Jacques-Alain Miller, L'Uno-tutto-solo
Astrolabio manda in libreria il “Corso dell’anno accademico 2010-2011” firmato insieme ad Antonio Di Ciaccia. È la chiave per comprendere l’ultimo Lacan, il Lacan del campo del reale e dell’insistenza del godimento. Anche la sua lettura è un’esperienza psicoanalitica
Elucidare l’insegnamento di Lacan, stabilire i testi dei suoi Seminari, in realtà un unico intenso Seminario, una serie lunga una vita. Questo il compito che si è dato (e che gli è stato affidato) Jacques-Alain Miller. Lo ha svolto e lo svolge da maestro, magistralmente, come emerge anche dal suo ultimo libro, firmato con Antonio Di Ciaccia, L’Uno-tutto-solo. L’orientamento lacaniano, edito da Astrolabio. Vi sono alcune perle di Miller nello scaffale dello stesso editore romano. Ricordo, tra gli altri, Chi sono i vostri psicoanalisti?, Introduzione alla clinica lacaniana, I paradigmi del godimento, Logiche della vita amorosa. Sintomo e fantasma. Il Gide di Lacan. Ora, però, seduti e attenti, perché L’Uno-tutto-solo, il suo corso dell’anno accademico 2010-2011 dal titolo L’Essere e l’Uno, obbliga alla massima concentrazione, essendo un’esplorazione dei campi lacaniani più suggestivi, tra reale, godimento femminile, essere ed esistenza, l’essere che è il desiderio, il punto di capitone e, dulcis in fundo, un imperdibile Sartre e Lacan.
Elucidare, dunque, l’insegnamento di Lacan. Avrei scritto elucidare l’opera di Lacan, se Miller non mi avesse fulminato già dalle prime righe: “Se c’è un termine inesistente in Lacan, un termine che non pronuncia né scrive mai per indicare il prodotto del proprio lavoro, è per l’appunto il termine ‘opera’. Preferiva piuttosto offrire al pubblico qualcosa come uno stuzzichino che mettesse appetito, annunciando all’infinito il piatto forte. Proponeva un menù sotto forma di feuilleton. Il suo Seminario era un feuilleton sullo stile delle serie televisive americane, tanto di moda al giorno d’oggi. Allo stesso modo, i suoi personaggi, chiamiamoli così, ripartono ogni volta per nuove avventure. Proprio così: il Seminario di Lacan è una serie”.
Non esiste l’opera di Lacan, la teoria di Lacan. Esiste il suo insegnamento. È stato ed è un signore dell’insegnamento: enseigneur. Per trasformare l’insegnamento in opera, passando dall’udibile al leggibile, occorre “l’ufficio di un altro che prenda in carico la sua trasformazione”. L’altro è Miller: “Leggere il Seminario significa assistere all’invenzione di un sapere. Non posso dire che nasce nel dialogo, sebbene qua e là Lacan abbia dato la parola a qualcuno. È un’invenzione che suppone che sia indirizzato all’Altro, a degli psicoanalisti, senza tuttavia che Lacan abbia mai convalidato questa loro qualifica”. Come procede Lacan nel suo Seminario? Spiega Miller: “Lacan procede essenzialmente tramite argomentazione. È questo che mi ha attratto. Un certo numero di persone è sedotto quando nel Seminario Lacan poetizza, proferisce, declama. Devo constatare che un gran numero di persone lo percepisce come un profeta romantico. Ogni tanto, del resto, egli parla per rime emettendo tremolii di voce senza tuttavia lasciarsi andare troppo e, una volta ottenuto l’effetto voluto, ricomincia con il suo tono abituale. Evidentemente queste rime hanno un loro posto nell’argomentazione. […] La mia traduzione di Lacan prende come punto di orientamento innanzitutto l’argomentazione. Leggo i detriti della stenografia con l’idea che l’argomentazione deve essere impeccabile. Ricostituisco la catena di deduzioni e rimetto al suo posto l’anello mancante della catena. Lo faccio ora molto più spesso di quanto non l’abbia fatto in precedenza. Forse ero più timido? Lasciavo comunque con più facilità che il lettore se la sbrogliasse da solo. Cosa che, per quanto mi riguarda, faccio a volte nel mio Corso”.
Un compito meraviglioso. E mi piace farlo aderire al ruolo dell’analista davanti al proprio analizzante. È presente, elucida alcuni suoi passi, ma è giusto che sia l’analizzante a sbrogliare la matassa, a metterci tanto di suo, perché, non dimentichiamolo, è della propria matassa, non della matassa dell’analista o di un altro, che si parla. Della propria cura o, meglio, della propria esperienza. Ne scrive Miller nel capitolo dal titolo Finestra sul reale: “Per un certo periodo Lacan ha parlato della cura psicoanalitica. Era il tempo in cui bisognava sdoganare la psicoanalisi facendola passare per una terapeutica, vale a dire un’azione che ha come scopo la guarigione. Poi sostituisce il termine cura con un’espressione che prima aveva usato solo qualche volta: esperienza analitica. ‘Esperienza’ nel senso che in analisi avvengono cose molto singolari. Utilizzare il termine ‘esperienza’ ha il vantaggio di non specificare che ne risulterebbe una qualche guarigione, cosa che è prudente e realistica”.
