Duccio Demetrio, la ricchezza dell'autunno
In un libro incantevole, l’autore riesce a collegare il tratto malinconico di una stagione, che sembra accompagnare gli umani verso il finale di partita, con l’essenza vera del vivere
Senza giri di parole: Duccio Demetrio ha scritto un libro incantevole, sontuoso. Sfogliare e leggere Foliage. Vagabondare in autunno, edito da Raffaello Cortina, è l’incontro con la nostra interiorità, l’esplorazione di un territorio spesso sconosciuto, un appuntamento non con la decadenza, come si ritiene da più parti e da secoli, ma con la crescita, con la fioritura, con la ricchezza. Sì, si può fiorire in autunno come càpita al ciliegio ornamentale posto a Milano, all’incrocio tra via Giotto e via Capponi, un ciliegio che ha la forza di sconvolgere l’autore, persino di rianimarlo nei momenti dell’ombra esistenziale. Non è vero, caro Ungaretti, che si debba stare sempre come in guerra, come i soldati, come d’autunno sugli alberi le foglie. La vita è certo anche guerra, ma il tratto malinconico di una stagione che sembra accompagnare gli umani verso il gelo invernale, verso il finale di partita, può collegarci con l’essenza vera dell’esistere, dell'esserci, del vivere. È con l’autunno, con le sue tinte tenui, che possiamo cogliere il segreto della vita, la ricchezza della vita. Al freddo glaciale dell’inverno, al caldo torrido dell’estate, alle eccitazioni inebrianti della primavera, Demetrio predilige, senza opporre, la misura dell’autunno, ne fa la stagione del suo cuore, il preludio di straordinarie accensioni, per dirla con i versi del poeta Angelo Casati: “Non chiamate decadente questo autunno, le foglie e il loro volteggiare lieve sospeso nell’aria. Spoliazione o preludio di accensioni?".
Scrive l’autore: “L’autunno è un tempo di metamorfosi sublimi e incantamenti, di distacchi e di ritorni, di abbandoni e di rinascite. L’autunno è un’irruzione della natura che pare consolare la terra per ciò che le accadrà. Non fine, non morte senza appello: ma passaggi e transizioni nei quali è possibile intuire – oltrepassando l’inverno – i presagi della primavera, che – un altro paradosso – ha molti punti di contatto con il tempo degli addii. L’autunno è un non-tempo da amare: perché è la parentesi più propensa a insegnarci i piaceri della solitudine appagante, le beatitudini del silenzio, le euforie dell’intimità. In tali doti e doni, da accettare con gratitudine, si nascondono la sua grandezza e il suo misconosciuto carattere sapienziale”.
Demetrio aveva dato prova, con Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione mediterranea, di una sensibilità d’osservazione notevole, rivelandosi un intimista mai banale, (pre)destinato alla creazione. In Foliage ricorre ai poeti, ai pittori, ai filosofi, a chi si è incaricato di rivoltare la foglia autunnale come una carta, di far emergere il suo risvolto velato. L’autunno è sospensione del tempo per vivere meglio nel tempo. Per Adriana Zarri “è silenzio ritrovato, concentrazione densa, solitudine calda, meditazione, preghiera […]. Il sapore dell’autunno è quello della maturità. Non qualcosa di stanco e marcescente, ma di compiuto […]. È tempo di raccolta, ma di una seminagione lontana; ed è tempo di semina per un lontano raccolto”. Eppure, per tanti altri è stato altro l’autunno. Precisa Demetrio: “Disprezzato da tutti gli antiromantici, d’allora e d’oggi, nell’Ottocento divenne, in quel dialogo di opere a esso dedicate, il simbolo dell’esistenza stessa. Poeti, scrittori, filosofi e altri artisti di ogni genere seppero farne un’icona filosofica, la sintesi della condizione umana, delle sue tragedie e commedie”.
Non conosce l’autunno, sembra suggerirci l’autore, il ritmo del tempo, il linguaggio e la morte, la vita e la morte, chi non legge Heidegger, Elias, Givone, Agamben, ma non conosce l’autunno neppure chi non si perde in Urbino d’autunno, fuori le mura color miele, nelle Cesane d’autunno, e mi riempie di gioia Demetrio che ricorre più volte a Umberto Piersanti, rendendolo parte importante della sua opera. Cita I luoghi persi, L’albero delle nebbie e afferma che “prima di mettersi in cammino, dovrebbe essere un rito leggere qualche pagina di poesia. Come questa, di Umberto Piersanti”: “Ricordo il settembrino nelle strade…”, cita Bertolucci, Cappello, Pontiggia, Lamarque e insieme a Hölderlin, Leopardi, Quasimodo, Ovidio, Rilke, in realtà non li cita ma li rende compagni di un eterno viaggiare, di un eterno vagabondare, tra nostalgia (ah, Nostalgia, storia di un sentimento, di Antonio Prete!) e senso della finitudine, tra caducità e possibile riscatto. E nuovo inizio. Demetrio ammette: “L’autunno è perturbante, brumoso, deprimente, non vi è alcun dubbio”, ma continua: “È sintesi di quanto accade in un anno, nel corso di un’intera vita. Anche gli spiriti più ottimisti e ben disposti nei suoi confronti debbono ammetterlo. Ma, a differenza degli altri, la stagione li educa ad attraversare il male e il bene. Però quella ‘festa di colori’, quando c’è, quei ‘brividi di cielo azzurro’, quando ci rianimano, vogliono pur sempre dirci qualcosa. Ci invitano a riprendere un cammino, oppure ad abbandonare una strada”.
Ci si può innamorare d’autunno e dell’autunno, ma è una disposizione dell’anima, un luogo dell’anima, una ricerca profonda di esperienze inattese. Si possono amare i quadri d’autunno, finirci dentro per sentirsi meno soli, come quelli di Schiele, Van Gogh, Monet, Gauguin e Pissarro. Ecco, rimirando i suoi “Pioppi” di pagina 158 ho capito che, di radura in radura, “andare controcorrente e amare l’autunno può essere una filosofia di vita”. Chiude Demetrio: “Autunno come riapparire del desiderio di reagire al tempo che verrà: senza più frutti e sapori, sfumature, penombre, richiami, paesaggi. Come rimpianto fecondo, anche per l’affollarsi delle quotidianità convulse che ci distolgono dal goderne con pacatezza l’avvicinarsi, l’adempiersi, il confondersi nelle brine dicembrine”. Amare l’autunno può essere una filosofia di vita. Può essere la vita.
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