L'abbraccio e Il programma
L’ex-sindaco di Milano deve sciogliere i dubbi sul programma del suo campo in materia economica.
S'evince un fondo di incomprensibile rancore, di intransigenza pregiudiziale verso le persone, più che sulle idee e sui programmi; di profondo e accorato sdegno per quell’abbraccio fra Giuliano Pisapia e Maria Elena Boschi, che avrebbe invece dovuto suscitare compiacimento e adesione morale, quale meravigliosa manifestazione di trasporto emotivo e di sentimenti umani sinceri e cordiali. No: tutto ciò è inconcepibilmente malsano secondo i dogmi della semiotica ufficiale demo-progressista. Vi si leggono, nella cordiale gestualità che caratterizza l’uomo, i tratti di un’ideale antitesi all’accigliato leader di fabbrica; incline – nel vieto immaginario di una certa sinistra intransigente – allo scontro verbale, quando non fisico. Ostile a qualsiasi logica conciliatorista.
Pisapia, uomo incline alla spiritualità, ha ben compreso i moti dell’animo, le intime ragioni esistenziali, di buona parte degli scismatici di Mdp; e con aristocratica riluttanza tende a dare risonanza a certe sfumature di non allineamento, di distacco intellettuale dall’ortodossia del movimento. E fa bene: perché oltre agli anfratti dell’interiorità, conosce i meccanismi – questi profondamente materiali – della politica, del suo crudo realismo. E infatti non ha avuto remore nel definire, giustamente, «surreali», quando non strumentali, quelle polemiche. Si rifiuta sdegnosamente di innestare la sua dialettica sul tronco del più aberrante antirenzismo ideologico.
Qui terminiamo gli elogi, e poniamo al leader di Campo progressista un interrogativo concreto: qual è il suo programma? Egli afferma di voler creare, con “Insieme”, un movimento che sia espressione di una sinistra con «cultura di governo»: qual è dunque il pensiero di Pisapia sulle vitali – per il nostro Paese – questioni di politica economica, flessibilità di bilancio, rapporti con l’Unione europea, immigrazione. Parlare di “discontinuità” non è sufficiente: discontinuità nei confronti di cosa? Delle riforme strutturali varate nei Millegiorni? Dell'intonazione espansiva di politica fiscale sostenuta da Matteo Renzi? Agitare il totem dell’articolo 18 dei lavoratori, senza proporre alternative concrete di policy, appare più come una concessione alle frange estremiste del suo schieramento, che non un’intima convinzione trasposta in uno sforzo programmatico. È Forse a questo che si riferisce Bersani nel suo monito a porre fine alle «ambiguità».
E su questo programma – inesistente oggi –, e sull’evoluzione (improbabile) della legge elettorale, si giudicherà dell’opportunità o meno di una lista unica, di una coalizione pre-elettorale, o di un accordo dopo le elezioni. Ma è essenziale che vi sia al fondo sintonia sui contenuti. Discutere oggi di alleanze “a sinistra” per il Partito democratico, equivale a firmare un assegno in bianco in favore di D’Alema. E l’atteggiamento essenzialmente dubitativo di Renzi, che apre al confronto, ma chiede di scoprire le carte, è invero del tutto comprensibile.
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