Elogio dell'Europa a due velocità
L'Unione europea ha bisogno di una nuova fase costituente che legittimi l'Europa a due velocità e rinneghi l'Europa degli autoscontri.
A pochi giorni da una sentenza importante della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che respinge il ricorso presentato da Slovacchia e Ungheria, sostenuto anche dalla Polonia, presentato contro il sistema di ricollocazione dei richiedenti asilo da Italia e Grecia, è arrivato il momento di parlar chiaro, come ha ben fatto il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni nel vertice con il primo ministro ceco Bohuslav Sobotk, rivolgendosi grosso modo a tutto il gruppo di Visegrád (Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia). Come ribadito dal premier italiano, le decisioni della Corte vanno rispettate e l’Unione europea deve poter proseguire spedita sul sentiero dell’integrazione. Che siano solo una maggioranza di Stati membri a farlo, poco importa, e qui riemerge chiaramente la questione mai risolta dell’Europa a due velocità. Molti si stupiranno, ma l’Europa cosiddetta “delle due velocità” è già una realtà da almeno venticinque anni, o meglio dalla firma del Trattato di Maastricht del 1992. Qui difatti si consolidò l’integrazione dei cerchi concentrici, dove entro un’Unione di Stati fu concesso ad alcuni di prendere strade diverse, a partire dall’adesione all’Unione economica e monetaria. La prassi si consolidò nei Trattati successivi, con paesi liberi di rinunciare alla libera circolazione di persone (accordi di Schengen), di non partecipare alla politica estera e di sicurezza comune, alle decisioni in materia di giustizia e affari interni, di non adottare la Carta dei diritti fondamentali, e così via. Una differenziazione non già esclusivamente geografica, bensì legittimata anche nelle procedure decisionali, nell’architettura istituzionale e nel modello di governance dell’Unione. Il Trattato di Maastricht ha istituto tre pilastri divisi per aree di policy, dove per ciò che riguarda le decisioni sull’Unione economica e monetaria vengono coinvolte le istituzioni comunitarie (Commissione, Parlamento, Corte), mentre sulla politica estera, la sicurezza comune, la giustizia e gli affari interni, sono i governi a prendere le decisioni, sia per voce dei ministri competenti (Consiglio) sia dei capi di stato (Consiglio europeo). Il Trattato di Lisbona del 2007 ha eliminato sulla carta i pilastri e ciò nonostante mantenuto di fatto le divergenze nelle procedure. Dunque più che delle “due velocità”, questa pare l’Europa degli autoscontri, dove ognuno va dove vuole e per forza di cose finisce per scontrarsi. Al contrario, una vera e sana Europa delle “due velocità”, che non vuol dire appunto delle multi-direzioni, è sacrosanta e andrebbe avanzata al più presto una proposta concreta per realizzarla, sfruttando, come sostenuto giustamente da Federico Fabbrini, le finestre di opportunità che già si sono aperte grazie alla Brexit. Nel concreto, si tratta di dare il via a una nuova stagione costituente per l’Unione europea, i cui termini coincidano all’incirca proprio con i negoziati per l’uscita del Regno Unito, che a maggior ragione dovrebbero terminare nel 2019, lo stesso anno delle nuove elezioni del Parlamento europeo. Una maggioranza di paesi volenterosi e desiderosi di proseguire su un percorso comune, che potrebbero essere gli Stati membri che già adottano la moneta unica, dovrebbero delineare un’Unione compatta e rafforzata su alcune questioni fondamentali, dalla sicurezza, alla migrazione, passando per un’architettura istituzionale più legittima, responsabile e resiliente dell’Eurozona. Un pacchetto quindi, che non preveda opt-out, vale a dire eccezioni, dove o si sta dentro o si sta fuori. Allora sì che si potrà parlare di “due velocità”, con da un parte un’Unione unita e forte che trova soluzioni condivise a problemi comuni, e dall’altra una debole, associata commercialmente, formata da Stati che legittimamente preferiscono fare da sé — e vedremo fino a che punto ciò sarà pensabile. Tutto questo non sarà realizzabile entro i Trattati dell’Unione europea vigenti, poiché per qualunque modifica strutturale è prevista l’unanimità degli Stati membri. Servirà pertanto una decisione risolutiva e una presa di posizione audace, come spesso accaduto nella storia, per avviare un nuovo capitolo costitutivo che consacri la rinascita dell’Europa.
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