Benedetto Croce, la filosofia della libertà
I due volumi di Francesco Postorino, entrambi editi da Mimesis, sul grande filosofo italiano mirano a far emergere analisi critiche fuori dagli schemi e dalla scolastica, ma anche a vivificare le interpretazioni consolidate in un Paese in cui, secondo Gennaro Sasso, l’anticrocianesimo è stato assai più forte del crocianesimo
Benedetto, per gli abruzzesi, non è il Santo da Norcia e neppure il Papa tedesco emerito. Benedetto, per gli abruzzesi, è soltanto Benedetto Croce, nato a Pescasseroli nel 1866 e morto a Napoli nel 1952. Se, come afferma Gennaro Sasso, «presso i più l’opera di Croce è ignorata, il fatto ha in sé la sua ragione. […] Nel tempo della cosiddetta egemonia, Croce è stato assai più avversato che condiviso. L’anticrocianesimo è stato, in Italia, assai più forte del crocianesimo. A parte ogni altra considerazione, non si dimentichi che Croce fu un filosofo laico, e che l’Italia è un paese cattolico, poco religioso, ma certamente non laico. In troppe cose, anche nel momento della maggiore espansione del suo pensiero, fra Croce e la cultura italiana il disaccordo fu profondo. Il disinteresse che oggi la cultura filosofica italiana dimostra per Croce e, sostanzialmente, anche per Gentile, costituisce la prova che, fra il recente passato e il presente, si è determinata una singolare, e assai grave, frattura. Ma anche continuità. Su questo, forse, occorrerebbe riflettere».
Su questo e tanto altro aiutano a riflettere i lavori dedicati a Croce da Francesco Postorino, studioso che si occupa soprattutto di neoidealismo italiano ed europeo, pensiero cristiano, esistenzialismo e socialismo liberale. Entrambi editi da Mimesis, restituiscono a tutto tondo la figura del filosofo, dello storico e del politico, mirando «a far emergere analisi critiche fuori dagli schemi e dalla scolastica, ma anche a vivificare le interpretazioni consolidate». Il primo libro, del 2017, Croce e l’ansia di un’altra città, ha la prefazione di Raimondo Cubeddu, che scrive: «Ne viene fuori un quadro di notevole interesse ed importanza per vari motivi. Non tanto una prospettiva nuova ed inedita che vorrebbe rivoluzionare il modo di vedere la filosofia di Croce e il crocianesimo e che magari finisce per essere soltanto ‘originale’, quanto piuttosto uno stimolante allargamento di orizzonti che consente di capire meglio quel momento centrale del nostro passato. Anzitutto per quel che ci dice e che ci consente di capire; ma anche perché Postorino quella temperie la vede con gli occhi e col giudizio critico di una generazione ben successiva e formatasi anche a contatto con altre culture filosofiche. Appassionarsi a quei dibattiti non è facile, neanche se li si rivive nelle pagine di uno che ci si appassiona e che crede che non siano stati né vacui né vani né interamente superati dai tempi. Tuttavia – e senza chiederci se in bene o in male – la prima cosa che salta agli occhi, e forse tra le più importanti, è quanto sia cambiata la nostra cultura filosofica. Talché verrebbe da dire che la domanda a cui Postorino cerca di rispondere non è diversa da quella a cui – senza che però venga citato – cerca di dare una risposta Roberto Esposito in Pensiero vivente: se la filosofia italiana abbia ancora un’attualità e quale sia il suo nucleo».
Per Postorino, «Benedetto Croce è un pensatore incoerente, ma la sua ‘incoerenza’ è quanto di più proficuo ci abbia lasciato il più autorevole filosofo italiano del XX secolo. In un mondo governato dalle narrazioni precostituite, dalle ideologie che rifiutano il contagio con la storia, dal duopolio sancito dalla guerra fredda e oggi dal pensiero unico manovrato da un potere invisibile, i sofferti ripensamenti del filosofo liberale costituiscono un alto insegnamento e ci invitano a diffidare dell’”ultima parola” su vicende complesse come la politica, l’economia, il diritto, la società. Si sono chiusi da poco i festeggiamenti del suo centocinquantesimo anniversario dalla nascita, ma non si è spenta l’eco di una filosofia che, fra mille aporie, insegue la vita nella sua concretezza. Croce disprezza i fanatici di professione, i sacerdoti della retorica, ma anche coloro che più semplicemente giocano al confine tra l’immanenza e il sovrasensibile, tra la storia e gli ideali, tra il tempo e l’ “ansia di un’altra città”».
