Non solo Cristiano Ronaldo, tutte le lacrime della Francia per la finale persa
Quando c’è una battaglia ed è una Bérézina, con l’accento sulla a come dicono i francesi, non resta che piangere. Aux larmes, citoyens. Piange la bella parigina, il volto dipinto di blu bianco e rosso, le sue lacrime sciolgono e tutto impastano in un rimmel indefinibile e disperato.
Piange Patrice Evra, le tonton, lo zio, che ha fallito un’occasione per dimostrare la sua assoluta grandezza e di occasioni non ne ha ancora molte. Piange Paul Pogba, nascosto dentro la maglia ripiegata sul volto.
Piange invece davanti a tutti, senza nascondersi, colui che gli ha coperto non poche magagne, Blaise Matuidi. Il suo pianto irrefrenabile, nervoso, sfiancante, con i compagni che lo sorreggono mentre sale verso la tribuna, ha reso ancora più doloroso il blues all’anima di tutto un popolo. Piange Antoine Griezmann, la sua è rabbia più che dolore: accovacciato in mezzo al campo riflette sul suo destino, due finali europee perse in meno di due mesi, un incubo.
Non piange invece Didier Deschamps solo perché è nato nel paese basco, terra di duri. Svuotato, vaga da solo per il campo, la medaglia al collo, chiedendosi cosa sia successo. Lo confermeranno commissario tecnico, lo riceveranno all’Eliseo per felicitarsi per il bel percorso, chi c’è passato sa che non c’è niente di più triste. Quando ancora giocava al calcio, Eric Cantona, che all’epoca era la stella della Francia, lo trattava da portatore d’acqua senza talento: eppure nella sconfitta svetta. Gli stanno rendendo tutti un omaggio che ha qualcosa di sorprendente, degno, umile, lucido, uno che padroneggia l’uso della parola e sa riconoscere i propri errori, i propri limiti, così diverso dai politici del tempo.
Per esempio da François Hollande, che domenica mattina metteva le mani avanti, la vita riprenderà il suo corso, dopo. Eppure voleva che la realizzazione del sogno lo cambiasse un po’ il corso della vita, lenisse le ferite, la scia di sangue lunga diciotto mesi, i conflitti sociali incartapecoriti: per questo il presidente è andato e si è presentato a ogni partita, oltre le esigenze del protocollo, ha indossato sciarpe e insegne a rappresentare Nazione e Nazionale, voleva essere benaugurante, è sembrato ingolfato e goffo. A lui si è aggregato anche Manuel Valls, che è andato ben al di là dei suoi doveri di primo ministro.
Il fatto è che il presidente piange solo se sta scritto in una mozione di sintesi di un congresso socialista. E il primo ministro quasi mai è stato visto sorridere. Così buongiorno tristezza, addio solennità del gesto, addio bellezza dell’icona: la loro fortuna è che la popolarità in politica non può scendere sotto zero. Anche i portoghesi hanno pianto, lacrime dolci: è stato premiato il loro calcio al limine geografico dell’Europa, un po’ continentale e un po’ coloniale, un po’ pigro e un po’ geniale, infantile e smaliziato: meritavano il titolo per il tempo e la passione con cui l’hanno inseguito. E poi per quel fenomeno che quando tira e salta è dinamite e ora ha dimostrato che è il numero uno. Un leader naturale: quasi gli fracassano il ginocchio, non gliela fa più, è costretto a uscire e lui con la gamba fasciata saltella, incoraggia, strepita, soffre e prega: e gli altri tutti danno anche quello che non hanno e riescono a vincere, spirito operaio e mente da filosofi.
Cari francesi, noi italiani del vostro dolore abbiamo avuto cognizione, ci siamo passati, sappiamo cosa significa arrivare tra mille incognite a un gran momento e vederlo svanire in una frazione di secondo. Un paio di volte siete stati proprio voi a fotterci. Ne abbiamo serbato un certo rancore. Ma la seconda patria è di tutti: e mai io avrei vilmente fatto tifo per i vostri avversari. Anche la mia serata è stata dunque malinconica e fino all’ultimo ho sperato che voi diventaste campioni d’Europa. Così farvi il culo la prossima volta, sai che grande goduria.
Il Foglio sportivo - in corpore sano