Giù le mani dal fiscal compact!
In un paese dove si protesta più o meno per tutto, ci si chiede quando inizieremo a protestare per le cose serie, quelle che contano davvero qualcosa.
In un paese dove si protesta più o meno per tutto, no TAV, no TRIV, no TRIP, no BIP, ci si chiede quando inizieremo a protestare per le cose serie, quelle che contano davvero qualcosa. Lo dice uno a cui è toccato negli anni dell’università assistere perfino al boicottaggio delle macchinette del caffè, utili per chi ha la sfortuna di voler studiare, inutili per i giocolieri rastoni fuoricorso parcheggiati nei corridoi. Ecco questi, che di tempo ne hanno da vendere, dovrebbero riunire tutti i loro amiconi dei circoli più o meno ricreativi e iniziare il più grande sciopero dell’Italia del dopoguerra, contro coloro che vogliono cancellare il patto di bilancio europeo, meglio conosciuto come fiscal compact. Perché a causa di questi grandi statisti, con le loro idee mal raccapezzate da dilettanti della politica europea, sì che rischiamo di mettere in discussione quel poco di futuro che ci resta. Il patto di bilancio europeo, che consolida alcuni criteri di convergenza in materia di finanza pubblica a livello comunitario e vincola i paesi membri a iscriverli nell’ordinamento statale, crea difatti una cornice imprescindibile di responsabilità politica, specialmente per un paese come l’Italia che almeno dagli ’70 in avanti non si è mai dimostrato lungimirante nella gestione delle casse dello stato. A casa nostra le crisi l’abbiamo sempre risolte a suon di svalutazione monetaria, finché grazie a Dio un giorno, con l’introduzione dell’Euro, ci han tolto il controllo sulla nostra moneta. Tale sconsideratezza ha permesso alla politica di rinviare regolarmente le riforme strutturali necessarie all’Italia per crescere davvero, puntando senz’alibi su un piano a lungo termine di ristrutturazione in settori fondamentali. Oggi tanto per cambiare, nel momento in cui la politica si trova come sempre imbrigliata e incapace di garantire governabilità, che vuol dire fermezza e capacità di riformare, si azzarda il tutto per tutto per racimolare qualche miliardo di euro a spese dei cittadini, insieme a una manciata di voti. E dire che se la matematica non è un’opinione, il fiscal compact non impone tagli di alcun genere, bensì regola un rapporto tra debito pubblico e PIL, quest’ultimo calcolato su base nominale. Ciò vuol dire che due sono le strade possibili e virtuose che si possono seguire per rispettare sacrosante regole di quieto vivere, che sono o agire sul numeratore, dunque diminuendo il debito, o sul denominatore, puntando sulla crescita e usando quella flessibilità per gli investimenti che già da tempo ci viene concessa dalla Commissione. Sono moltissimi gli studi che dimostrano che basterebbe uno sforzo moderato per allinearsi al patto di bilancio europeo, intervenendo congiuntamente su debito e crescita. È a dire poco bizzarro, in un paese con un debito pubblico stellare, spendaccione, non in grado di riformarsi, maldestro nella gestione dei fondi strutturali, che come qualche ex ministro ha dimostrato, sono una grande fonte di investimento, pretendere di voler attingere ulteriormente alle tasche dei giovani per finanziare grottesche campagne elettorali. Già, perché vorrei ricordare a tutti gli under quaranta che a pagare poi toccherà a noi, come se non bastasse la pensione da fame che ci attende non certo per colpa nostra. Sfido i Krugman and friends a mandare i loro figli quaggiù a vivere e studiare se sono così convinti che in Italia spendere all’infinito sia la strada maestra. Io nel frattempo ieri ho fatto un sogno: da Palermo, Roma, Torino passando per Milano le piazze piene di picchetti e cartelli con migliaia di persone che urlavano: giù le mani dal fiscal compact.
Il Foglio sportivo - in corpore sano