La parte prima, dedicata alla concezione religiosa e filosofica della libertà, mette in evidenza le varie declinazioni della libertà, estetica-filosofica-economica-morale, la religione versus la filosofia, il liberalismo in nuce e il Sollen di Croce. Nella seconda vengono esaminate la concezione religiosa, scientifica e (falsamente) politica della democrazia, la filosofia azionista, le figure di Gobetti e Calamandrei. Nella terza parte spiccano i confronti tra Croce e Calogero, Croce e De Ruggiero, Croce e Bobbio, Croce e Capitini. Un libro complesso e completo «per far comprendere che la condizione infelice in cui versa la filosofia storicista di Croce è dovuta al mancato riconoscimento della tensione spirituale entro le dinamiche della storia e nell’aver ridotto sotto il concetto del divenire una “storia ideale eterna” che ignora la decadenza ed enfatizza il ruolo sovra-personale dell’opera. Nel suo sistema “positivo” e ottimistico non vi può esser posto per tutti i “talenti dell’umanità”, anche perché le opere rappresentano l’ “unico luogo dell’immortalità”».
Il secondo libro, dell’anno che sta per chiudersi, è L’altro Croce. Un dialogo con i suoi interpreti. Postorino racconta e spiega il “suo” Croce e incontra, nel senso che dialoga e intervista, ventinove studiosi, nazionali e internazionali, intellettuali, filosofi, storici e da ognuno estrae il meglio di un rapporto intenso tenuto, a distanza misurata da alcuni e ravvicinata da altri, con le pagine e la vita del grande filosofo italiano.
Da Gennaro Sasso a Richard Bellamy, passando per Bruno Romano, Corrado Ocone, Carlo Galli, Lorenzo Infantino, Luciano Canfora, Dino Cofrancesco, Giuseppe Bedeschi, Michele Martelli, Kosuke Kunishi, Hervé A. Cavallera, Renata Viti Cavaliere, Emanuele Cutinelli-Rendina e lo stesso Raimondo Cubeddu, il pensiero di Croce viene acutamente sviscerato e rispettato. Dal liberalismo e dialettica in Croce al liberismo di Croce e la crisi della modernità, dalla libertà come filosofia di vita al pensiero post-metafisico dagli “effetti liberali”, dalla storicismo di Croce e la morte della metafisica alla (non) eredità del pensiero di Croce, da un atto di fede nella storia al “lato oscuro” di Croce, dalla “inattualità” del pensiero crociano alla “inoperosa” eredità crociana, si possono attraversare mille idee e mille pensieri. Al centro resta la possibilità ermeneutica di un pensiero che non passa. Affido a Gennaro Sasso la conclusione: «Croce non credeva che le regole bastassero a garantire la vita di un’istituzione che pure di esse avesse fatto il suo fondamento. Se non avesse letto tanto Machiavelli e tanto Marx, gli sarebbe bastato Tacito a farlo dubitare del potere salvifico delle istituzioni in quanto istituzioni. Con tutti i limiti che le si possono riconoscere, l’Italia era retta a libertà quando il fascismo schiantò le sue istituzioni, che non trovarono infatti chi sapesse difenderle. Questa fu per Croce una lezione amarissima. Se non si tiene conto della parte che nel suo pensiero politico deve essere data ai maestri del realismo politico, e del trauma in lui prodotto dalla morte della libertà, di quel pensiero temo che non si riesca a cogliere il centro, che non si capisca che la sua preoccupazione fu che, nel dare il loro contributo all’ethos liberale e nel formare le sue regole, queste ne fossero compenetrate e vivificate. Si potrebbe dire che al giurista qui si contrapponeva il critico della società, e che da giuridico-politico, il discorso si faceva politico-morale. Curioso».
Il “gioco” di Socrate che Francesco Postorino ha voluto giocare, grazie alle sue domande e alle risposte dei suoi interlocutori, è perfettamente riuscito. Benedetto Croce e l’altro Croce sono ancora tra noi.
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