Paul Ricœur, filosofia e psicologia: il dialogo e la lotta per la vita
In un libro del 2014, a cura di Luigi Aversa, le interviste con personalità particolarmente significative della filosofia, della psicoanalisi, dell’antropologia e della cultura in generale (Paul Ricœur, Carlo Sini, Virgilio Melchiorre, Franco Crespi, Carlo Tullio Altan, Pier Aldo Rovatti, Giovanni Jervis, Pietro Prini, Renato Tagliacozzo e Mario Trevi) mostrano che il pensiero nasce nell’incontro tra sapienza e ignoranza, tra mortale e immortale
Adoro i dialoghi e le interviste, poiché la persona che abbiamo di fronte svela e dice, soprattutto nel non detto, molto di più di quanto potrebbe svelare o dire o scrivere in una conferenza, in un articolo, in un libro. Psiche: dialoghi sulle zone di confine, a cura di Luigi Aversa, edito da Fattore Umano nel 2014, riporta alcune interviste che la Rivista Metaxù, fondata dallo stesso Aversa con Mario Trevi e Umberto Galimberti, pubblicò con personalità particolarmente significative della filosofia, della psicoanalisi, dell’antropologia e della cultura in generale, negli anni 1986-1993: Paul Ricœur, Carlo Sini, Virgilio Melchiorre, Franco Crespi, Carlo Tullio Altan, Pier Aldo Rovatti, Giovanni Jervis, Pietro Prini, Renato Tagliacozzo e Mario Trevi: «Tra sapienza e ignoranza… Tra mortale e immortale recita l’exergo posto a introduzione di ogni numero e che riprende le frasi dal Convito di Platone. Dialogo è stata la parola chiave della rivista, dialogo tra i diversi campi del sapere, dialogo tra le persone, dialogo nell’incontro analitico».
Scrive Aversa: «In quel passaggio cruciale che la Sophia compie divenendo philo-sophia, Platone fonda quello spazio fondamentale della ricerca umana che è il dialogo. Lo spazio dialogico, vera e propria rappresentazione di quel senso del tragico che è essenza simbolica della ricerca dell’uomo, ha come protagonista principale Socrate, ultimo dei sapienti e primo “philosopho” perché è con lui che nasce il concetto, la capacità cioè di definire le cose. Il dialogo platonico che vede Socrate primeggiare, non è solo l’arte di convincere – si ricordi al proposito la severa critica socratica e anche platonica proprio nei confronti dei maestri di tale arte, i sofisti – ma è lo spazio dove si ricerca con persistenza e rigore non il far prevalere la propria tesi su quella dell’avversario, ma ciò che l’uomo da sempre insegue: la Verità. Attraverso il dialogo si cerca il vero che, per essere ricercato, esige il confronto con l’alterità, quella alterità problematica che Freud, pur mosso a capire “gli enigmi del mondo”, incontra nella sua quotidiana pratica psicologica e clinica di esperienza di ciò che si chiama inconscio».
Eppure, Socrate soltanto una cosa sa: di non sapere. Continua Aversa: «È per questo motivo che Socrate non confuta mai la tesi del suo interlocutore, ma anzi l’assume come punto di partenza per spingerlo poi al suo limite e sporgersi, insieme al suo interlocutore, in quello spazio continuamente esposto e aperto alla ricerca della Verità, il cui senso più profondo è la ricerca stessa, intesa come modalità esistenziale della soggettività che interroga sé stessa aprendosi e portandosi continuamente “oltre”».
