Tra Nietzsche e Stendhal, il libro non è una fiera
Leggere è un incontro personale, riservato, lontano da occhi indiscreti, intimo. Riflette un tuo desiderio inconscio, riapre ferite che non sai, indica percorsi ancora sconosciuti, senza navigatore, spesso al buio
Forse un giorno tutti questi libri saranno tuoi, figlio mio, o forse finiranno al macero, sostituiti dai tuoi. Ho davanti a me il Machiavelli di Prezzolini, Massa e potere di Canetti, Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, I luoghi persi di Piersanti, Compagni, addio di Mughini. Non importa che sia politica, antropologia, filosofia o poesia. Non importa che sia saggio o romanzo, letteratura italiana o straniera, importa ciò che è in loro e ciò che sarà in te. Nessuno legge senza essere mutato dalla lettura. Non si diventa migliori o peggiori, ma si muta. Pochi libri sono per sempre, ma ogni libro è per ora, chiede di essere almeno aperto, sfogliato, annusato. Ci trovi la donna, l’uomo, l’istinto e l’alterigia, la banalità del male, il pensiero faticoso e l’illuminazione improvvisa, il riposo del guerriero e il bacio senza fine.
Non andare alla fiera del libro. Non è una fiera, il libro. È un incontro personale, riservato, lontano da occhi indiscreti, intimo. Riflette un tuo desiderio inconscio, riapre ferite che non sai, indica percorsi ancora sconosciuti, senza navigatore, spesso al buio. E se in fondo trovi la luce, anche uno spiraglio di luce, la prova non sarà stata vana. Se nero è il cuore del papavero, come dice Patrizia Tocci, arduo è osservarne ogni singolo petalo, saperlo sfiorare e catturarne l’essenza. Non è un mito, il libro, e non farne mai un idolo. Ti deluderebbe. Usalo, bistrattalo, combattilo come combatti nella vita, ma rispettalo come rispetti la vita.
Ieri sera, prima di chiudere gli occhi, prima che il libro mi finisse addosso, leggevo che «c’è un solo precedente a Stendhal ed è Montaigne. E Stendhal ne ha piena coscienza. “Ho cercato di raccontare come Montaigne”, dice. E si badi: “di raccontare”. Entrambi, nel loro tempo, hanno scritto (come Auerbach dice di Montaigne) per lettori che non esistevano, hanno scritto creando il loro futuro lettore. Ci sono volute almeno due generazioni per raggiungerli (come Nietzsche dice per Stendhal). Entrambi stanno in quella che possiamo chiamare la “finis terrae” della letteratura: là dove comincia l’oceano tempestosamente gioioso – o gioiosamente tempestoso – della vita». Sono le ultime righe di una postfazione di Leonardo Sciascia a Il Rosso e il Nero di Stendhal. Chissà chi è lo scrittore che ti sta creando quale futuro lettore.
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