Maurizio Molinari, la scossa del populismo
Il Direttore della “Stampa”, in un libro lucidissimo, con l’aiuto di numeri incontrovertibili, analizza le dodici ragioni all’origine dello sconvolgimento del quadro politico italiano
È tornato il ceto medio. Scomparso da tempo dai radar degli osservatori politici italiani, complice lo stravolgimento, per non dire lo sconquasso, causato dall’arrivo del governo gialloverde, riappare, neppure timidamente, nell'ultimo libro di Maurizio Molinari, Perché è successo qui. Viaggio all’origine del populismo italiano che scuote l’Europa, edito da La nave di Teseo.
Di viaggio si tratta se è vero che, come precisa il Direttore, già brillante corrispondente da Bruxelles, New York e Gerusalemme, “questo volume è stato scritto ‘on the road’, usando laptop e smartphone per prendere appunti durante viaggi e trasferimenti sul territorio italiano da quando, il 1° gennaio 2016, ho assunto la direzione della ‘Stampa’, percorrendo a oggi un totale di almeno 197.018 km. Questi spostamenti fra città, paesi e piazze di una vibrante e imprevedibile nazione mi hanno consentito di riscoprirla dopo aver passato quindici anni all’estero, provocando in me una raffica di sensazioni nuove, frutto dei sensibili cambiamenti avvenuti”.
Che cosa è avvenuto? Perché è successo l’impensabile e, per alcuni, l’irreparabile? Molinari, analista lucido, individua dodici ragioni e a ognuna dedica un capitolo: aggrediti dalle diseguaglianze, paura dei migranti, corruzione dilagante, pochi diritti, la miopia dei centristi, Europa più lontana, l’onda sovranista, Web come strumento della rivolta, il vulnus della memoria, la Chiesa indebolita, la nazione tribale, l’ombra di Putin. Vi sono anche dei tabù che favoriscono populisti e sovranisti. Scrive l’autore: “Sono cinque e sono temi largamente condivisi dai cittadini ma di cui si parla poco e male nella vita pubblica, generando un’omertà di fatto che alimenta il sentimento di protesta. I tabù sono il timore dell’Islam, la competizione economica con i migranti, la paura di perdere l’identità nazionale, l’insofferenza per l’Europa come insieme di regole e il fascino di leader autoritari come Vladimir Putin. Ognuno di questi tasselli descrive una tipologia di malessere che si esprime nel sostegno a posizioni estreme, interpretate con efficacia dai leader della Lega e dei 5 Stelle”.
Molinari dimostra, con arguzia, che i numeri aiutano a formulare l’analisi. L’impoverimento non è un fantasma inventato ad arte: “Il rapporto ISTAT del 2017 fotografa questo disagio in maniera brutale. Sulla base dei dati del 2016, il 46,1 per cento delle famiglie italiane non può permettersi una settimana di ferie, il 14,6 per cento non può mangiare carne o pesce (o equivalenti vegetariani) ogni due giorni. Il 16,5 per cento non può riscaldare adeguatamente la casa, 14.753.000 italiani non sono andati in vacanza (fuori dal proprio comune di residenza) per motivi economici, circa il 70 per cento delle famiglie non riesce a risparmiare, quasi il 42 per cento non riesce a far fronte a spese impreviste superiori agli 800 euro. Nel complesso è il 32,4 per cento delle famiglie che arriva a fine mese con difficoltà: un terzo del paese, al cui interno vi sono situazioni drammatiche, con il 6,5 per cento delle famiglie che afferma di non potersi permettere occasionalmente spese per cibo, l’8,8 per malattie, l’11 per vestiti, il 3,1 per la scuola, il 6,2 per i trasporti e il 9,2 per le tasse. Per non parlare del 3,7 per cento delle famiglie che non può permettersi un’automobile, del 9 che non riesce a comprarsi una lavastoviglie e del 4,6 che non dispone delle risorse per acquistare un computer. È la radiografia di uno scontento che non è ideologico”.
E a fronte di questi numeri incontrovertibili, la miopia dei centristi, di chi, in un modo o nell’altro, ha retto il paese per decenni, risulta incomprensibile. Aggiunge Molinari: “È la genesi di un micidiale cortocircuito: più i leader del Pd parlano di risultati positivi, più la rabbia del ceto medio cresce, perché si tratta di una realtà lontana al punto da sembrare beffarda, offensiva. È come se i leader Pd e la maggioranza della popolazione si trovassero a vivere nello stesso spazio fisico ma in due tempi storici differenti, con i primi immersi in una ripresa ancora estranea alla seconda”.
E quando la politica si separa drasticamente dal vissuto quotidiano dei cittadini, la risposta non può che essere eclatante, sconvolgente. È una risposta che, per fortuna, avviene ancora dentro i seggi elettorali. Forme di protesta o di ribellione estreme non le abbiamo avute, eppure il segno della decadenza, di un paese sfibrato, era emerso da anni; la nave, non un Titanic, aveva da tempo iniziato a imbarcare acqua, mentre a bordo si è continuato a cantare e a danzare.
Molinari, ovviamente, oltre alla miopia dei perdenti, analizza le capacità, spesso sottovalutate, dei vincenti, la loro potente macchina social, una narrazione aderente a ciò che la ‘gente’ vuole sentir dire. Ecco perché è successo qui, in Italia, il paese del fu Bengodi, il paese dei garantiti che hanno perso garanzie, il paese che si è sentito prima minacciato e poi occupato senza difese, il paese che dimentica con facilità i valori conquistati a fatica, mentre ha una mente che funziona meravigliosamente (Machiavelli docet) quando viene meno un solo beneficio goduto per anni, il Paese che chiede risposte immediate, urgenti. Chiude Molinari: “Più a lungo mancheranno le risposte a diseguaglianze, migrazioni e corruzione, più crescerà l’ondata di rivolta contro l’establishment, nazionale ed europeo. Perché le attese e i bisogni del ceto medio indebolito sono molto alti, la perduranza di queste ferite nazionali è destinata a spingere famiglie e singoli verso posizioni sempre più estreme. Chiunque ritenga che il populismo italiano possa essere un fattore passeggero, una circostanza occasionale, incorre nel grave errore di sottovalutare l’impatto che diseguaglianze, migrazioni e corruzione hanno su una moltitudine di cittadini. È lo stesso errore che è stato compiuto dai partiti centristi nell’ultimo quarto di secolo”.
Certo, chiude bene Molinari. Impeccabilmente bene. Poiché negli ultimi 25 anni, non da ieri, una classe dirigente modesta e inaffidabile (per usare eufemismi) ha dilapidato tempo e risorse, ha promesso molto e mantenuto meno di zero, ha cianciato di Seconda e Terza Repubblica facendo rimpiangere la Prima, ha costantemente abbaiato alla luna con riforme, riforme, riforme, ma erano soltanto parole, parole, parole. La transizione a parole, per usare il felice titolo di un libro di Gianfranco Pasquino. Ed era soltanto il …2000. Si scriveva di un’Italia in mezzo al guado, di un vecchio che non moriva e di un nuovo che non nasceva. Sono passati altri 18 anni. Il tempo di una generazione di altre parole, parole, parole. Senza Politica.
Il Foglio sportivo - in corpore sano