Eva Cantarella, gli amori degli altri (e i nostri)
Trenta storie per raccontare un sentimento che, passando dai greci ai romani e a noi, rinnova ricordi e apre nuove prospettive nel solco di un sapere mai finito
Chi ha amato, a proposito di eros, i tanti libri (tradotti in più lingue) di Eva Cantarella, sa del suo dono, che si consolida e rafforza tramite la scrittura, di narrare il mondo antico per renderci meno astruso il presente, di muoversi tra greci e romani con la consuetudine di chi li frequenta da sempre, di accogliere il mito come risorsa generativa di nuovi mondi, di trovare negli amori degli altri i nostri, con differenze sostanziali e sostanziali affinità. Gli amori degli altri. Tra cielo e terra, da Zeus a Cesare, edito da La nave di Teseo, è un libro che segue altri libri ma che, rispetto agli altri libri, ha una sorta di speranza e di missione. L’autrice, già Docente di Istituzioni di Diritto romano e Diritto greco antico all’Università Statale di Milano, spiega: “Questo libro non è dedicato soltanto agli specialisti (alcuni dei quali, per fortuna sempre meno, usano ancora un linguaggio per iniziati), ma spera di raggiungere il pubblico più ampio di coloro che desiderano approfondire una conoscenza del mondo classico acquisita in modo insoddisfacente, e auspicabilmente anche qualcuno che questa conoscenza non l’ha acquisita affatto e che potrebbe desiderare farlo. In altre parole, è un tentativo di divulgare la cultura classica per impedire che diventi patrimonio di pochi privilegiati, come rischia purtroppo di accadere”.
Rischio che non corriamo con Cantarella, poiché è dotata di rigore professionale e di capacità stilistica, poiché sa unire forma e sostanza rispettando l’una e l’altra, poiché non scrive di Medea e Giasone, di Ulisse e Penelope come fossero soggetti imbalsamati da consegnare a libri colmi di polvere negli scaffali più alti delle nostre biblioteche. No, nei suoi libri tutto è vivo, tutto è ieri e oggi, tutto è antico e contemporaneo. Ricordate Come uccidere il padre. Genitori e figli da Roma a oggi, edito da Feltrinelli? Ora, nel nuovo saggio, perché fra le trenta storie d’amore me ne sono uscite a caso due? Perché, dopo la lettura, mi sono rimaste addosso quelle due, insieme alle intuizioni di Cantarella, alle sue letture mai banali? Vediamo.
Perché Medea uccide i figli? Scrive Cantarella: “Medea non è una moglie greca abbandonata, che di regola subiva. Medea è un’esule: se si considera che Euripide mette in scena la sua tragedia nello stesso anno in cui scoppia la guerra del Peloponneso – alla quale era contrario, come a tutte le guerre, di cui vedeva (e nel caso della guerra del Peloponneso sembra prevedere) le tragiche conseguenze -, non sembra troppo azzardato pensare che intendesse mettere in guardia i suoi concittadini dai drammi che le guerre portavano, tra i quali la sorte di chi era costretto all’esilio. Forse voleva evidenziare che, se Medea aveva compiuto il gesto con il quale, come le fa dire Seneca, fiam Medea (‘diventerò Medea’), lo aveva fatto anche per l’insostenibile condizione alla quale l’abbandono di Giasone aveva condannato lei e i suoi figli. Di fronte a simili situazioni, sembra voler dire Euripide, ogni regola, ogni principio, ogni altra considerazione scompare: forse, l’unico modo per salvare i figli da quella condizione era ucciderli”.
In Ulisse e Penelope, invece, l’amore è fedele, l’amore…di lei. Ulisse si distrae, “sale di Circe il letto bellissimo”, ha la storia con Calipso, storia di sette anni secondo Omero, cinque per Apollodoro, uno per Igino. Sono o non sono relazioni extraconiugali, le tante relazioni, con mito o senza, che accompagnano da sempre il cammino degli umani? Cantarella non ha dubbi: “In che modo definire questa storia, se non come un’avventura extraconiugale? Che peraltro, beninteso, non diminuisce l’amore di Ulisse per Penelope: d’altro canto, quando mai una relazione extraconiugale, da parte di un uomo, ha significato qualcosa di simile. […] Ma poco importa: in ogni caso, anche il rapporto con Calipso è una vera e propria relazione, e come tale è percepita dagli antichi, che attribuiscono alla coppia due figli”.
Ma non perdete, vi prego, Elena e Paride, Arianna e Teseo, Ettore e Andromaca e, tra i romani, Catullo e Lesbia, Marzia e Catone e le storie di Cesare, “il marito di tutte le mogli…e la moglie di tutti i mariti”. Non perdete, tornando ai greci, Edipo e Giocasta, l’amore incestuoso. Continua Cantarella: “Ma la storia di Edipo raccontata da Sofocle non è l’unica che la mitologia greca ha tramandato, e non è quella originaria. In Omero, Giocasta (chiamata Epicaste) si uccide, ma Edipo non si acceca né va in esilio. Egli continua a vivere e muore nella sua città. Del resto, la Teogonia di Esiodo racconta un susseguirsi di incesti che non sembrano creare alcun problema: l’orrore dell’incesto non trova spazio nella più antica letteratura greca. L’ipotesi che esso venga introdotto nella storia di Edipo da Sofocle e da lui usato con indiscutibile efficacia come materiale tragico non è da sottovalutare. L’interpretazione freudiana, di conseguenza, essendo basata esclusivamente sull’Edipo sofocleo, rischia di far perdere di vista la peculiarità del momento storico in cui venne proposta agli ateniesi: nel contesto, vale a dire, di una discussione in quel momento molto accesa ad Atene sulla possibilità dell’essere umano di non dipendere solo dalle forze a lui superiori come il destino e le forze divine. In buona sostanza, sull’esistenza o meno del libero arbitrio. Tutto questo, ovviamente, senza pensare di discutere l’interpretazione freudiana (al di là della competenza di chi scrive), ma solo per avanzare dubbi sulla possibilità di attribuire un valore universale a quell’interpretazione”.
Capite quanto può essere importante un libro? Un libro racconta e, raccontando, intreccia storie, misura sentimenti, coglie emozioni, suscita interrogativi, scatena sensi di colpa, tenta di sanare ferite, rinnova ricordi e apre nuove prospettive nel solco di un sapere mai finito. Sui greci. Sui romani. Su noi. Sulla vita. Sulla morte. Sull'amore.
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