo infine al discorso sulla sicurezza: “C’è chi teme che vedendosi confiscare i beni, la Russia reagirebbe allo stesso modo – spiega Halushka – ma il Cremlino ha già iniziato a farlo quando in occidente neppure si parlava di confische, basti pensare alle espropriazioni della Carlsberg, della Danone, della ExxonMobil”.

 

Chi si porta avanti. Alcuni paesi si sono già mossi, hanno iniziato a discutere di leggi per arrivare alla confisca dei beni pubblici e non di quelli privati. Hopko spiega che cambia il messaggio: “I beni privati, come le barche degli oligarchi, sono stati congelati come messaggio alla cerchia degli uomini vicini al Cremlino, gli asset pubblici hanno un valore collettivo e congelarli vuol dire fare in modo che non possano essere usati per portare avanti la guerra. Prima delle elezioni in Russia, confiscarli sarebbe un segnale potente”. Ancor prima di trovare una strada comune, vari paesi hanno iniziato a cercare la propria per la confisca. Negli Stati Uniti c’è un disegno di legge chiamato Repo Act, che manca dell’approvazione del Congresso. Adesso che il Congresso continua a opporsi alla richiesta della Casa Bianca di nuovi finanziamenti per l’Ucraina, la questione si è fatta più urgente. Il dibattito è avanti anche in Canada, nel Regno Unito è in stallo e tra i paesi non del G7, c’è l’Estonia che invece ha promosso  un’iniziativa importante già approvata dal governo e che aspetta si pronunci il Parlamento.

 

Non muoversi per paura di ritorsioni non tiene conto del fatto che Mosca ha già confiscato asset occidentali
 

Il piano per la vittoria. L’idea iniziale di confiscare gli asset russi prevedeva il loro utilizzo per la ricostruzione dell’Ucraina. I danni superano già il totale dei beni congelati e non si conosce l’entità della distruzione in zone come Popasna, Mariupol, o la stessa Volnovakha. Prima di ricostruire bisogna vincere e il piano è cambiato arrivando a prevedere l’utilizzo dei soldi russi per l’autodifesa ucraina, per comprare armi e per implementarne la produzione domestica. Hopko ricorda il mantra di Joe Biden e degli altri alleati: “Vi sosterremo fino a quando avrete bisogno, as long as it takes, ma perché non fare in modo che questo tempo sia il più breve possibile?”. La questione degli asset è una strategia di vittoria  che serve anche a mandare un messaggio a paesi come Cina, Iran, Corea del Nord: “Se Putin vince, tutti gli altri dittatori capiscono di poter fare come vogliono. Anche per chi non ha a cuore la vittoria dell’Ucraina, questa dovrebbe essere una preoccupazione urgente”, ricordano le esperte. Non c’è fiducia sulla possibilità che Putin, una volta concluso un accordo che gli consenta di trattenere il territorio invaso finora, si fermerà: “Ricomincerà, riattaccherà, vuole che l’Ucraina smetta di esistere e l’unica ragione per cui la comunità internazionale si trattiene dal definire quello che accade nel nostro paese un genocidio è perché poi sarebbe chiamata a fare qualcosa di concreto per fermarlo”.

 

Torniamo a Volnovakha, che aveva conosciuto la guerra già nel 2014 e aveva pianto uno dei più forti attacchi contro i civili che hanno preceduto l’invasione del 2022. I separatisti aiutati da Mosca spararono contro un autobus fermo al controllo passaporti, morirono dodici persone. Volnovakha ha sempre conosciuto la guerra, dagli anni della sua fondazione, è uno snodo ferroviario importante, ambito da tutti, quindi terra di conquista. C’è ormai una generazione cresciuta distinguendo il rumore di un attacco e quello della contraerea e se Putin dice che la strada per la pace è diventare russi, loro non gli credono, sanno che più Russia vuol dire più guerra.