Georg Simmel, geniale “Zeitdiagnostiker”
Navigando nel mare increspato della sua “Sociologia”, riedita da Meltemi, è possibile afferrare la modernità, la reciprocità, l’ambivalenza, la filosofia del denaro, il tempo e la vita, con escursioni nella morte e nella filosofia dell’arte, dove si staglia il confronto tra Kant e Goethe
“Bisogna leggere Georg Simmel!”, intimò un professore appena giunsi all’Università di Urbino. Un altro, ancor più deciso, rincarò: “Ogni volta che leggo la sua Sociologia, mi dico: costui era troppo intelligente!”. Non restò e non resta, dunque, che leggere e (ri)leggere Simmel, il filosofo e sociologo tedesco, l’antiaccademico per eccellenza che, con il libro d’esordio, La differenziazione sociale (1890), ottenne una recensione da Tönnies e una citazione da Durkheim in La divisione del lavoro sociale. Sono diversi i modi per accostare un grande pensatore, giudicato eclettico, mai sistematico, eppure interprete finissimo del suo (e del nostro) tempo. Un grande Zeitdiagnostiker lo definì Habermas ma Simmel, per le geniali intuizioni, ha la potenza di assurgere anche a nostro contemporaneo. La sua lettura della società e dell’individuo, della reciprocità, della relazione, dell’interazione, ha lasciato segni inconfondibili. Navigando nel mare increspato degli studi simmeliani, tra acque talvolta abissali, ma sempre invitanti e rigeneranti, è possibile afferrare la modernità, la reciprocità, l’ambivalenza, la filosofia del denaro, il tempo e la vita, con escursioni sulla morte e la filosofia dell’arte, dove si staglia il confronto tra Kant e Goethe.
Sono soltanto spicchi delle tante sfaccettature di un pensiero di ampio respiro, non riducibile a sentenze, capace di abbracciare la vita nelle sue molteplici forme. Ecco perché è importante ritrovarsi davanti la sua Sociologia, riedita da Meltemi in circa mille pagine, tradotta da Giorgio Giordano, con una approfondita introduzione di Massimiliano Guareschi e Federico Rahola, che avvertono: “Volendo tracciare una mappatura non certo esaustiva, Simmel può essere visto come un capitolo significativo della storia del kantismo, che in fondo è un altro modo di dire ‘filosofia contemporanea’, in direzione di quella somatizzazione e storicizzazione degli apriori che scandisce gli sviluppi, oltre Kant, di un trascendentalismo a cui non sembra più possibile rinunciare ma che risulta improponibile in termini astrattamente universalistici. Ma anche capitolo fondamentale, prima e dopo l’incontro con il pensiero di Bergson, di quella ritematizzazione della vita come erede metafisico della sostanza, dello spirito o della materia che segna il pensiero novecentesco dalla Lebensphilosophie fino a Canguilhelm, Deleuze e oltre. In tale prospettiva, le sollecitazioni provenienti dall’autore dell’Evoluzione creatrice si innestano su una preesistente dimensione ‘vitalista’ che affonda le radici nell’energetica di Herbert Spencer, autore chiave della formazione simmeliana, e si ridefinisce nel confronto con Goethe, Schopenhauer e Nietzsche, autore quest’ultimo che Simmel fra i primi approccia come filosofo a pieno titolo, e non come mero critico della cultura, ‘moralista’ o ‘artista’. Stando al parere di Gadamer, sarebbe stato, prima del 1918, addirittura l’unico ‘professore di filosofia che avesse osato tenere una lezione su Nietzsche’, anticipando un atteggiamento teorico che avrebbe condotto ai corsi di Heidegger che nel dopoguerra confluiranno nel Nietzsche”.
Scorrendo l’indice ritroviamo i lavori fondamentali sul problema della sociologia, sulla determinatezza quantitativa del gruppo, sul segreto e la società segreta, sull’intersecazione di cerchie sociali, sul povero e i favolosi excursus sulla sociologia dei sensi, sullo straniero, sulla nobiltà, sulla fedeltà e la gratitudine. Mi chiedo: come può mancare un libro di tale densità ma, di più, come può restare assente la figura di Simmel nella mente di un qualsiasi intellettuale desideroso di misurarsi con la vita, con le sue grandezze e le sue miserie? Scrive Simmel: “In quanto l’uomo è considerato come essere sociale, a ognuno dei suoi doveri corrisponde un diritto di altri esseri. Forse, anzi, la concezione più profonda è quella per cui esistono a priori soltanto diritti, per cui ogni individuo ha pretese – sia generalmente umane sia derivanti dalla sua situazione particolare – che soltanto come tali diventano doveri di altri soggetti”. Conoscete qualcuno, tra i viventi in terra, in grado di esprimersi con tanta chiarezza? E ancora: “Potendo conciliare l’odio più feroce con la contemporanea permanenza dell’amore più appassionato, l’annientamento di entrambe le parti con il perdurare della coesione più intima – poiché il geloso distrugge il rapporto così come il rapporto lo eccita alla distruzione dell’altra parte – la gelosia è forse il fenomeno sociologico in cui la costruzione dell’antagonismo al di sopra dell’unità raggiunge la sua configurazione soggettivamente più radicale”.
Guareschi e Rahola riferiscono anche un aneddoto che diventa importante per definire la personalità di Simmel. Varcata la soglia di casa Meinecke, “Simmel venne invitato a sedersi ma restò in piedi e, on the spot, cominciò a tirar fuori dalla manica una filosofia della sedia e dell’offrire da sedere. Del resto, anche la porta che aveva varcato sarebbe stata oggetto di un saggio”. E che saggio! I due autori concludono ricordando che “Simmel non è stato un pensatore del fuori: la sua sociologia ci invita soprattutto a vedere l’ambivalenza in base a cui si ricompone incessantemente un’unità, il continuo processo di differenziazione e gerarchizzazione che agisce all’interno di quello spazio complesso che chiamiamo società. Soffermandosi su figure e forme dell’esclusione, guarda ai processi che producono uno spazio inesorabilmente interno e infinitamente striabile e gerarchizzabile: la scomposizione prismatica che ridefinisce tanto i territori sociali e politici quanto le forme dell’appartenenza. E non serve sottolineare quanto una simile prospettiva, che si potrebbe chiamare di inclusione differenziale, risulti attuale”.
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