Brexit: le "incertezze radicali"
Breve nota sull'apertura dei negoziati. Cosa è legittimo attendersi.
Verrebbe fatto di nutrire un legittimo scetticismo circa i buoni propositi e le apparenti «convergenze» nel giorno dell’apertura delle negoziazioni sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Affiora una singolare quanto sospettosa volontà di rifuggire preventivamente da un’aperta conflittualità sui temi controversi dei diritti degli immigrati e degli impegni finanziari. Un’illusoria distensione che con ogni probabilità cela, da una parte, tutta l’enormità del compito da affrontare; il gravame insostenibile di fronte ad un’opinione pubblica che s’è pronunciata in certo modo incerta, dubbiosa, sulle prospettive di una Brexit “dura”; restituendo un responso elettorale interpretabile forse come un affievolimento dell’indignazione originaria che ha condotto alle decisione del divorzio: quasi un ripensamento, una riconsiderazione degli effetti che già in parte si avvertono – e non solo sull’economia. L’angoscioso sentimento, che s’insinua nella coscienza collettiva di buona parte degli inglesi, di aver compiuto un imperdonabile errore; di essersi lasciati trasportare da pulsioni egoistiche indefinite, dalla paura dei mutamenti globali. E che l’isolamento insulare avrebbe costituito una valida alternativa di vita; un’evasione dalla prigione delle «incertezze radicali» che tiene ormai luogo degli antichi modelli universalistici della «rivelazione» economico-finanziaria. E l’amaro disincanto che a tutto ciò ineluttabilmente consegue.
La conseguenza tangibile, sul piano politico, è quella di un gabinetto indebolito e logorato da tensioni interne che presumibilmente influiranno sulla postura negoziale. Ma è prematuro dirlo. D’altra parte, quella Europea, non è mutato l’approccio di sostanziale inflessibilità sulla pregiudiziale degli impegni finanziari, e della subordinazione di qualsiasi altra questione alla preventiva risoluzione di quest’ultima.
Per questo e altri motivi non è difficile comprendere le ragioni di tardivo buon senso di quanti sostengono la necessità di un approccio più accondiscendente, da parte britannica, verso le ragioni europee (specie finanziarie). Quasi a simulare in certo modo una forma di remissiva rassegnazione, con l’intimo scopo di negoziare un periodo di “transizione” più lungo; Il quale, d’altro canto, non rappresenterebbe una tragedia per l’Unione: lasciando che l’«ancien regime» prevalga, e l’oblio collettivo faccia il suo corso, e magari tra qualche tempo un nuovo referendum con esiti questa volta opposti.
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