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La difesa degli alleati europei secondo Kamala Harris

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Le parole decise della vicepresidente sul sostegno dell’Ucraina e sulla violenza russa. Che cosa pensa l’Ue guardando la campagna americana   

L’America difende e difenderà il rispetto delle regole internazionali, i valori democratici contro i dittatori e i propri alleati: questo impegno ha reso il paese più florido e più sicuro per generazioni e continuerà a farlo, ha detto Kamala Harris l’ultima volta che è stata sul continente europeo, a Lucerna, per la conferenza per la pace in Ucraina a metà giugno. La vicepresidente aveva parlato subito dopo il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, confermando la fermezza dell’Amministrazione Biden nella difesa dell’Ucraina e ribadendo quel che metà America – la metà trumpiana – fa finta di non sentire: sostenere Kyiv è indispensabile non soltanto per la sopravvivenza ucraina contro l’aggressione di Vladimir Putin, ma è anche nell’interesse nazionale americano, come lo è la sicurezza globale. Quando si è tenuta questa conferenza, s’era appena chiuso il G7 in Puglia, non si faceva che parlare della salute e dell’età del presidente Joe Biden – il dibattito televisivo che ha segnato la fine della sua campagna di rielezione non c’era ancora stato – e la percezione nei confronti di Harris era quella che si era andata consolidando nel suo mandato da vicepresidente: poco efficace, poco determinante, quasi poco rilevante. Ora che Kamala Harris è candidata alla Casa Bianca per il Partito democratico, ora che anche l’Unione europea ha trovato l’assetto, almeno per i vertici, della sua prossima legislatura, la domanda si è trasformata: quanto ci tiene Harris all’Europa? 

 

Il fuorionda velenoso. Isabel Schnabel fa parte del board della Banca centrale europea, è un’economista tedesca che fu presentata a Francoforte su suggerimento dell’allora ministro delle Finanze Olaf Scholz, ora cancelliere. In questi giorni è stato reso pubblico un commento che Schnabel ha fatto a febbraio di quest’anno riguardo a Kamala Harris: pensava di parlare in privato, ma il microfono era aperto. Ha detto: “Avrebbero dovuto costruire un candidato alternativo rispetto a Kamala Harris fin dall’inizio, non può vincere nessuna elezione, voglio dire: è senza speranze. Non so quasi nemmeno chi sia, è invisibile”. Poco dopo altre fonti anonime hanno rincarato la dose parlando con il sito di Politico: “Qualcuno sostiene che l’Ue avrebbe dovuto fare qualche sforzo in più per coltivare le relazioni con Harris, vista l’età di Biden. Ma bisogna dire che lei non ha reso facile questo compito, non si riusciva mai a trovare occasioni per incontrare Harris”. 

 

 

Il fuorionda dell’economista della Bce sulla Harris “invisibile” e gli incontri andati un pochino storti

 

Altri veleni. A ricostruire il rapporto tra l’Europa e la vicepresidente in questo mandato c’è da disperarsi: non si trova mai un commento promettente. Alcuni funzionari britannici ricordano atterriti l’incontro del novembre scorso in occasione del summit sull’Intelligenza artificiale voluto dall’allora governo conservatore di Rishi Sunak: Harris si fece attendere per un’oretta prima di presentarsi sul palco, poi parlò per un quarto d’ora smontando parzialmente le proposte fatte dal governo britannico sulla gestione delle intelligenze artificiali, ma portando esempi considerati sciatti e “banali”. Una gran delusione, insomma, che poi fu ricostruita – tra spin e recriminazioni – in termini ancora meno cordiali nei confronti di Harris: sembra infatti che la vicepresidente avesse chiesto all’Amministrazione Biden di essere messa nella condizione di dire qualcosa di efficace e di un pochino memorabile a Londra, e pazienza se era tutto il contrario di quel che l’alleato speciale si aspettasse. 

 

Alla conferenza di Monaco. Anche in occasione dell’appuntamento sulla sicurezza globale nella città bavarese, un momento importante di confronto transatlantico fuori dagli incontri istituzionali, la presenza di Harris è stata accompagnata da parecchio scetticismo. In realtà nell’ultima edizione alla fine dell’inverno, la vicepresidente ha tenuto un discorso  serio e combattivo sulla difesa dell’Ucraina e dell’occidente, cercando di rassicurare gli alleati sulla determinazione di Washington, in un momento caotico della politica americana quando gli aiuti a Kyiv erano sospesi perché il Congresso a maggioranza repubblicana non voleva approvarli. Ma in Europa è accaduto a Harris quel che è successo anche nel dibattito americano: del suo mandato si ricordano soltanto i fallimenti o le dichiarazioni scomposte (come quelli sull’immigrazione) assieme ai dissapori interni alla sua squadra e con quello del presidente Biden. Alla conferenza per la pace in Ucraina organizzato in Svizzera, dietro a Harris che parlava c’era Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale, e qualcuno ha detto che fosse stato mandato per controllarla. 

