Banche Venete: la verità!
Perchè la retorica del «regalo a Intesa» è falsamente insinuante e strumentale. I numeri del piano predisposto dal governo e dalla Banca d'Italia. I parallelismi assurdi e fuorvianti con il caso spagnolo del Banco Popular.
No: non s’è trattato di un regalo a Intesa. E ogni polemica tesa a esaltare l’immagine del favore elargito, della connivenza, dei sottintesi Stato-banche, non altro è se non «cattiva propaganda», inutile strumentalizzazione di una vicenda complessa sul piano tecnico almeno quanto dolorosa sotto il profilo umano e sociale. E prova ne siano i numeri: l’intervento dello Stato – esborso effettivo e garanzie (aleatorie) – si configura «fino a» un importo complessivo di 17 miliardi di Euro. All’incirca un punto percentuale di Prodotto interno lordo. Su questo è opportuna una considerazione di natura politica: l’Italia ha sinora contribuito per 16 miliardi – a fronte di un impegno a versarne fino a 125 – al Meccanismo europeo di stabilità (Esm), l’istituzione continentale preposta alla gestione delle crisi finanziarie dei paesi aderenti. L'Italia non ha, ad oggi, utilizzato alcuna risorsa del fondo – non un singolo euro – per il rafforzamento del proprio sistema finanziario, pur così rilevante in termini di masse. Ha però onorato i suoi impegni quando a chiederne un intervento sono stati, in ordine cronologico, il governo Greco, Cipriota e Spagnolo.
Ma c’è di più: in media i paesi aderenti all’Unione monetaria hanno utilizzato l’otto per cento del proprio Prodotto interno lordo per la messa in sicurezza dei rispettivi sistemi finanziari nazionali; inclusa la virtuosa Germania. Ebbene, il governo di Roma (Renzi prima, Gentiloni poi) attraverso il «decreto di Natale», passato alla storia come «salva-banche», stanzia la ragionevole cifra di 20 miliardi. Cinque, all’incirca, verranno utilizzati per la ricapitalizzazione precauzionale del Monte dei Paschi: nel quale, è bene ricordarlo, lo Stato diverrà a tutti gli effetti azionista. Intervento, peraltro, in totale conformità con la direttiva europea in materia di «aiuti di Stato». 5 miliardi ulteriori costituiscono l’esborso (certo), per cassa, a beneficio di Intesa al fine di garantire la stabilità dei coefficienti patrimoniali. La capitalizzazione della storica Sga – che dovrà gestire le procedure di recupero delle posizioni deteriorate esulanti il perimetro di attivi ceduti a Intesa –, al netto del prestito di cinque miliardi concesso dall’istituto torinese (all’uno per cento, con garanzia dello Stato), viene posta in essere tramite la conversione dei subordinati e del residuo patrimonio netto degli istituti liquidati. Il totale delle garanzie è nell’intorno di 12 miliardi, ma si tratta di un valore aleatorio, sul quale peseranno fattori esogeni difficili da prevedere. Non si esclude che una buona gestione possa nel tempo conseguire buoni tassi di recupero delle sofferenze; e che l’importo effettivo in garanzia sia inferiore di misura a quello messo a disposizione.
Le somiglianze e i parallerismi col Banco Popular? Del tutto inappropriati. Santander eredita una banca con sofferenze svalutate fino al 20% del valore originario; attore primario nel segmento dei prestiti alle piccole e medie imprese spagnole; con un’impressionante penetrazione nel settore immobiliare. Per converso, le venete rilevate da Intesa, conseguivano perdite operative prima ancora delle svalutazioni sui crediti; poggiando su un’attività di remunerazione degli impieghi alquanto insostenibile, e un tasso di sofferenze da far tremare le vene e i polsi. Naturale che Intesa pretendesse garanzie. E solide. Si poteva negoziare meglio con il gruppo piemontese? Forse. Ma quale sarebbe stata l’alternativa. È escluso che il Presidente della Repubblica avesse mai potuto cedere a pressioni per inviare l’esercito alle porte di Ca’de Sass. Con buona pace dei nostalgici.
Viene in tal modo a dilacerarsi l’Unione bancaria? Nulla di più falso. Quanto fatto dal Ministero dell’Economia e dal governo, è pienamente conforme alle norme sugli aiuti di Stato, e alle deliberazioni degli organi della Banca centrale europea: Meccanismo unico di supervisione, e Comitato di risoluzione unico. La temuta risoluzione ai sensi della direttiva sul risanamento degli istituti in crisi (Brrd), non trovava ragion d’essere alla luce delle condizioni maturate. Per nostra fortuna, ci permettiamo di aggiungere. Il merito va tutto al governo, al Ministro dell’Economia, e alla Banca d’Italia per la loro tempestività. Si rassegnino gli accigliati accademici che urlano allo scandalo, al «salvataggio» delle banche, all’onta dei «regali». Era preferibile la ricapitalizzazione precauzionale? Era evidente che lo fosse. Ma non c’è stata concessa per la mancanza di una “soluzione privata” credibile. Si badi: credibile! Quattro fondi hedge (due dei quali dei perfetti sconosciuti), non soddisfano il criterio minimo del principio di affidabilità. E ancora: con quali prospettive gestionali? E con quale ottica d’investimento?
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