Il declino dell'alta finanza e la lezione di Sorokin
Le ragioni del declino morale - prima ancora che economico - della grande finanza internazionale. Come in meno di trent'anni di storia siamo passati da un modello socioculturale fondato sui valori imprescindibili della solidità e dell'affidabilità personale - imbevuto di cultura -, al dominio incontrastato di un neo-brigantaggio finanziario costituito da tecnocrati privi di qualsiasi coscienza ideale.
Sic transit gloria mundi. Chi voglia gettare il proprio sguardo sul mondo della finanza internazionale, vi scorgerà un sistema dominato da valori-fine socioculturali in radicale contrapposizione a quelli predominanti fino a venticinque o trent’anni fa. È evidente notare come la natura profonda di un tale mutamento culturale sia (come sempre) da ricercare in quell’impalcatura di qualità morali che contraddistingue le donne e gli uomini che ne compongono oggi il tessuto umano; le motivazioni interiori di quegli eserciti di giovani graduates che ingrossano ogni anno (sempre meno) le file delle avanguardie delle grandi banche d’affari globali.
Pitirim Sorokin nella sua magistrale opera “La crisi del nostro tempo”, faceva dipendere l’inevitabile decadenza dell’Occidente dalla crisi morale del sistema di verità sensistico. “Conosciamo sempre meglio il sempre meno”: eloquente sintesi di una tendenza intellettuale egemone pervasa da un irrefrenabile atomismo culturale. Disgregazione dei valori contrattualistico-familiari, erosione degli equilibri psicosociali degli individui. Questa l’impietosa diagnosi del sociologo, che individuava nella ripresa di un modello normativo ideazionalistico – e cioè fondato su valori trascendenti e assoluti (quello delle religioni rivelate, per esempio) – la cura necessaria, e non indolore, per l’Umanità.
Una simile evoluzione, da ideazionale a sensistico, ha vissuto il sistema della finanza internazionale. Osserviamone dunque le principali linee di sviluppo storico. Giorgio Questa (professore di economia finanziaria all’università Cass di Londra), in una recente intervista, con straordinaria lucidità, individuava le ragioni di questa crisi nella progressiva iper-specializzazione delle funzioni e delle mansioni. Sempre più si inizia, giovanissimi, in un’area specifica di attività (altamente tecnica), e si rimane in quel segmento per tutta la carriera, con posizioni crescenti di responsabilità, perdendo in tal modo la visione d’insieme. Il risultato è la produzione di dirigenti straordinariamente competenti nel loro micro-segmento, incapaci però di comprendere cosa in effetti faccia quell’oscuro collega che siede a soli cinque metri da loro.
Così non era sino a un paio di decenni fa. Oggigiorno i banchieri d’affari sono sempre più assimilabili a semplici bancari, privi di una superiore idea del loro ruolo sociale; non di rado indifferenti a qualsiasi forma di vita culturale. Tormentosamente assorti nel raggiungimento di un risultato di breve termine da tramutare in un (sempre meno generoso) premio monetario. Un senso di profonda frustrazione, di risentimento angoscioso verso un sistema che non “rende più ricchi”, domina in specie coloro i quali si accingono a svolgere questo mestiere; i giovani bankers oxoniani, i brillanti laureati di Harvard, o della Bocconi.
Un ulteriore motivo di decadimento del settore, e della progressiva erosione di prestigio dell’attività, può essere fatto risalire a quel processo di trasformazione (sul finire del secolo scorso) da partnership private in public companies delle principali banche d’affari americane. Goldman Sachs, Lehman, Merrill erano tutte realtà private i cui vertici investivano direttamente i loro personali patrimoni nell’impresa. La loro attività era prevalentemente di supporto al sistema produttivo attraverso le attività di capital market. I membri di queste prestigiose società erano spesso i rappresentanti dell’alta aristocrazia (non solo) capitalistica euro-americana. I rischi in bilancio erano limitati, pochi derivati, e rigida separazione con le attività di banca commerciale (Glass-Steagall Act).
La nuova generazione, armata di una strumentazione tecnico-quantitativa paurosamente vasta (non di rado nei corridoi ci si imbatteva in fisici indiani), e da una avidità di guadagno (e forse di riscatto sociale) non meno raggelante; questi nuovi venuti in poco tempo imposero la loro signoria e il loro sistema di valori irrimediabilmente sensistici. Ormai era impossibile tornare al passato, tutto era divenuto troppo complesso, il declino era irreversibile.
Forse con la cacciata dei mercanti dal tempio (o piuttosto con il loro spontaneo abbandono) - non vedendo essi più in questo settore una fonte di immediato arricchimento personale - la finanza internazionale tornerà alle sue antiche virtù di sobrietà e di prudenza.
Il Foglio sportivo - in corpore sano