Giù le mani da Machiavelli, il suo partito era la libertà!
La lettura più fedele alla sua pagina la diede Giuseppe Prezzolini, che ne intuì spirito e grandezza
Ho letto tutto o quasi di Machiavelli e su Machiavelli. Mi sono anche divertito, con Antonio De Simone, a intervistarlo rispettandolo, senza tradire l’intima essenza del suo pensiero. Non passa mai di moda, il Segretario fiorentino. Anzi, complice il cinquecentenario della stesura del Principe, 2013, e il cinquecentenario della morte che s’approssima, 2027, fioriscono libri come limoni, studi pregevoli s’alternano ad altri mediocri, non arrestandosi lo spirito italiota di tirarlo un po’ di qua, un po’ di là, di fargli prendere la tessera, ora di quel partito ora di quell’altro, proprio mentre le bandiere di tutti i partiti sono state miseramente ammainate. Quando l’Italia socialista e craxiana cercò d’impossessarsi della figura e delle gesta dell’Eroe dei due mondi, Indro Montanelli, sul settimanale Oggi, tuonò: “Giù le mani da Garibaldi, il suo partito era l’onestà!”. Qualcosa di simile verrebbe da scrivere ancora oggi, su questo blog e non su…Oggi, poiché lo spirito italiota non muta e la partigianeria, sbirciando tra un testo e l’altro, riemerge più forte che pria.
Non è un caso se, nell’intervista, si percepisce la preferenza per l’interpretazione (ma si dovrebbe scrivere il racconto) di Giuseppe Prezzolini, saggista solitario e rigoroso, brillante e non bigotto, mai allineato ad alcuna chiesa, ma fedelissimo alla pagina machiavelliana, alla vita di un uomo grande, prima compreso poi spiegato, prima intuito poi raccontato. In presa diretta, senza fronzoli. Un gioiello concepito a Parigi nel 1926, dove Prezzolini si trovava in esilio volontario, per essere pubblicato da Mondadori l’anno dopo per il quattrocentenario della morte. Fu lo stesso Prezzolini a ricordare, prima di lasciarci, nel 1982, che “il libro piacque al pubblico, ma non piacque ai professori, che lo trovarono leggero, e non piacque ai letterati, che non lo trovarono di loro gusto. Non ci furon molti che capirono il messaggio che conteneva, specialmente nel capitolo su Francesco Guicciardini”.
Prezzolini scontentò fascisti e antifascisti, atei e credenti, preti e prìncipi, ma non scontentò il pubblico, poiché per il pubblico, solo per il pubblico, scriveva. Prezzolini scontentò (e continua a scontentare) gli appropriatori di Machiavelli, coloro che ne bramano la roba, che non smettono a ogni rigo di precisare: “È mio! È mio! È mio!”, come fanno i bambini con il giocattolino. Ma il Segretario è appannaggio esclusivo dei letterati, dei filologi e degli storici? E perché no dei filosofi? In realtà, Machiavelli è soltanto di Machiavelli. E del suo conoscere discosto. Oltre ogni canone.
Prezzolini non strumentalizzò il pensiero di Machiavelli, anzi ne denunciò le strumentalizzazioni. Mai finite. Così, nacquero tanti Machiavelli, “quello dei Gesuiti, quello dei patrioti, quello dei filosofi, quello degli enciclopedisti, quello dei protestanti e quello dei cattolici, quello dei letterati e quello dei tesaioli, quello dei discorsi ufficiali e quello delle pubblicazioni per nozze, ed infine, il più conosciuto, quello degli scimuniti. Nacque il machiavellismo, e il Machiavelli avrebbe detto volentieri: io non sono stato machiavellico. Servì ai preti per farsi prìncipi, ai prìncipi per tener indietro i preti”.
La prosa prezzoliniana è un capolavoro ineguagliato, che riconduce al Machiavelli più vero, al vero Machiavelli. Perché l’unico partito di Prezzolini, come di Machiavelli, era la libertà.
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