Enzo Bianchi, l'esercizio della pazienza
Non c’è la parola web in “Ogni cosa alla sua stagione”, ma c’è l’essenza, il silenzio, il ricordo di quando le parole erano poche e avevano grande significato. C’è la costruzione di una vita, di come si impara a vivere
Rileggo Ogni cosa alla sua stagione di Enzo Bianchi. La vita che è gioia e dolore, memoria e speranza e, almeno per il fondatore della Comunità monastica di Bose, mai oblio. Dai giorni degli aromi a quelli del focolare, dai giorni del presepe a quelli, appunto, della memoria, dalla cella si parte e alla cella si torna in un epilogo struggente, dove la guida resta il Vangelo, «un libro che non ci estranea dalla vita ma ci fa entrare in essa con il desiderio di condividerla con gli altri, un libro che non chiede ascesi se non per ordinare l’amore, un libro che non fornisce una legge, non impone fardelli troppo pesanti ma “in-segna”, fa segno, indica un percorso vitale, invita tutti alla responsabilità, spalanca le strade dell’amore…».
Ma non ci sarebbero queste pagine, non ci sarebbe vita, non ci sarebbe lo stesso Bianchi (certamente lettore attento del filosofo Roberto Esposito), senza la comunità. Quella inventata da Etta e Cocco, la maestra e la postina che decisero di dividere tutto e che in un paesello del Monferrato presero a cuore i suoi giorni più duri (orfano di madre a otto anni, con un padre difficile), e quella fondata da lui stesso, dopo gli anni dell’Università, a Bose, perché «la comunità è l’insieme di persone unite non tanto da un possesso, da una proprietà, da un “di più”, ma da un “di meno”, da un debito che ciascuno vive verso gli altri».
Ogni cosa alla sua stagione ha l’ardire di farci assaporare i giorni, persino quelli più temuti dell’autunno che chiama l’inverno. Ogni cosa alla sua stagione, ogni cosa a suo tempo, andrebbe ricordato a chi si precipita, a chi ha fretta, a chi intende spostare sempre un po’ più in là l’obiettivo, a chi si ostina a tornare indietro, perennemente indietro perché vorrebbe saldare conti che non si possono più saldare e così fuggire al presente, a ciò che è, a ciò che ci si para davanti e chiede attenzione, ascolto, partecipazione, misura.
Non c’è la parola web nel libro di Bianchi, ma c’è l’essenza, il silenzio, il ricordo di quando le parole erano poche e avevano grande significato. C’è la costruzione di una vita, di come si impara a vivere, a fortificarsi, a forgiarsi e a temprarsi, perché «vivere, infatti, è duro, e occorre imparare a vivere come si impara un mestiere. Occorre soprattutto esercitare la “pazienza”, accettare la fatica come il prezzo di tutto ciò che si acquisisce in umanità, non aver paura di vivere l’amore anche quando presenta la faccia del sacrificio per l’altro… Sì, per amore ci si può sempre curvare, sapendo che comunque la vita ci curva e che ognuno se ne va portando con sé un segreto: come ha potuto trovare senso nella propria esistenza».
L’edificazione di sé, per dirla con Salvatore Natoli, è un lento, paziente e perseverante esercizio quotidiano. Vale per chi si è dato un convento dove abitare e per chi è fuori, per chi pensa di vagare libero per il mondo mentre è rinchiuso dentro altre mura. Ogni cosa alla sua stagione, ma le stagioni passano, si rincorrono e chi ha tempo non aspetti tempo.
Il Foglio sportivo - in corpore sano