Edipo, il passato che non passa
Un altro libro affascinante di Giulio Guidorizzi sui Greci e le passioni. Al centro la tragedia di Sofocle e le tante domande che cercano ancora risposta
C’è un capitolo nell’affascinante libro di Giulio Guidorizzi (I colori dell’anima. I Greci e le passioni, edito da Raffaello Cortina) che ha per titolo “Mito e passioni. La storia di Edipo”. Mi ha preso mente e cuore, mi ha tenuto incollato alla pagina insieme all’appendice dedicata alla passione di Antigone. Non è un caso. Se Edipo continua ad attrarci, a muoverci e a condurci come egli fu mosso e condotto, se qualcosa di irrazionale alimenta e orienta il nostro sguardo verso di lui, vuol dire che lui, per intero o in parte, è dentro di noi, vuol dire che la sua storia ci chiama, vuol dire che i legami e le vicende ancestrali sono difficilmente separabili.
Edipo vuole sapere, vuole conoscere. Non si pone la domanda di Nietzsche: «Quanta verità può sopportare un uomo, quanta verità può osare?». Edipo osa, risolve l’enigma della Sfinge dal canto colorato, come dice Sofocle, va fino in fondo. Va a fondo. Precipita. S’inabissa. Non ascolta, Edipo. Non ascolta Tiresia, non ascolta Giocasta. Una forza più grande di lui, una forza incontrollabile lo sovrasta. Ha ucciso Laio, il padre, perché la strada prevede il passaggio di uno solo, non di entrambi. Il figlio, che non sa, uccide il padre che aveva già deciso di eliminare Edipo appena nato, consegnandolo a un pastore ed esponendolo sul Monte Citerone. Laio aveva abusato di Crisippo esercitando una violenza inaudita, gli era stato intimato di non mettere al mondo figli, giacché ne sarebbe stato ucciso, ma neanche Laio aveva ascoltato. L’alcol lo vince e ingravida Giocasta. Si libera del neonato ma è tardi. Tutto si è già compiuto. La tragedia è in atto, la tragedia è incarnata nell’uomo.
Edipo riesce a concentrare su di sé e in sé, senza sapere, lui che pensa di sapere, le peggiori colpe che si possano attribuire a un uomo. Uccide il padre, sposa la madre, mette al mondo figli che sono anche suoi fratelli. Edipo il solutore, Edipo che svela enigmi, non riesce a risolvere il proprio enigma. Chi è Edipo? Da dove viene? Un ubriaco, in vino veritas, gli inocula la giusta dose di veleno. Tu non sei figlio di chi credi di essere, non sei figlio del re di Corinto. Tuo padre, il tuo vero padre è un altro, non chi ti ha adottato. Scatta l’inchiesta. Edipo diventa investigatore. Cerca il colpevole, in realtà cerca sé stesso. È lui il colpevole. È lui l’assassino. È lui che si è unito alla madre. Si acceca, si cava gli occhi, si annienta.
Scrive Guidorizzi: «Edipo potrebbe non dare retta ai vaneggiamenti di un ubriaco e rimuovere quelle parole, ma al contrario le fa sue, e di lì inizia la sua ossessione. Ciò che dice l’ubriaco è prodotto da un meccanismo che potremmo paragonare a un lapsus: un segreto che avrebbe voluto tenere per sé, che il vino però gli fa uscire. Ma Edipo no, vuole sapere. Si rivolge ai genitori e ottiene delle risposte rassicuranti: indignati, gli dicono che sono proprio loro ad averlo messo al mondo. Non basta: Edipo vuole sapere di più. Va a Delfi e qui nuovamente si imbatte nell’ambiguità della parola. Apollo gli dice che ucciderà suo padre e sposerà sua madre, ma non gli dice chi sono essi veramente. Ma bastano queste parole a sconvolgerlo…Edipo si avvia senza saperlo sulle strade che il destino gli ha preparato».
Ma se è stato il destino a preparare la strada, quanta colpa ha Edipo? È colpevole ma è anche vittima. «Quello che ho fatto l’ho fatto senza saperlo, mentre quello che ho subìto l’ho subìto da chi sapeva bene che cosa stava facendo». Ha cercato di fare luce nel suo passato, ma è stato inghiottito dalle ombre, dal buio. L’ombra di Laio si distende su di lui, tanto da riprodursi. Nell’Edipo a Colono il vecchio Edipo maledice i figli, li condanna a morte, odia, come fece Laio, le radici derivate da lui.
Come si esce dalla tragedia? Come si esce da un passato che non passa? Come si può non cadere nella coazione a ripetere? Com’è possibile non reiterare azioni dannose? Sono queste le domande che cercano risposta, queste le domande che tengono in vita il mito. Freud si è servito del mito per arrivare a una verità, ma è la sua verità. Sta a noi trovare le risposte, a noi indagare. Senza fare, sperabilmente, la fine di Edipo.
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