Democrazia e finanza: una riflessione su un rapporto non di rado perverso
Il timore di attacchi speculativi nei confronti dell’Italia non appare per ora imminente. È vero che il Paese attraversa una fase per così dire di incertezza istituzionale dovuta all’assenza di una legge elettorale identica per entrambe le camere del Parlamento, ma i conti pubblici sono in sostanziale equilibrio, nonostante le debolezze strutturali connesse all’elevato debito pubblico. Ciò detto, appare quanto mai sintomatica di un’irriducibile forma di provincialismo politico quell’abitudine a richiamare all’ordine le forze politiche dietro la velata minaccia degli attacchi speculativi internazionali. Quasi che il Parlamento e le istituzioni ne avessero un’esigenza ontologica; una ragion d’essere immanente alla loro dialettica politica.
È così che almeno una volta ogni mese qualche benpensante ci esorta ad approvare una legge elettorale in tempi rapidi: e comunque prima che i mercati perdano la pazienza. Il fatto che non vi sia un chiaro meccanismo di voto è di per sé un elemento di indefinibile onta; il quale diviene del tutto insopportabile quando associato a moniti, e inviti a fare in fretta, che non hanno effetto alcuno se non quello di rafforzare quel senso di intollerabile controllo esterno alla vita democratica.
Non quell’indefinibile e profondo stato di indignazione dei cittadini che si vedono espropriati nei loro diritti democratici; ma solo la paura della speculazione costituirebbe il motivo unico in grado di spingere la nostra classe politica ad agire.
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