L'enigma di Macron
Il discorso a Strasburgo di Macron rappresenta un punto di svolta, una presa di coscienza del fatto che creare un’illusione di grandezza può forse funzionare in Francia, ma non in Europa.
Gli ultimi avvenimenti nella disastrata terra di Siria dovrebbero — si spera — aver schiarito le idee a chi ancora fatica a guardare Emmanuel Macron, a ormai un anno dalla sua elezione, con un po’ di lucidità e sano realismo. Troppe parole di innamoramento incondizionato, seppur comprensibili nell’epoca più grigia che la leadership politica abbia mai conosciuto, sono difatti state spese per il giovane Presidente francese, che alla prova dei fatti ha finora sempre deluso le aspettative da lui stesso fissate per un’Europa unita, sovrana e democratica. Qui sta il punto, che Macron pare aver capito, come il suo discorso al Parlamento europeo, più misurato e meno retorico del solito, ha ben dimostrato. Macron, in una serie di discorsi pubblici sull’Europa dal valore sostanzialmente — se non esclusivamente — simbolico, a partire da quello celebre della Sorbona, altro non ha fatto che alzare in modo considerevole, più di fronte all’Europa che alla Francia, l’asticella delle aspettative verso il progetto europeo. Macron narra, racconta, lascia intendere di essere in grado di rilanciare l’Europa, con la Francia e il suo condottiero nuovamente protagonisti, capaci di, oltre che guidare l’Unione europea, controbilanciare e contenere l’egemonia tedesca. Tutt’intorno riemergono nazionalismi e revisionismi d’ogni sorta, eppure Macron non vi ha mai badato molto e ha sempre tirato dritto nei suoi racconti da grandi imprese. Il discorso a Strasburgo potrebbe in tal senso rappresentare una svolta, una presa di coscienza del fatto che creare un’illusione di grandezza può forse funzionare in Francia, ma non in Europa. Non sono pochi i paesi in cui i visionari finiscono dal dottore; una diversità di cui in Europa bisogna per forza tenere conto e che il Presidente francese ha forse sottovalutato. Due sono quindi le domande da porsi: la prima riguarda l’effettiva fattibilità dei suoi progetti, già traballante nei fatti, e la seconda riguarda la vera coincidenza tra narrazione e volontà, in particolare alla luce degli interessi che per mandato e indole Macron deve difendere. Sul primo punto si sono già palesate tutte le difficoltà del caso, a partire dalla sue proposte di riforma dell’Eurozona, accolte tiepidamente in Germania e ancor peggio dai paesi dell’Europa settentrionale. Il secondo punto è tutto da leggere in chiave storica e geopolitica: riguarda difatti la Francia e la sua personalissima idea di mondo. La Francia, come d’altronde un po’ tutte le altre potenze ex-coloniali, ancora fatica a trovare una nuova ragion d’essere che limiti il suo raggio d’azione al continente europeo. Il suo interventismo e il suo autocompiacimento a giocare da grande potenza, tutto illusorio — la Francia non è una grande potenza e mai lo sarà —, sono lì a ricordarcelo. Per questo sono in molti a dubitare, Germania in testa, che Macron sia effettivamente disposto a condividere il timone europeo su base realmente paritaria, favorendo un asse franco-tedesco ben bilanciato da cui l’Ue non può prescindere. Poiché l’integrazione europea a guida monocolore non funziona. Ne sa qualcosa la Germania, che ogni qualvolta che dà l’impressione di voler decidere da sola perde un pezzo di credibilità di fronte agli altri interlocutori europei. Tuttavia Macron è giustamente chiamato a rappresentare la Francia, i sentimenti e gli interessi francesi, cosa che sa bene, anche se troppo spesso non vuol dare a vedere. Eppure non si può costruire un’Europa tedesca, come non si può costruire un’Europa francese, ed è su tale convinzione che il capo dell’Eliseo dimostra la sua esitazione. Difficile trovare la soluzione all’enigma di voler essere ciò che per natura non si è, con le due ipotesi o di abbassare le ambizioni europee, con il rischio concreto di capitombolare in un realismo che sa di cinismo, o di continuare ad alzarle, con l’incognita di deludere con ottime probabilità chi ancora crede nel progetto europeo. In Europa tutto sta come sempre là nella terra di mezzo, nel complicatissimo gioco delle parti tipico del nostro continente.
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