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Una necessità chiamata libro

Davide D'Alessandro

A partire dal manifesto di Piperno, otto meraviglie di cui non posso fare a meno

Alessandro Piperno in Il manifesto del libero lettore confessa che sono otto gli scrittori di cui non sa fare a meno: Austen, Dickens, Stendhal, Flaubert, Tolstoj, Proust, Svevo e Nabokov. Pur chiedendomi come sappia e possa fare a meno di Dostoevskij e Kafka, il suo libro aiuta a riconsiderare la libreria di ognuno, gli autori, le pagine, i percorsi intellettuali, i tragitti tematici che hanno formato, arricchito e, perché no, traumatizzato la nostra interiorità. Se l’uomo, per Ludwig Feuerbach, è ciò che mangia (e spesso mangia pietanze indigeribili), per me è ciò che legge, quando legge (e spesso legge libri indigeribili). Se devo indicarne otto, otto di cui non so e non posso fare a meno, non ho dubbi: Il Principe, Massa e potere, Filosofia del denaro, Lettere a Lucilio, L’interpretazione dei sogni, Così parlò Zarathustra, Fenomenologia dello Spirito, I Saggi di Montaigne. 

Per Giampiero Mughini “non c’è spettacolo più bello al mondo di una parete colma di libri, tutti da pubblicare e tutti da leggere”. Anche quello che possediamo da vent’anni, senza leggerlo, troverà l’attimo per raggiungerci e, avverte Elias Canetti, “non potrebbe dire tanto se per tutto quel tempo non fosse rimasto muto, e solo un idiota si azzarderebbe a credere che dentro ci siano state sempre le medesime cose”. 

Ma che cos’è un libro? A che cosa serve? È un vizio, come sostiene Piperno, una dama di compagnia, un pugno sul cranio, una curiosità frenetica, una spina nel fianco o che altro? È una necessità, il libro. Per aprire nuovi mondi e comprendere il vecchio mondo, il nostro mondo, ciò che si annida dentro questo scherzo nomato uomo. È una necessità per innescare una miccia e vedere l’effetto che fa, se produce fuochi fatui o fuochi che scaldano per sempre. È una necessità per imparare leggendo, per muovere e sgranare gli occhi seguendo parole e immagini, sognando con loro. È una necessità per morire, con le tante eroine che muoiono dentro le storie, e per vivere. È una necessità per cambiare opinione, se abbiamo un’opinione, o per rinforzarla, se non la giudichiamo abbastanza forte. È una necessità per valicare il confine che ci è stato assegnato, per andare oltre il ricordo e la nuova scoperta, per inseguire luoghi sconosciuti e visitare il mistero che attende. È una necessità per fermare il tempo, il tempo che non ha tempo, per dirla con Giovanni Raboni, il tempo che è misura della nostra sciagura. È una necessità, il libro, per frequentare altre vite e ritrovare la nostra, per smarrirsi senza pagare pegno, per cogliere da una poesia il nome di un fiore, da un romanzo l’eutanasia di un amore, da un saggio l’inesorabilità del male, da un racconto la voce che ostinatamente ci chiama. È un verdetto, il libro, sulla nostra esistenza. Senza appello. Un tratto di penna, un polpastrello sulla tastiera. C’è sempre un libro dietro un altro libro. E davanti, la strada. Senza via d’uscita.