Brexit: fine dell'Unione o finestra di opportunità? Intervista con Federico Fabbrini
Il Primo Ministro britannico Theresa May aveva deciso in aprile di indire elezioni anticipate al fine di consolidare la propria maggioranza alla Camera dei Comuni in vista di un duro negoziato con l’Unione europea su Brexit. I risultati delle elezioni dell’8 giugno, però, le hanno dato torto.
Oggi su Eurotomane un’intervista a Federico Fabbrini, professore ordinario di diritto europeo alla Dublin City University e Direttore del Brexit Research and Policy Institute, primo centro di ricerca in Europa interamente dedicato allo studio delle implicazioni politiche e giuridiche di Brexit.
M.S.: Professor Fabbrini, le elezioni nel Regno Unito di inizio giugno sono, tanto per cambiare, andate molto diversamente da come molti si aspettavano e hanno visto il primo ministro Theresa May parecchio indebolito. Non esattamente “stable and strong” diciamo. In che modo tale risultato si ripercuoterà nei negoziati su Brexit?
F.F.. Il Primo Ministro britannico Theresa May aveva deciso in aprile di indire elezioni anticipate al fine di consolidare la propria maggioranza alla Camera dei Comuni in vista di un duro negoziato con l’Unione europea su Brexit. I risultati delle elezioni dell’8 giugno, però, le hanno dato torto e il Partito Conservatore ha perso la maggioranza parlamentare. Certamente questo indebolisce il governo britannico nel negoziato che è appena iniziato con le istituzioni europee. Non è invece ancora certo quale saranno le conseguenze del voto sul tipo di Brexit che il Regno Unito perseguirà. Molto infatti dipenderà dalla posizione del Partito democrativo unionista (DUP: il partito protestante dell’Irlanda del Nord) con il quale il Partito Conservatore ha negoziato un accordo di governo per avere una maggioranza alla Camera dei Comuni.
M.S.: Tutti parlano di un’Unione europea unita sulle richieste e dalla parte più forte del tavolo. È veramente così o all’interno dell’Unione vi sono divergenze d’interessi? Se sì, di che natura e quali conseguenze potranno avere sul negoziato?
F.F.: Sicuramente l’Unione europea negozia il divorzio con il Regno Unito da una posizione di forza. Non solo per le debolezze interne al Regno Unito. Ma anche perchè la decisione del Regno Unito di recedere dall’UE ha avuto l’effetto paradossale di rafforzare l’unità dei rimanenti 27 stati membri. Resta da vedere però se, e per quanto, quest’unità resisterà. A breve le istituzioni europee dovranno prendere decisioni controverse – dalla rilocalizzazione delle agenzie attualmente ospitate a Londra sino al calcolo di quanto è dovuto dal Regno Unito come prezzo per la sua uscita dall’Unione. Su questi temi gli interessi dei rimanenti stati membri sono confliggenti e divisioni interne all’UE potrebbero naturalmente indebolire la posizione negoziale di quest’ultima.
M.S.: Lei, riferendosi alla Brexit, ha parlato di “window of opportunity”, una finestra di opportunità. Crede dunque che l’uscita del Regno Unito sia un fattore positivo per l’Unione europea?
F.F.: L’uscita del Regno Unito è un fattore negativo per l’UE, poichè manda un segnale di disintegrazione. Brexit, unita alla crisi dell’euro, alla crisi delle migrazioni e alla crescente deriva autoritaria in paesi come l’Ungheria e la Polonia mette in luce tutte le debolezze dell’Europa attuale. Tuttavia, l’uscita del Regno Unito può essere anche un’opportunità, da prendere sul serio, per riformare l’Unione europea e rilanciare il progetto di integrazione. Fra le altre cose, infatti, quando il Regno Unito sarà fuori dall’UE (di default, nel marzo 2019) i rimanenti stati membri dovranno riformare i trattati e altre leggi fondamentali dell’UE, ad esempio le disposizioni sulla composizione del Parlamento europeo, e sul quadro finanziario pluriennale. Ciò richiederà importanti negoziazioni politiche tra stati membri che potrebbero essere sfruttate per introdurre una revisione profonda dei meccanismi di governo dell’UE. In tal senso, Brexit – insieme all’elezione del Presidente francese Emmanuel Macron – potrebbe essere l’occasione per concretizzare le innumerevoli proposte di riforma dell’UE che ormai da anni il Parlamento europeo, la Commissione e alcuni stati membri europeisti avanzano al fine di rendere l’UE più legittima ed efficace.
M.S.: E’ realistico auspicarsi, come fanno in molti, un passo indietro del Regno Unito? D’altronde non sarebbe la prima volta nell’UE di vedere paesi cambiare idea su questioni importanti, come successe ad esempio in Irlanda, dove Lei insegna, quando fu indetto un secondo referendum per l’approvazione del Trattato di Lisbona che fu in prima battuta rifiutato dai cittadini irlandesi.
F.F.: Da un punto di vista giuridico sembra esserci consenso sul fatto che, prima del marzo 2019, il Regno Unito potrebbe riconsiderare la propria decisione e revocare la sua richiesta di recedere dall’Unione. Dal punto di vista politico, però, mi sembra che l’ipotesi di ribaltare il risultato del referendum del giugno 2016 non sia realistica. Con l’eccezione del Partito Liberal-Democratico e del Partito Nazionalista della Scozia, c’è ampio consenso tra le forze politiche britanniche sul fatto che i cittadini hanno votato per uscire dall’UE e che quindi il Regno Unito recederà dall’UE. La questione è piuttosto quale tipo di Brexit. Se il governo May nel marzo 2017 si era espresso a favore di una rottura netta con l’UE (hard Brexit), le elezioni del giugno 2017 hanno riaperto le carte, e non si può escludere che il Regno Unito cerchi di orientarsi per un recesso più soft, che consenta di mantenere l’accesso al mercato interno e/o all’Unione doganale. Le negoziazioni nei prossimi mesi saranno fondamentali e vanno seguite attentamente.
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