Infatti, nel libro-Corso ci si preoccupa di presentare la psicoanalisi non solo come strumento di azione verso ciò da cui si può guarire, ma anche verso ciò che non ci abbandonerà mai. La risposta al muro che appare invalicabile, all’incurabile, è sempre e soltanto singolare, la risposta è sempre e soltanto nell’Uno-tutto-solo. La psicoanalisi è un viaggio, un’esperienza, uno stile di vita (lo stile è l’uomo), soluzione di un’impasse originaria, passe: “Quella che Lacan chiama passe è il momento in cui un’analisi consegna allo psicoanalizzante il suo essere: momento in cui, una volta percorsi gli effetti di causalità simbolica, si ottiene una riduzione della finzione che si parla o si stabilisce in termini di mancanza. Mancanza-a-essere: in termini freudiani, castrazione o tappo della mancanza a essere, nei termini, invece, dei post freudiani, in particolare di Abraham, oggetto pregenitale”.
La psicoanalisi pone l’essere discorsivo davanti all’essere eterno. Chiarisce Miller: “Potreste pensare che basti essere atei per corrispondere a questo metro, ma si tratta di qualcos’altro, si tratta infatti di abbandonare la nozione della persistenza di un mondo e dell’essere parlante come essere nel mondo. Pensarlo come essere nel discorso impedisce che si trasferiscano su di esso le proprietà che si attribuivano al suo essere nel mondo. Ciò richiede una disciplina dura, richiede che si pensi opponendosi alla routine del proprio piccolo mondo, che d’altra parte coincide con quello grande. Esige che ci si addestri a quanto comporta, quando è seria, la pratica della psicoanalisi”.
Antonio Di Ciaccia scrive che “nell’arco di trent’anni Jacques-Alain Miller ha commentato e chiarito l’insegnamento di Lacan. Senza il suo lavoro, Lacan sarebbe rimasto oscuro. Come afferma in questo volume, Miller si è adoperato per ‘tradurre’ Lacan in francese, affinché fosse più accessibile, senza tuttavia dimenticare che l’oscurità del testo di Lacan era in funzione, com’egli stesso diceva, di quella ricerca personale indispensabile affinché la psicoanalisi non si riduca a una sequela di parole vuote e banali. Lacan considerava il suo insegnamento isomorfo all’inconscio, ossia ‘lo si capisce solo quando si è giunti al punto di capirlo’. Come l’analisi è un aiuto a elucidare l’inconscio, così L’orientamento lacaniano è un aiuto a elucidare l’insegnamento di Lacan”.
Elucidando l’insegnamento di Lacan elucidiamo il nostro inconscio. Elucidando il nostro inconscio, l’Uno-tutto-solo si rivela. Miller definisce l’Uno a pagina cento…Uno, coincidenza che avrebbe illuminato Lacan: “Da dove noi affrontiamo l’Uno, non come neo-platonici ma neo-lacaniani? Noi lo troviamo nel discorso ridotto al suo nocciolo: si tratta del significante Uno. Ogni significante è Uno, e a questo titolo presiede e condiziona l’essere. L’henologia domina l’ontologia: ecco la risposta alla questione che ponevo un tempo a Lacan. È un Uno che merita di essere detto originale perché non si arriva a risalire al di là. Fate bene attenzione: questo non ha niente a che vedere con l’uno che incontrate in una successione di numeri, quello a cui segue il due, il tre, eccetera. L’Uno di cui si tratta, questo Uno di cui ogni significante si supporta, è un Uno-tutto-solo. Ora che vi ho annunciato questo Uno-tutto-solo, bisogna che vi ci familiarizzi. Dirò innanzi tutto che è un Uno a partire dal quale potete porre e pensare ogni marca perché è solamente a partire da questo Uno che potete concepire la mancanza. È la marca originaria a partire dalla quale si conta: uno, due, tre, quattro, a condizione di passare dapprima per la sua inesistenza. Scrivo questo Uno-tutto-solo su una linea affinché ne manteniate la memoria. Lo scrivo in latino, per differenziarlo, I. Ecco l’Uno da solo. Se lo cancellate, vi dà la mancanza, 0”.
Non solo la psicoanalisi è un’esperienza. Lo è anche la lettura di Lacan, lo è anche la lettura (di Lacan) di Jacques-Alain Miller. Anche l’orientamento lacaniano è un’esperienza. Di più, un modo di pensare e di vivere. La mancanza e il tutto.
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