 

Il cambio di passo. Ora che Harris è la candidata alla presidenza, i toni sono molto cambiati: gli europei si sono lasciati contagiare dall’euforia scoppiata in America, un misto di sollievo e di nuova opportunità quando tutto sembrava perduto. Le elezioni americane sono tornate interessanti, dicono alcuni diplomatici, riconoscendo a Biden il fatto che sia stato un grande presidente per l’Europa che si è ritrovata in guerra, ma che la questione della sua età avesse logorato in modo irrimediabile la sua candidatura. Molte delle cattiverie sibiliate su Harris sono state cancellate, ma l’euforia non compensa il timore che comunque a vincere a novembre in America sarà Donald Trump. E come si sa, in Europa c’è un grande terrore per il suo eventuale ritorno, tutti ripetono in coro che si stanno preparando, che questa volta non si faranno trovare impreparati, anche se per ora non è che sia stato fatto granché. L’approccio più pragmatico a questo possibile sconvolgimento in arrivo lo ha avuto il governo inglese di Keir Starmer, il primo dal 2016 (anno della Brexit e anno della vittoria di Trump) ad aver riaperto il dialogo con l’Unione europea in nome di un’urgenza di sicurezza globale che ha il suo fulcro in Ucraina ma che riguarda tutto l’occidente. Il ministro degli Esteri polacco,  Radoslaw Sikorski, ha indicato un approccio che sembra quello prevalente tra gli europei: “Ho incontro Kamala Harris e la sua squadra, ma ho anche avuto incontri con persone vicine a Trump e nel mio incontro con membri della Commissione europea, ho consigliato di tenere aperto il dialogo con entrambe le parti”. La cautela prevale un po’ ovunque e la cosa più vicina a un endorsement pubblico per Harris è stata la dichiarazione della ministra degli Esteri belga, Hadja Lahbib, che ha detto: “Auguro tutto il meglio possibile a Kamala Harris, è una donna forte, le auguro ogni bene”. 

 

Molti europei conoscono bene il consigliere Philip Gordon. La propaganda russa riprende gli epiteti trumpiani e li allarga  

 

Il consigliere. In Europa molti conoscono Philip Gordon, che oggi è il consigliere per la Sicurezza nazionale della vicepresidente, ma che da anni lavora tra il dipartimento di stato e la Casa Bianca durante i governi dei democratici. La conoscenza si è sviluppata soprattutto negli anni in cui Gordon lavorava al desk europeo ed euroasiatico del dipartimento di stato guidato da Hillary Clinton, ma la passione europea del consigliere è ben più antica: nel 1993 ha pubblicato un libro dal titolo “Una certa idea di Francia”, in cui analizzava l’eredità di Charles de Gaulle sulla Francia che si stava integrando in Europa, chiedendosi se fosse un punto di forza – la definiva “autostima” – o se invece questo sentirsi più indipendenti e “unici” avrebbe costituito un impedimento per una Francia più europea (propendeva per la seconda). L’ultimo libro di Gordon risale al 2020 e riguarda il medio oriente – Gordon era tra i sostenitori dell’accordo sul nucleare con l’Iran – e molti lo hanno ripreso in mano in questi giorni: si intitola “Losing the long game” e il sottotitolo è: “La falsa promessa di un regime change in medio oriente”. Gli europei pensano che troveranno più affinità con Harris rispetto a quella che hanno avuto con Biden per quel che riguarda i rapporti con Israele. 

 

Harris ha parlato sempre in modo coerente e deciso contro l’invasione di Putin in Ucraina: era alla conferenza di Monaco quando è arrivata la notizia della morte di Alexei Navalny e subito Harris ha detto che la responsabilità era del Cremlino. La reazione immediata della propaganda del Cremlino è una conferma del fatto che la vicepresidente americana continuerà nel difendere l’Ucraina e l’occidente dall’aggressione e dalla minaccia russa: i propagandisti utilizzano gli stessi epiteti dei trumpiani – cioè che Kamala ride sempre, ride troppo, è perché è pazza – e ne aggiungono di loro, evocando gli scenari apocalittici a  loro tanto cari: “Harris che ha accesso al bottone nucleare – ha detto uno – è come una scimmia con una granata in mano”. Gli insulti russi sono la migliore delle rassicurazioni. 

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