Peter Sloterdijk, la mistica dopo Dio
Il filosofo tedesco ci regala un libro alto e complesso, svelando i vantaggi inaspettati del contenuto ultimo della religione o del suo fermento più interno
Dopo Dio c’è Peter Sloterdijk, Sloterdijk delle sfere e delle bolle, dei globi e delle schiume, di una critica della ragion cinica che nel 1983 lo rivelò con un’apparizione sorprendente, inaudita. Ma il filosofo tedesco va oltre, si rinnova tornando sui campi battuti, non molla la presa di un ragionamento che ha stile narrativo e potenza speculativa. Se il nichilismo ha radici nell’Illuminismo, se tutto ciò in cui l’uomo credeva è stato violentemente abbattuto da una scienza triste, se Nietzsche aveva capito tutto, se il crepuscolo degli dei arriva dopo tutti i mondi degli dei, se l’antropotecnica addestra, addomestica, gestisce e pianifica la condotta dell’essere (dis)umano, cosa resta fra tanta polvere?
Dopo Dio, edito da Raffaello Cortina, a cura di Gianluca Bonaiuti, estensore anche di un poscritto immaginifico, raffinato e colto (“Sloterdijk è un’intelligenza filosofica che non smette di essere, anche in questo caso, eccessiva, e proprio per questo preziosa e insostituibile”), è sì raccolta di saggi, ma contiene lo spessore del libro alto e complesso, un grande albero con grande ombra, che da quel crepuscolo muove per addentrarsi nella religione mondiale dell’assenza di mondo, nella Scuola teologica, in una proposta di nascondimento, in un imperativo mistico, con pagine esaltanti nel corpo a corpo con Martin Buber. Un libro che fa arricciare il naso ai cattolici, a chi si ostina a vedere Dio anche dopo…Dio. Scrive Sloterdijk: “L’individuo moderno si trova – loquace e ineffabile – all’incrocio delle impronunciabilità di tutti i popoli e di tutti i tempi: egli non ha più la necessità di esibire i propri contenuti di fede, ma è consapevole di essere imparentato nella dimensione dell’interno con tutti i testimoni positivi dell’animazione mistica; prevenendo l’osservazione esterna priva di fede e osservandosi nell’atto di ‘credere’ e di fare professione di fede, egli si scopre come un abisso nel quale si dissolvono i dogmi precostituiti e dal quale sgorgano le proiezioni. In questo senso individualità e religiosità diventano sinonimi. Vuoto e mostruoso, il moderno Io religioso s’insedia nelle vicinanze dei più grandi significati – ora capisce tutto”.
Per Sloterdijk, nel pantheon della filosofia ‘contemporanea’ si ergono figure ben note: Schelling, Hegel, Bergson, Heidegger, Bloch, Günther e forse anche Cusano: “Sono stati soprattutto questi autori a chiudere con lo svuotamento del tempo e con la novità che doveva provenire dall’essere. Hanno fatto saltare in aria i gusci morti dell’ontologia, collocando il tempo e il novum nel posto più interno dell’essere”. A chi dobbiamo il Moderno? Perché esiste, per dirla con l’ultimo libro di Antonio De Simone, un Destino Moderno? Continua Sloterdijk: “Dobbiamo il Moderno a coloro che hanno rifiutato l’idea di uno svuotamento completo del futuro nel passato e hanno optato per l’inesauribilità del futuro, nonostante il fatto che questo votum escludesse la possibilità di un Dio onnisciente, di un Dio che ‘alla fine dei tempi’ si ripiega in una retrospettiva onnicomprensiva sulla creazione”.
Nell’arena del mondo, lo spazio ora è privo di marcature, di segni forti, di confini stretti e angusti. L’esperienza mistica propone vantaggi inaspettati, sgravata da imposizioni e dogmi. Argomenta l’autore: “Con la riduzione del cristianesimo, dell’ebraismo e di altre tradizioni storiche a ‘religiosità in generale’, le componenti che non possono essere più ricondotte ai costrutti della fede vengono alla luce come elementi puri o sotto forma di ‘radicali’ con un’importanza nuova. Tra questi ‘radicali’ la mistica suscita già da un po’ di tempo particolare interesse. Nei circoli degli esperti del soprannaturale, essa viene considerata il materiale di cui sono fatte le religioni, dopo la scomparsa degli involucri mitologici e delle peculiarità regionali, essa diverrebbe il contenuto ultimo della religione o il suo fermento più interno”.
Dopo Dio, l’essere, che resta gettato nel mondo, nel mondo che ha preso il posto di Dio, abbandona vecchie pratiche ma non smarrisce la richiesta di senso, dell’interrogarsi sulla propria presenza: “Di fatto il ritorno all’esperienza mistica offre il vantaggio di sottrarre terreno alle forme di annuncio dogmatico; ciò va incontro all’individualismo delle condizioni moderne. Chi oggi parla all’orecchio di terzi di circostanze mistiche non parla, nel caso idealtipico, della propria esperienza, né parla come genio o come apostolo, ma come testimone di un episodio sul fronte della trascendenza”.
Sloterdijk, che certo non si spaventa delle terminologie colorite, anzi ricerca con passione definizioni ardite, ne trova una davvero adeguata: “La mistica è la scommessa sulla continuità della rivelazione di ciò che prima, qui è altrove, è ‘apparso’ in modo indimenticabile. Senza revelatio continua, non c’è posizione mistica. Se ci fosse un motto a proposito del quale i mistici di tutti i colori potrebbero concordare, potrebbe essere: apocalypse now – ma anche ‘rivelazione ora!”. Sempre meglio di: mistici di tutto il mondo, unitevi! Non avremmo potuto accettarlo. Dopo Dio, dopo Marx, dopo tutto.
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