Cacciari e Severino, la hybris originaria
Nel libro di Luca Mauceri si fa esaltante il confronto tra i due filosofi contemporanei. Se per il secondo, il mostrarsi di qualcosa è segno incontrovertibile della sua eternità, per il primo l'apparire dell'essere non dice nulla da ultimo di sé e oltre sé stesso
È facile ripetere che al giorno d'oggi non si possa determinare un centro del pensiero contemporaneo. Meno facile vedere che invece quel "centro che è ovunque", come afferma Nietzsche, è ritrovato magistralmente dal pensiero di Emanuele Severino. Difficile anche riassumere i suoi 60 anni di pensiero, celebrati pochi giorni fa nell'evento "All'alba dell'eternità. I 60 anni de La struttura originaria", a Brescia, che però ormai si impongono sulla scena italiana e internazionale per le sue tesi tanto sconcertanti quanto affascinanti: ogni cosa è eterna e se non si vede ciò, è solo perché l'Occidente ha dimenticato la verità massima dell'essere. Tesi forte, sostenuta con la forza pura del principio di non contraddizione e perciò discussa continuamente da allora, ricercata e analizzata nei suoi fondamenti complessi, che tanti hanno cercato di comprendere o criticare per vedere realmente questa eternità sfuggita agli occhi.
Il libro di Luca Mauceri, La hybris originaria. Massimo Cacciari ed Emanuele Severino, sostiene che se in Europa, come diceva Cacciari, la gigantomachia filosofica del Novecento è stata tra Severino e Heidegger, in Italia avviene tra Severino e Cacciari. E se Cacciari è più noto come politico e riferimento culturale di spessore, sarà il caso di ricordare che altrettanto elevato e prezioso è il suo pensiero teoretico, che attraversa tutta la vasta produzione filosofica. Cacciari, mostra Mauceri minuziosamente, riesce a pensare accanto e contro Severino. Riesce a corrispondere a quanto pensato e a trovare gli spazi per una critica non aprioristica ma che profondamente interroga, perché torna ai fondamenti della cosa singola, chiedendole cosa sia e di cosa ci informi: dove sta il passaggio tra essere eterno ed enti eterni? Davvero l'essere parla con la lingua della non contraddizione? Cosa ne saranno della cultura e della vita umana a partire da queste deduzioni?
Non è allora "la guerra la madre di ogni cosa", come lapidariamente ritiene Eraclito, ma "la cosa la madre di ogni guerra", come ripete Severino. Il modo in cui l'essere delle cose è interpretato sancisce definitivamente il nostro rapporto col mondo che, se si rivela malato, distorto, insufficiente, va rivisto dal suo vero Inizio.
Mauceri coglie la palla al balzo lanciata dai due autori, indicando l’importanza di tale argomenti, ma volendo andare anche oltre essi: il punto che può divenire centro a livello critico, e in generale come compito del pensiero, è cosa sia ciò che fenomenologicamente si mostra. Se per Severino il mostrarsi di qualcosa è segno incontrovertibile della sua eternità, per Cacciari l'apparire dell'essere non dice nulla da ultimo di sé e oltre sé stesso. E anzi, l'oltre diviene proprio l'oggetto di continua ricerca. L'oltre di un essere che eccede continuamente sé stesso, che rimanda all'altro da sé in una hybris che è appunto connaturale, essenziale, originaria.
Ricominciare a pensare la cosa nella sua singolarità significa ridare un inizio al pensiero per tentare di rifondare una cultura filosofica forte, rigorosa, lucida e attenta: che sappia dire la sua chiaramente e fondare ciò che afferma. Significa sapere rivolgersi a quella "filosofia futura" che Severino indica, battendo forte i pugni sul tavolo delle chiacchiere e delle illusioni.
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