Prendere spunto da Joyce e Yeats per battere l'Irlanda
Italiani (terroni soprattutto) e irlandesi (non importa di quale Irlanda, se inglese o irlandese, del Nord o Repubblica), cominciarono a darsele di santa ragione, tra le strade e i fronti del porto di New York, già agli albori del Novecento: loro erano già establishment (controllavano sicurezza e cattolici) quando noi, affamati, afasici e smarriti, arrivammo. Marchiandoci con l'equazione "italiano uguale mafia", ci tennero alla larga da tutto, finché Joe Petrosino, terrone di Padula (Salerno), pur vessato e screditato, non riuscì a scalare gli alti vertici della polizia newyorchese, in seno alla quale sventò una parte consistente delle infiltrazioni mafiose della città. Fu assassinato nel 1909: pare stesse preparando un colpo letale alla Mano Nera, la cosca più potente della città, la stessa che diede il primo lasciapassare ad Al Capone (anche lui di sangue salernitano) a Chicago, a un anno dal matrimonio di lui con Mae Coughin, una fanciulla, pensate un po’, irlandese. Simone Zaza ha imparato a giocare a calcio sui campetti sgangherati di Bernalda, il paese lucano da cui la famiglia di Francis Ford Coppola, il regista che con "Il Padrino" ha raccontato al mondo la mafia italo-americana, partì alla volta degli Stati Uniti.
Ma il cinema non fa per gli irlandesi: loro, per sognare, preferiscono ricorrere a Guinness e folletti. James Joyce s'innamorò del cinema in Italia, a Trieste, dove si era trasferito agli inizi del Novecento, quando la città pullulava di sale cinematografiche (ne aprirono ben 35 solo dal 1905 al 1918). Propose, allora, a tre imprenditori triestini di investire a Dublino, nel primo cinema della città: nacque così, nel 1909, il Cinema Volta, al 45 di Mary Street, con la direzione artistica di Joyce e i soldi di Antonio Machnich, Giuseppe Caris e Giovanni Rebez. Agli irlandesi, però, il cinema proprio non interessava: l'impresa naufragò dopo solo un anno, il Volta cambiò gestione, perdendo gloria e smalto, ma intanto una lacuna era stata riempita. Verosimilmente ignaro della goffa relazione tra settima arte e Irlanda, ma volendo forse anche lui ficcarsi nel solco delle fiammeggianti relazioni tra terroni e irlandesi, Giuliano Sangiorgi (di Nardò, Lecce), chiamato ad impreziosire il perdibile film "Cemento armato", scelse, nel 2007, di duettare nella sua "Senza fiato" con Dolores O' Riordan (nata a Limerick, che in gaelico significa "palude deserta”) dei Cranberries, il gargoyle canterino appiccicato a Zombie come Sinead O' Connor agli psicofarmaci.
Ne venne fuori “Senza fiato”, un impiastro in cui lei urlava e gemeva insensatamente, come sempre dilaniata da una strage bosniaca interiore: per l'Italia tanto bastò per insignire il duo del David di Donatello.
Nel 1928, il poeta Yeats scrisse a Lady Gregory, da Rapallo (piena terronia) - dove si era trasferito per rimettere in sesto i suoi polmoni: "Qui posso liberarmi dell'asprezza delle diatribe irlandesi e scrivere i miei versi più amabili".
Nel 2014, Bono Vox scrisse a Matteo Renzi: "Siamo orgogliosi di vedere che il nostro Paese preferito ha la leadership che si merita". Gli irlandesi preferiscono l'Italia perché hanno bisogno di licenze sornione e stacchi dalla loro litigiosa, scalmanata inquietudine.
Per vincere a Lilla, allora, potrebbe essere sufficiente ipnotizzarli – tanto in attacco ci sono i terroni dello stesso sud di “Sud e magia” di Ernesto De Martino. "Il mondo è pieno di irlandesi o di persone che vorrebbero esserlo" dice Scrap a Frankie (lettore appassionato di Yeats) in "Million dollar baby". Il mondo, forse, ma non l'Italia.
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