Jacques Lacan, politica e psicoanalisi
Un libro raccoglie un confronto a più voci e imprime una svolta a un dibattito fin qui ricco di chiacchiere, ma povero di spunti interessanti
“Quale posizione hanno gli psicoanalisti di fronte allo scombussolamento che il capitalismo ha introdotto nel modo di vita di ciascuno e l’emergenza di segni più o meni feroci del disagio della civiltà? Come interpretano la crescita dei razzismi, della segregazione, della chiusura delle frontiere, del ritorno della religione? Che cosa possono dire di fronte alle condizioni dei legami sociali attuali e al disagio che ne consegue? Come preservare il posto del soggetto?”.
Sono le domande cruciali che Rosa Elena Manzetti pone in coda all’introduzione di Politica lacaniana, curato insieme a Paola Bolgiani, edito da Rosenberg&Sellier. Vi sono libri-resoconto banali e inutili e altri che, al contrario, testimoniano un mutamento di corso, raccogliendo un confronto a più voci e imprimendo una svolta a un dibattito fin qui ricco di chiacchiere, ma povero di spunti interessanti e illuminazioni proficue. Politica lacaniana, grazie allo spessore degli autori, illumina e getta nuova luce per inoltrarsi operativamente in un terreno minato. Lo si deve soprattutto a Jacques-Alain Miller, che il 14 maggio del 2017 crea la Movida Zadig, Zero Abjection Democratic International Group e annuncia la creazione di una rivista, Heretics. Tutto comincia, in verità, il 7 marzo precedente. Scrive Bolgiani: “Il Consiglio dell’École de la Cause Freudienne prende una decisione che non ha precedenti nella storia della psicoanalisi, un appello pubblico a votare contro Marine Le Pen e il Front National alle elezioni francesi”. A maggio, nel Convegno di Torino riproposto nel libro, è lo stesso Miller a spiegare: “Ho un progetto: essere presenti, non soltanto nella clinica, nella psicologia individuale, come dice Freud, ma anche nella psicologia individuale in quanto collettiva, vale a dire nel campo politico. Non come un partito politico, ma per come gli psicoanalisti possono apportare qualcosa all’umanità in questo momento della o delle civiltà. Questo apporto, Lacan l’ha detto e ridetto, lo sperava, ma non è giunto a renderlo concreto. Non ha raggiunto l’apertura che è la nostra oggi. Non ha fatto questo passo, nonostante tutto il suo discorso converga su questo punto”. Miller, nella prima conferenza fa l’elogio degli eretici, poi a luglio, sempre nel capoluogo piemontese, torna sul tema con Eresia e Ortodossia: “Qui bisogna dire alla psicoanalisi e agli psicoanalisti – De te fabula narratur. Perché la storia dell’ortodossia e dell’eresia, del senso comune e della scelta soggettiva, è anche la storia della psicoanalisi. In particolare quella del Campo freudiano che tende verso la Scuola Una, che ha anch’essa i suoi missionari, i suoi emissari, i suoi viaggiatori, che ha le sue pubblicazioni e ora ha la sua radio e la sua televisione, che tende sulle comunità analitiche la stessa tela di ragno che veniva tesa nei primi secoli del cristianesimo sulle comunità credenti. Occorre riconoscere qui semplicemente l’azione della stessa struttura, la struttura discorso. C’è una scelta da fare tra il significante padrone e l’oggetto a. La scelta lacaniana è dal lato di a, che si traduce nel fatto che l’eresia abbia la meglio sull’ortodossia”.
Sulla sezione relativa alle Puntuazioni Lacaniane, segnalo Antonio Di Ciaccia con Dante, eretico: “Se mettiamo in parallelo la politica di Dante con quella di Lacan, che cosa troviamo? Troviamo che il potere religioso è di un altro ordine del potere politico, al quale non deve arrogarsi di sostituirsi. Il politico si riferisce al discorso del significante padrone, e si svolge a livello del godimento fallico. Diversamente è, o dovrebbe essere, il discorso religioso, che è segnato dal non-tutto e che dovrebbe rifuggire da ogni forma di padronanza”; Paola Francesconi con Leopardi: attraversamento dell’illusione e ritorno: “L’egoismo individuale si conciliava con il collettivo, laddove invece il moderno piega l’egoismo alla rivalità, all’odio, alle diverse fazioni, alla fin fine contro lo Stato. Utopia sì, ma da interpretare alla luce della sua filosofia e della forma di militanza che ha come arma, di offesa e di difesa, la poesia, il dire poetico. È da lì che partono i suoi proiettili (di Leopardi) contro l’idea del moderno pervertito dalla tecnica e dal trionfo del sapere. La poesia è il rifugio contro la filosofia rinsecchita dalla ragione, dai deleteri lumi, ma è anche la tensione verso qualcosa”; e Domenico Cosenza con Gramsci, Lacan e la politica. Una tensione tra eretico e organico: “Anche nell’ambito della sua posizione politica nel contesto dell’internazionale comunista, la posizione di Gramsci è stata eretica. Fu uno dei primi grandi critici ante litteram dello stalinismo e della sua deriva burocratico-nazionalistico-autoritaria, e nella fase più avanzata del suo pensiero molti studiosi oggi riconoscono lo sbocco verso una prospettiva politica post-leninista, aperta alla costruzione di un radicalismo democratico e cosmopolita”.
Le riflessioni sulle quattro impasses della nostra civiltà sono dedicate al denaro, all’autorità, al sesso e al femminile, alla follia. L’ultima parte riguarda la politica di Freud con acuti interventi sul padre da salvare? e intorno al disagio della civiltà. Il dibattito continua, ma si eleva. Cosa può un corpo? si chiede Gilles Deleuze. Cosa può uno psicoanalista? Con Politica lacaniana ne sappiamo un po’ di più.
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