Il dialogo con Paul Ricœur, su racconto metafora e simbolo, è l’esempio di come il dialogo possa condurre l’esplorazione all’estrema tensione e conseguenza, lasciando comunque aperta la continuità della ricerca, dell’interrogazione, del confronto. Quando Aversa pone il tema del “chi è responsabile”, Ricœur passa attraverso la psicoanalisi: «Non credo che la psicoanalisi sia una pura e semplice ermeneutica del sospetto. Non può esserlo. Quand’anche lo fosse teoricamente, non potrebbe esserlo praticamente, poiché lo specifico della cura psicoanalitica è di aiutare l’analizzando a comporre una storia di sé stesso che sia più intelligibile, ma soprattutto, più tollerabile, più accettabile. […] Se si riprende Freud ci si accorge di quanto egli sia profondamente kantiano: egli tenta veramente di costruire una personalità coerente. Anche se cerca il senso del sogno, egli persegue l’edificio della intelligibilità, e tale intelligibilità, a mio avviso, è necessariamente di ordine narrativo».
Avrete notato il verbo perseguire e quel a mio avviso. Freud persegue e Ricœur ritiene, ma nulla è definitivo, né in Freud né in Ricœur. Se il dialogo è un’arte, Carlo Sini, sollecitato da Paolo Francesco Pieri, Amedeo Ruberto, Umberto Galimberti, Mario Trevi, Luigi Aversa ed Enzo Trapanese, si sofferma sull’arte filosofica e precisa: «Non vi sarebbe niente di più assurdo che essa pretendesse imperialmente di riappropriarsi del campo della psicologia, campo che essa stessa ha fatto emergere dal seno dei suoi paradossi e della sua volontà obiettivistica. Né avrebbe senso una ridistribuzione dei compiti tra filosofia e psicologia, poiché essa non potrebbe che riprodurre la situazione attuale. Sono i concetti stessi di soggetto e oggetto, psichico e fisico, a essere in questione, e non c’è modo né motivo di conservarli in una rifondazione che pretenda di partire da essi, anziché pensare in essi e cioè, inevitabilmente, oltre essi. Da tempo la filosofia sa di essere votata all’olocausto (cioè a un progetto “genealogico”, ovvero a quella “distruzione” della storia della metafisica di cui ha parlato Heidegger). Ciò non significa affatto la rinuncia a pensare (come qualcuno crede), ma anzi e al contrario il tentativo di pensare contro la metafisica, perché il pensare che di fatto accade nell’esperienza degli uomini venga in luce e sia reso comprensibile. Anche la filosofia è così destinata a varcare le colonne d’Ercole che essa stessa ha segnato. Il che significa, da questo punto di vista, che un unico destino accomuna oggi il filosofo e lo psicologo. È perciò inevitabile che essi debbano collaborare e dialogare».
È appagante e profetico il messaggio di Sini e fa piacere ri-trovarlo e ri-scovarlo in un dialogo di tanti anni fa. Da qualche mese sono tornato sul tema, ho chiesto e mi sono chiesto, quali possano ancora essere i punti di contatto, le ambizioni comuni tra le due discipline senza che una invada il campo dell’altra. Ma c’è un modo, dice Sini, per dialogare: «Non tanto (o non soltanto) in quanto filosofo e psicologo, ma in quanto uomini incalzati dall’incanto di un problema che da un lato non li lascia essere placidamente come psicologi e come filosofi; dall’altro li decentra dalle loro abituali distinzioni tra pubblico e privato, veglia e sonno, reale e immaginario, vero e opinabile. E così li getta nel mare degli eventi senza garanzie professionali, titoli accademici, o riguardi di sorta: rari nantes in gurgite vasto, col solo faticoso e pericoloso vantaggio che non c’è più differenza tra lo stare a galla e il sopravvivere. Quando si lotta per la propria vita, ha scritto Husserl, si può contare sull’aiuto di forze eccezionali. È la nostra unica speranza».
Se sarà Virgilio a guidarci, come ha fatto con Dante, nulla è impossibile ai nuotatori umani, purché ricordino che il dialogo, il confronto e l’interrogazione sono gli ingredienti per preparare il pasto della giornata, un pasto di sapore per l’intelletto, con l’aggiunta di un indispensabile granello di sale. Cum grano salis, per dirla con Plinio il Vecchio.
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