La bacchetta di Dio
Il direttore d’orchestra ha potere di vita e di morte sui suoni e sulle voci. Chi l’ha issato sul quel podio, come bandiera, come mito intoccabile, davanti a folle acclamanti?
“Non c’è alcuna espressione del potere più evidente dell’attività del direttore d’orchestra”. Così Elias Canetti, ossessionato dal potere, delinea la figura di un uomo che, attraverso il suo ruolo, assolutizza il comando. Ma chi è quest’uomo che, indossato l’elegante abito ottocentesco (simbolo di una fuoriuscita dalla quotidianità, dallo spazio e dal tempo profani), le spalle volte al pubblico, spesso con l’aiuto di una bacchetta tenuta tra pollice e indice, guida, intìma, sferza, atterrisce decine di uomini? Chi è quest’uomo che con un gesto, uno sguardo, un movimento, indica la strada da seguire, che è sempre l’unica possibile? Chi è quest’uomo che ha potere di vita e di morte sui suoni e sulle voci? Insomma, chi è quest’uomo che suscita timore, ammirazione, fascino e invidia? Si sente forse Dio? Che cosa lo anima, che cosa lo turba, che cosa lo esalta, che cosa vuole dimostrare?
Per Canetti, “il direttore d’orchestra si considera il primo servitore della musica. Ne è tanto compreso da non poter neppure concepire il pensiero di un secondo significato, extramusicale, della sua attività”. Dunque, parrebbe inconsapevole di sentirsi Dio. Eppure, verrebbe da scrivere: guardatelo, come s’atteggia, come s’impone, come domina! È venuto a tradurre, a mediare, a risvegliare il nostro ascolto, la nostra addormentata sensibilità, porgendo le musiche dei più grandi compositori della storia, o è venuto a celebrare la sua, di grandezza? Quante volte, osservando quel gesto imperioso, teatrale, abbiamo pensato che Mozart fosse Lui, che Beethoven fosse di nuovo tra noi? Quante volte abbiamo pensato che il mediatore, il sacerdote, il dispensatore della Parola di Dio, fosse Lui stesso Dio?
Ma chi l’ha messo lì? Chi l’ha issato su quel podio, come bandiera, come mito intoccabile, davanti a folle acclamanti? Quale Chiesa, quale potere ha deciso di rendere sovrano colui che pare chiamato a esser servo? Molti sostengono che all’inizio fu Wagner. Unico in tutto, di un’unicità diabolica. Da lui in poi si cominciò a pensare che l’arte, come strumento di dominio, come occasione per camminare sugli altri, potesse riguardare non più il solo committente, ma lo stesso artista. Il servo diviene padrone. Da quest’arte, lo stesso Nietzsche, prima fervido ammiratore del compositore, prenderà le distanze, poiché nel passaggio da Tribschen a Bayreuth i colori dell’arte mutano. Non sono più solari. Diventano cupi. E la purezza dei suoi messaggi si trasforma in propaganda.
Quante tirannie vengono perpetrate in nome dell’arte! E dell’Assoluto, di cui molti direttori d’orchestra ritengono di essere la manifestazione. Ma che cos’è questo Assoluto? È il tendere verso Dio? È il riportare la legge di Dio in terra? O è l’affermazione di una volontà di potenza (o di potere) mascherata da una tensione verso l’infinito? Per tentare di svelare l’arcano, di avvicinarsi alle tante, difficili risposte, imprescindibile è ancora Massa e potere, il capolavoro di Canetti. Vi sono tre pagine, soltanto tre pagine, dedicate al direttore d’orchestra ma nessuno, meglio di Canetti, ha saputo centrarne l’essenza, il nucleo di vita, il nucleo di morte.
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