Gustavo Bontadini, il fondamento della filosofia
Il libro del giovane studioso Antonio Lombardi ha pagine notevoli per l’argomentare chiaro e, al contempo, è misura di un’indagine mai banale. Penso al capitolo sull’attualismo “problematizzato” di Ugo Spirito, a quello sull’idiosincrasia metafisica dell’esistenzialismo, che ruota intorno al caso Heidegger, senza trascurare, anzi ponendolo come metodo autentico di ricerca, il capitolo sulla polemica con Emanuele Severino
Epistéme. Fondamento. Metafisica. Ricordate? Sono alcune parole della filosofia, parole un tantino in disuso, parole che a volte riemergono in attesa di essere nuovamente messe da parte. Ma c’è chi, a ragione, le (ri)scopre con l’intento di (re)imporle, poiché senza di esse la filosofia diventa piccina piccina. Se un giovane di ventisette anni è in grado di dare alle stampe un libro così alto e denso, che su queste parole ricostruisce un pensiero, un’opera e un secolo, la speranza della filosofia resta davvero un pensiero vivente, magari rappresentato in modo diverso da come lo intende Roberto Esposito, ma comunque vivo, direi persino ardente. Il giovane è Antonio Lombardi, il libro è Il volto epistemico della filosofia italiana. La neoclassica di Gustavo Bontadini, edito da AnimaMundi.
Lombardi, studioso dal sicuro avvenire, non è alla prima prova. Ha già dato corpo, con Gabriele Zuppa, alla Società Internazionale per lo Studio di Gómez Dávila, del quale ha curato alcune traduzioni, e pubblicato Logica della presenza. Il problema dell’ontologia come problema della mediazione. Ora si presenta con un invito rivolto «ai detrattori della metafisica, perché s’avvedano che la metafisica è ciò di cui essi stessi si nutrono, ciò di cui essi respirano».
Luca Grion, che nell’introduzione spiega le quattro (buone) ragioni per riscoprire l’opera di Gustavo Bontadini, scrive: «L’opera del maestro milanese merita ancora di essere frequentata e studiata in quanto rappresenta una palestra filosofica di prim’ordine. Ripercorrere le pagine bontadiniane significa mettersi in dialogo con un filosofare esigente, che non si accontenta di affermare un punto di vista soggettivo o di suggerire, in modo evocativo, la propria prospettiva personale. Il suo è un procedere austero, rigoroso, costantemente focalizzato sulla possibilità di render ragione delle proprie tesi e di difenderle dalle insidie delle possibili antitesi. Epistéme è la parola antica che Bontadini utilizzava per riassumere l’essenza del filosofare: un sapere che è realmente affidabile solo nella misura in cui riesce a stare (stéme) e di imporsi sulle (épi) proprie negazioni, resistendo a ogni tentativo di smentita. Il termine epistéme, infatti, non esprime la semplice affermazione materiale del vero, ma la sua dizione incontrovertibile. Si tratta quindi di un risultato tutt’altro che agevole, a cui ben raramente la riflessione riesce ad approdare; ma Bontadini riteneva che, per quanto arduo, fosse un risultato possibile».
Gustavo Bontadini. Filosofo italiano. Pensiero italiano. Storia filosofica italiana. Ma che cos’è italiano? Lombardi avverte: «Oggi si fa un gran parlare di Italian Theory, campo di studi che avrebbe l’obiettivo di individuare le categorie concettuali proprie del pensiero italiano, ma la sensazione che si ha nel confrontarsi con i fautori di questo pur lodevole tentativo è che non sia nemmeno lontanamente in vista l’ampiezza speculativa cui le pagine che seguono intendono riferirsi. Un’ampiezza che, ovviamente, non è comune a tutto il pensiero italico – che soprattutto nel dopoguerra approfondirà in modo particolarmente decisivo il portato dell’eredità nichilistica (problematicismo; neomarxismo; debolismo) -, quanto piuttosto di una tendenza appartenente a quello che verrà presentato come il filone epistemico della filosofia italiana».
L’autore fa risuonare in lontananza la voce di Ugo Foscolo: «Né la barbarie de’ Goti, né le animosità provinciali, né le devastazioni di tanti eserciti, né le folgori de’ teologi, né gli studi usurpati da’ monaci, spensero in quest’ aure quel fuoco immortale che animò gli Etruschi e i Latini, che animò Dante nelle calamità dell’ esilio, e il Machiavelli nelle angosce della tortura, e Galileo nel terrore della inquisizione, e Torquato nella vita raminga» e in vicinanza i nomi di Parmenide, Tommaso, Giordano Bruno, Giambattista Vico, Antonio Rosmini, Vincenzo Gioberti, Augusto Vera, Bertando Spaventa, Piero Martinetti, Amato Masnovo, Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Pantaleo Carabellese, Gustavo Bontadini, Pietro Faggiotto, Giovanni Romano Bacchin ed Emanuele Severino, esaltandoli come simboli di una «aspirazione universale alla verità e alla bellezza di cui anche scriveva Dostoevskij riferendosi agli italiani (“portatori di un’idea universale, […] La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale”) che si è espressa al più alto grado per loro tramite, anche se davvero pochi se ne avvedono, ed esprimendosi in ogni parte d’Italia, da Nord a Sud, conferisce alla Penisola una unità forse all’occhio del profano inconsueta, ma senz’altro più solida e verace».
