Tomasi di Lampedusa, il Gattopardo è sempre tra noi
Persino la sua celebre massima rischia di essere aggiornata. Da “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” a “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che nulla cambi”. E nulla cambia…
C'è chi ritiene che il peggior ceto politico della storia repubblicana domini (si fa per dire) la scena da 25 anni. La cosiddetta “Seconda Repubblica” ha fatto rimpiangere la Prima e verrebbe voglia di invocare la Terza per andare oltre, per guardare oltre. Le cronache degli ultimi scorci di una legislatura avvilente e noiosa, meschina e tragicomica, le perdite di tempo su questioni di nessun interesse popolare, una legge elettorale che ha suscitato risolini persino in Lituania, le ultime corse contro il tempo per assicurarsi il seggio della vita, confermano l'assunto di partenza. Salvare la propria pellaccia alla fine dell'impero, con la speranza quantomeno di essere in Aula, anche a deflagrazione avvenuta. Giorgio Napolitano è stato chiarissimo: «L'impoverimento generale della politica e dei suoi motori è sotto gli occhi di tutti, in Europa e in Italia in modo clamoroso e penoso». Persino la celebre massima di Giuseppe Tomasi di Lampedusa rischia di essere aggiornata. Da «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» a «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che nulla cambi». E nulla cambia.
A marzo 2001, pochi mesi prima che Indro Montanelli ci lasciasse, gli scrissi le righe che seguono: «La scorsa notte ho sognato Prezzolini. Era seduto sulla panchina di un piccolo giardino. Mi sono avvicinato e gli ho chiesto: ”Maestro, oggi per chi voterebbe?”. E lui, deciso: “Non voterei!”. Non soddisfatto, ho aggiunto: “Il suo amico Montanelli ha invitato a turarsi il naso e votare centrosinistra...”. E lui, ancor più deciso: ”Quel bischero mi cita sempre, non mi ascolta mai!”. Da sveglio, chiedo: quanto le costa non ascoltarlo?».
Col titolo: “Un sogno che sembrava vero”, Montanelli mi rispose sul “Corriere della Sera”: «Caro D’Alessandro, lo so, lo so: neanche da morto Prezzolini rinunzia a darmi del bischero. Ma ogni tanto mi càpita di ricambiarglielo». Quanto manca oggi, all’Italia, Montanelli! E quanto manca il titolo che diede all'editoriale il giorno del voto: «Comunque mi pentirò».
Non era il titolo di un bastian contrario, ma della delusione, dell'amarezza, dello sconforto di dover scegliere il minore dei presunti mali. Oggi sembra scomparso anche il minore. Ha scritto Marcello Veneziani: «Per chi ha amato la Grande Politica, chi ha davvero creduto nei suoi ideali, chi ha un pensiero politico, chi pensa che la politica sia un luogo quasi sacro in cui si rappresentano interessi, valori e principi comunitari, sarebbe una miserabile caduta darsi alla politica per la pur comprensibile esigenza di guadagnare. Sarebbe un mezzo tradimento della sua vita».
Vita e politica. Politica e vita. La vita, per l’autore del Gattopardo, è come andare verso la disfatta e la morte. Le pagine che Ferdinando Castelli dedica a Tomasi di Lampedusa sono senza scampo, ne rivelano l’assenza totale di speranza. Scrive il padre gesuita: «Non lasciatevi abbagliare dalle luci dei lampadari dorati di casa Salina, né dallo sfarzo del coupé principesco. Questi nobili che vi passano accanto, profumati e impettiti, sono dei vinti. Vinti dal destino, dalle vicende storiche e sociali, dalla propria grandezza – poco importa. Vinti, comunque. “Il Gattopardo” è la squallida storia, anche se ammantata di fasto principesco, di questa sconfitta che, prendendo le mosse dalle vicende dei Salina, assurge a significato universale: nessuno si salva dalla furia del tempo e dal gioco della vita […]. Che cos’è la vita, per il Principe di Lampedusa, se non una vana ricerca d’ombra in un deserto assolato? Se al termine amore si desse il senso di piacere, si potrebbe anche dire che la vita è un avvicendarsi di amore e di morte, ma quest’ultima ha sempre il dominio assoluto. In realtà “Il Gattopardo” è tutto percorso dal senso della morte intesa come punto di convergenza e annientamento di tutto. Da qui quel sentimento di stanchezza, di noia e di pietà che incornicia la vita del Principe […]. La tragedia del Gattopardo sta nell’assenza di Dio. Non c’è nulla da fare sotto questo cielo vuoto; nulla cui aggrapparsi, in cui sperare, per cui vivere. Bisogna rassegnarsi a guardare la vita con disincantato scetticismo e accettare gli eventi con stoicismo e apatia». Nell’ultima frase sostituiamo vita con politica e Tomasi di Lampedusa è sempre tra noi. Stoico, apatico, ma più vero che mai.
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