Massimo Recalcati, alla ricerca del tabú perduto
Lo psicoanalista lacaniano ha il merito di aver ricollocato al centro della scena una parola rimossa
Tabú. Per Garzanti linguistica è “ogni cosa su cui, per paura o per pudore, si preferisce tacere”. Il tabù segnala un limite invalicabile. Che ne è del tabú? Esiste ancora o è soltanto un lontano ricordo, un rumorino che resta sullo sfondo senza incidere più sulla nostra pelle, sulla nostra vita? Il merito dello psicoanalista lacaniano, Massimo Recalcati, e del suo libro, I tabú del mondo, edito da Einaudi, è di averlo ricollocato al centro della scena, di aver rimosso la… rimozione di una parola antica per invitarci a una riflessione profonda, per scavare dentro e intorno al non dicibile. La dedica è a Pier Paolo Pasolini corsaro, che si è misurato carne e sangue con i tabú del mondo, che sulla linea del tabú, al di qua e al di là, ha sostato godendo e soffrendo. Patendo.
Se c’è la legge, c’è il desiderio di infrangerla. Se c’è il limite, c’è il desiderio di oltrepassarlo. Qualcosa spinge l’uomo a provare, ad andare oltre, a sfidare. Pensiamo a Edipo. Scrive Recalcati: “Egli è solo un uomo. La sua ricerca della verità — come quella di tutti gli uomini — è un cammino necessariamente lento e faticoso. Egli paga la colpa del suo desiderio di sapere che non si frena di fronte a nessun limite. Se Edipo non avesse voluto sapere la verità della sua origine sarebbe rimasto padre, Re e marito. Egli non accetta la rimozione, la maschera, non si accontenta di quello che sa; vuole interrompere l'omertà borghese dell'Io, vuole andare sino in fondo”. Edipo va sino in fondo e a fondo. È nato per infrangere tutti i tabù.
La tentazione ci fa compagnia, talvolta ci accarezza, ci allieta, talaltra ci conduce alla croce. “Di questo cibo avrete caro”, dice Dante nel Canto XXII del Purgatorio e Genesi 3, 3 recita: “del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino, Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare altrimenti morirete”. Eppure l’uomo, di fronte alla proibizione, accresce in voglia e cede. E cade. E sconta la colpa.
Ma oggi, l’uomo, avverte ancora la colpa? Si sente ancora dilaniato dalla colpa? I lettini, o le poltrone, degli psicoanalisti ne avvertono sempre meno la presenza. E un uomo senza senso di colpa è un uomo che allarma. Tutto sembra essere diventato possibile, tutto consumabile, tutto vivibile, tutto godibile, tutto oltrepassabile. Ma se tutto è oltrepassabile, se il godimento è sfrenato e senza sosta, non viene meno il desiderio, la faticosa gioia di preparare l’incontro? Se tutto si risolve nella mela da addentare immediatamente e nella meta da raggiungere hic et nunc, che ne è del viaggio, della meravigliosa esperienza del viaggio? Che ne è del pensiero, se tutto diventa azione?
È un animale ferito, l’uomo. Ferito e morente, per dirla con Philip Roth. C’è sempre un “prima che sia troppo tardi” a spingerlo, a motivarlo, temendo che sia l’ultima occasione, l’ultimo treno. L’uomo è costruito per andare a vedere ciò che non può vedere, a sapere ciò che non può sapere, a toccare ciò che non può toccare, ma non è stato costruito per sopportare ciò che vede, ciò che sa e ciò che tocca. Lo scacco è l’uomo.
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