Lombardi è capace di porre questioni centrali, di muoversi con abilità dentro e fuori registri diversi, di analizzare la storiografia filosofica e la storia della metafisica, il “metodo Bontadini”, il connubio inevitabile tra storicità e teoresi, metafisica della logica e della fisica, cristianizzazione e tragicità dell’ellenismo, dialettica dell’empirismo, per chiudere con l’abbozzo di una critica della concezione neoclassico-neoparmenidea dell’essere e del divenire.
Il libro ha pagine notevoli per l’argomentare chiaro e, al contempo, è misura di un’indagine filosofica mai banale. Penso al capitolo sull’attualismo “problematizzato” di Ugo Spirito, a quello sull’idiosincrasia metafisica dell’esistenzialismo, che ruota intorno al caso Heidegger, senza trascurare, anzi ponendolo come metodo autentico di ricerca, il capitolo sulla polemica con Severino, dal teorema di creazione all’eternità degli enti. Lombardi annota: «Con Ritornare a Parmenide Severino verrà allo scoperto, abbracciando esplicitamente una posizione che certo non può più definirsi neoclassica, né tantomeno metafisica al modo in cui la intendono Bontadini e i neoscolastici: se il logo filosofico è immediatamente e assolutamente certo, l’eternità dell’essere non sembra essere più qualcosa cui si debba pervenire (dimostrando ad esempio l’esistenza e l’incorruttibilità del Creatore), ma è piuttosto il contenuto stesso della verità originaria importata dal primo principio. Il che vuol dire che, da sempre e per sempre, non v’è ente (quale che ne sia la natura e/o la dignità: dall’atomo alla Divina Commedia; da un pelo di barba sognato al Colosseo, in ognuno degli attimi di cui consta la loro esistenza) che, in quanto è un “ciò-che-è”, possa mai diventare un non ente, un “ciò-che-non-è”».
Il libro si chiude con una chicca, un’appendice dove Massimo Roncoroni, allievo e amico di Bontadini, risponde alle sollecitazioni intellettuali e filosofiche dell’autore. Le interviste hanno il pregio di domandare e di ricevere risposta, di far cogliere, tra la domanda e la risposta, con esemplare efficacia, il nucleo di un grande pensatore, ciò che ha dato e ciò che ha lasciato, la presenza e la dimenticanza. Spiega Roncoroni: «Bontadini è stato il padre e maestro desiderato e atteso di vita e pensiero filosofici e metafisici, espressione e rivelazione della portata intellettuale e spirituale dell’esperienza cristiana, quale incontro con l’evento evangelico generatore di senso e significato dell’intera realtà esistente e in essa di ciascuno di noi umani ogni presupposto, idea fatta e pregiudizio nell’esaminare la realtà tutta per coglierne senso, significato, funzione e valore… Filosofia dunque come metodo di vita e pensiero intellettuale e spirituale nell’unità dell’esperienza, quale sintesi dinamica e dialettica di vita pensata e pensiero vissuto per assunzione e assimilazione critica di vissuto e pensato. Così mi ha insegnato a individuare e cogliere portata e valenza filosofica implicite in ogni cosa che incontriamo: ad andare alle cose stesse mettendole in dialettico paragone fra polo logico del logos o ragione e polo fenomeno-logico del fenomeno o esperienza, con i rispettivi referti tra loro diversi e complementari e/o in conflitto di contraddizione logica e reale: mai assunte a priori ma sempre desunte a posteriori».
E a Lombardi che chiede perché, pur con l’evidente potenza speculativa, Bontadini non occupi un posto privilegiato tra gli interessi degli studiosi di filosofia attuali, Roncoroni risponde: «Bontadini mai ci tenne a essere filosofo à la page, nonostante la grande stima della quale godeva da parte di Giovanni Gentile e anche di Benedetto Croce. Tuttavia, nonostante Emanuele Severino e altri lo ritengano uno dei più grandi pensatori del Novecento, cattolico e non, il suo oblio relativo dipende non tanto dalla crisi del sapere metafisico e della civiltà attuale, quanto piuttosto dall’esito banalizzante di una filosofia che, rinunciando alla metafisica quale fondazione razionale del ragionevole vivere e pensare, esistere e agire umani, di fatto finisce per trovarsi intellettualmente disarmata e dal volto cadaverico, nonostante i vari e svariati festival che celebrano, in genere sul finire dell’estate, le modeste esequie di Sofia».
Il libro del giovane studioso Antonio Lombardi s’incarica, riuscendo brillantemente, di rianimare quel volto, il volto epistemico della filosofia italiana.
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