Europa Ore 7

Più paura delle elezioni in Francia che della guerra

La Russia avverte Svezia e Finlandia sulla Nato, l'Ue chiude una falla delle sanzioni sulle armi e la Bce rinvia le scelte difficili a giugno. L'Ue condanna Johnson sui migranti (e dimentica la Danimarca) 

David Carretta

La Commissione sta lavorando al sesto pacchetto dall'inizio del conflitto, che potrebbe toccare anche il settore petrolifero

Le istituzioni dell'Unione europea da oggi sono ufficialmente in vacanza e, a meno di un nuovo massacro della Russia in Ucraina, non c'è da aspettarsi nulla di nuovo fino alla Pasqua ortodossa. Il problema non sono tanto le vacanze pasquali – quelle cattoliche in Belgio o quelle ortodosse in alcuni stati membri – ma il secondo turno alle elezioni presidenziali in Francia. Il 24 aprile ci sarà il ballottaggio tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen. L'Ue teme di trovarsi l'indomani con un problema molto più grosso della guerra russa: un alleato di Vladimir Putin non solo in casa, ma ai comandi nel secondo stato membro più importante del club. Sul Monde Alain Frachon spiega che nemmeno il presidente russo sognava più una vittoria del genere: un presidente in Francia che vuole smantellare l'Ue e i legami transatlantici. Come ha detto Enrico Letta, Marine Le Pen all'Eliseo “sarebbe una vittoria molto maggiore per Vladimir Putin che conquistare l'Ucraina”. I sondaggi continuano a dare Macron leggermente in testa (tra il 53 e il 55 per cento). Ma il margine di errore non è lontano e una settimana è ancora lunga.


Sul Foglio spieghiamo che, complice il ballottaggio in Francia, l'Ue è entrata in una fase di inerzia della sua risposta alla guerra di Putin. Solo che questo è il momento peggiore. Il fallimento del Blitzkrieg e la nuova offensiva nel Donbas danno avvio a una guerra molto più lunga e con implicazioni di sicurezza molto più gravi per l'Ue. Ora sarebbe il momento delle scelte più difficili, sia sulle sanzioni sia sulle forniture di armi. In sostanza l'Ue deve decidere se farsi coinvolgere pienamente (anche se non direttamente dal punto di vista militare) nella guerra. “E' difficile decidere nuove sanzioni se il 25 aprile ci ritroviamo un presidente francese che è contrario”, ci ha spiegato una fonte diplomatica. L'efficace campagna di Le Pen sul potere d'acquisto dei francesi ha fatto alzare le antenne di Bruxelles anche sul problema dell'aumento del prezzo dell'energia. “Oltre ai costi economici per le imprese di un embargo sugli idrocarburi, dobbiamo tenere conto dei costi politici”, ci ha detto la nostra fonte.

La Commissione sta lavorando al sesto pacchetto dall'inizio del conflitto, che potrebbe toccare anche il settore petrolifero. La proposta dovrebbe arrivare dopo il 24 aprile. Ma, secondo le indiscrezioni che abbiamo raccolto, sarà lungi dall'essere un embargo immediato su tutto il petrolio. Come nel caso del carbone, ci sarà comunque un lungo periodo transitorio per i contratti in essere. Il divieto di importazione potrebbe essere limitato ai prodotti petroliferi raffinati. Ci potrebbe essere un'eccezione per il petrolio trasportato via gli oleodotti. L'embargo sarebbe costruito su misura della Germania. Il governo Scholz ha già annunciato di voler rinunciare al petrolio russo entro la fine dell'anno. Le raffinerie nella Germania dell'est continuerebbero nel frattempo a ricevere il greggio attraverso gli oleodotti. Un embargo sul gas da parte dell'Ue rimane al momento escluso, anche se Ursula von der Leyen ha lasciato intendere che potrebbe proporre dei meccanismi sul tetto del prezzo all'ingresso collegati alla creazione di un conto bloccato dover collocare gli extra profitti della Russia.

A Berlino la distrazione dalla nuova fase della guerra è tutta interna. Oltre all'esercizio di introspezione sugli errori passati sulla Russia, la coalizione tra socialdemocratici, Verdi e liberali è spaccata sulla fornitura di armi. Diversi deputati dei Verdi e della Fdp hanno attaccato Olaf Scholz per non aver ancora dato il via libera alla fornitura di armamenti pesanti. "Vediamo che l'Ucraina è in una guerra inimmaginabile, che non lascia tempo di esitare o riflettere", ha detto la liberale Marie-Ange Strack-Zimmermann. "Il problema è nella cancelleria", ha spiegato il verde Anton Hofreiter. Anche dentro la Spd si sono alzate voci di protesta contro le esitazioni di Scholz. "L'Ucraina ha bisogno di tutte le armi in modo che possa difendersi ancora meglio", ha detto l'ex ministro per gli Affari europei, Michael Roth. In un editoriale Il Foglio spiega che Berlino è sempre alle prese con la sua Ostpolitik. Intanto l'Ucraina ha ottenuto un successo militare spettacolare, riuscendo ad affondare il principale asset navale della Russia al largo delle sue coste. Sul Foglio Cecilia Sala spiega che colpire l'ammiraglia Moskva, che ha generato il primo motto della resistenza, è la terza missione apparentemente impossibile che riesce all'Ucraina.

 


Sono David Carretta e questa è Europa Ore 7 di venerdì 15 aprile, realizzato con Paola Peduzzi e Micol Flammini, grazie a una partnership con il Parlamento europeo.
 

Informazione di servizio: non solo le istituzioni dell'Ue, ma anche questa newsletter va in vacanza per qualche giorno. Ci ritroviamo mercoledì 20 aprile.


 

La Russia avverte Svezia e Finlandia sulla Nato - L'ex presidente e primo ministro russo, Dmitri Medvedev, ieri ha lanciato una minaccia nucleare contro l'ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato.  “Non possono più esserci discussioni sullo status denuclearizzato del Baltico. L'equilibrio deve essere ristabilito”, ha detto Medvedev, che oggi è vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo. Parlando di finlandesi e svedesi, Medvedev ha detto che “nessuno sano di mente, può volere un aumento delle tensioni alla sua frontiera e avere affianco a casa (missili) Iskander, (missili) ipersonici e navi con armi nucleari”. In realtà, Mosca non ha atteso il possibile ingresso dei due paesi scandinavi nella Nato per violare la denuclearizzazione del Baltico. I missili Iskander che possono trasportare ogive nucleari, sono già presenti nell'enclave di Kaliningrad tra Polonia e paesi Baltici.

L'Ue chiude una falla delle sanzioni sulle armi - L'Ue ha cancellato un'esenzione sulle sue sanzioni contro la Russia che aveva permesso a diversi stati membri di continuare a esportare armi verso Mosca malgrado l'embargo imposto nel 2014 a seguito dell'annessione della Crimea e l'intervento nel Donbas. Secondo i dati della Commissione, i paesi dell'Ue hanno venduto alla Russia armi per 39 milioni di euro nel 2021, con un aumento rispetto ai 25 milioni del 2020. Una clausola delle sanzioni del 2014 permetteva di proseguire le forniture nel quadro dei contratti conclusi prima dell'agosto di quell'anno. Diversi media hanno notato che, pur essendo stata introdotta nel quinto pacchetto di sanzioni entrato in vigore la scorsa settimana, la modifica al regime sulle armi non è stato annunciata dalla Commissione nelle sue comunicazioni ufficiali. Era una falla troppo imbarazzante?

La Bce rinvia le scelte difficili a giugno - Collegata in videoconferenza a causa del Covid, dopo il consiglio dei governatori della Banca centrale europea, Christine Lagarde ieri ha fatto ciò che gli analisti e gli osservatori si aspettavano: nessun cambio di rotta della politica monetaria. Incastrata tra gli effetti economici e fiscali della guerra in Ucraina e la necessità di fare la guerra all'inflazione, la Bce andrà avanti con i suoi piani di normalizzazione. Lagarde ha sottolineato che i rischi per l'inflazione sono al rialzo a causa della guerra in Ucraina. Ha ammesso che "i rischi al ribasso per le prospettive di crescita sono aumentati in modo sostanziale". Ma ha assicurato che la normalizzazione sarà graduale. Morale: la prossima riunione di giugno della Bce sarà il momento chiave per decidere quanto interrompere il programma di acquisto di titoli e iniziare ad alzare i tassi di interesse. L'arco temporale tra i due eventi è ancora indeterminato. "Tra una settimana e diversi mesi", ha detto Lagarde. Ma, secondo Bloomberg, sta emergendo un consenso sul primo rialzo dei tassi: 0,25 per cento nel terzo trimestre.

L'Ue condanna Johnson sui migranti (e dimentica la Danimarca) - Boris Johnson ha annunciato che, nella sua nuova politica migratoria, il Regno Unito invierà i richiedenti asilo in Ruanda in attesa di sapere se beneficeranno della protezione internazionale. “Mandare i richiedenti asilo a più di 6 mila chilometri di distanza e esternalizzare le procedure di asilo non è una politica migratoria umana e degna”, ha detto la commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson, spiegando che ci sono “problemi fondamentali sull'asilo e la protezione”. L'Ue non ha più nulla da dire dopo la Brexit. Ma verrebbe da aggiungere: da che pulpito? In realtà è uno stato membro dell'Ue che per primo si è rivolto al Ruanda per subappaltare la gestione dei richiedenti asilo: la Danimarca. E all'epoca la commissaria Johansson non aveva protestato (almeno in pubblico), limitandosi a ricordare che la Danimarca beneficia di una serie di esenzioni nella politica migratoria. In ogni caso, in un editoriale Il Foglio spiega che l'annuncio di Johnson non cambierà le cose: il grande paradosso di BoJo è che la Brexit per riprendere il controllo delle frontiere per limitare l'immigrazione ha fatto esplodere gli sbarchi.

 


Accade oggi in Europa

– Nulla da segnalare, tranne Pasqua e Pasquetta con il sole a Bruxelles. Tempo di pulire il barbecue