Il Teatro di Machiavelli, soave è l'inganno al fin condotto
Comico e tragico, sostenitore di chi sa entrare nel male, necessitato, il Segretario fiorentino ha lo sguardo lungo sull’uomo, sulle passioni che lo muovono, sulla ruina. Le sue opere letterarie sono legate a quelle storiche e politiche e non risultano meno importanti
Ah, Niccolò Machiavelli! Ah, l’Edizione nazionale delle sue opere edita dalla Salerno Editrice! Il piano, che conta venti tomi, ha l’ardire di rubare occhio e anima, di rubarli a chi è già lettore assiduo del “toscanaccio” e a chi lo accosta per la prima volta.
Chi legge Teatro. Andria-Mandragola-Clizia, comprende che il Segretario fiorentino non è soltanto il genio del Principe e dei Discorsi (opere politiche insieme a L’arte della guerra), non è soltanto l’eccellente autore delle opere storiche (La vita di Castruccio Castracani, Nature di uomini fiorentini, Istorie fiorentine), ma risulta autore immenso anche nelle opere letterarie. Pasquale Stoppelli, curatore di raffinata bravura del lavoro che presento, scrive: «Machiavelli è il personaggio dai tanti volti: il funzionario, il legato, l’analista politico, il teorico dell’arte militare, lo storico, l’umanista, il rimatore volgare, il linguista, ora anche il poeta canterino. La nostra settorializzazione delle conoscenze porta per lo più a studiare questo autore parcellizzandone gli aspetti nell’ambito di distinte sfere di competenza. Ma studiare Machiavelli commediografo non si può senza tener conto dell’umanista, del trattatista e dello storico, così come la descrizione dell’antropologia politica machiavelliana non può ignorare il drammaturgo e il narratore. Il mio auspicio è che la riconsiderazione dell’intera opera teatrale di Machiavelli rappresentata in questo volume possa contribuire a ricucire qualche filo in più fra tutti i momenti che compongono il sistema complesso del pensiero e dell’arte di un così grande autore».
Certo che ricuce e non solo qualche filo. Ricuce la trama delle questioni poste qui e altrove, della natura umana e dei suoi inganni, della simulazione e della dissimulazione, della religione, del potere, di aggirare l’ostacolo per centrare l’obiettivo. Già, la religione. Pensate a Timoteo. Spiega Stoppelli: «La figura del frate non ha ovviamente precedenti nella commedia antica, ma è presente nella commedia umanistica. Il ruolo di fra Timoteo nella vicenda della Mandragola è quello del ruffiano avido. La scena terza dell’atto terzo, quella del frate e della vedova, apparentemente estranea all’intreccio della commedia, mostra in tutta la sua evidenza l’ascendente che il frate esercita sulle donne sue devote. In poche battute e con mezzi esclusivamente teatrali Machiavelli consente allo spettatore di conoscere tutto di lui. Timoteo è interessato alle donne solo in quanto elargitrici di elemosine; non ha nulla dunque dei frati vitalistici della tradizione boccacciana. Anche Lucrezia dipende psicologicamente dal frate: Callimaco infatti non la ottiene dal marito, la compra da lui. Da questo punto di vista il ruolo del frate non differisce molto da quello del mercante di schiave della commedia latina, che gestisce la sua mercanzia con il solo fine del guadagno. Ma, se anche questo personaggio può essere ricondotto a un archetipo classico, Machiavelli costruisce scena dopo scena un campione di falsa religiosità, ipocrisia, moralità casuista in anticipo di molti decenni sulle polemiche antitridentine. […] Fra Timoteo, ruffiano che amministra a suo piacimento le anime delle donne che lo hanno eletto a loro guida spirituale, come il mercante di schiave della commedia antica decide di fatto anche dei loro corpi. È la rappresentazione vivente, degradata in una vicenda di banale adulterio, della stessa funzione che l’autore attribuisce alla religione nei Discorsi e nel Principe».
Mandragola è più politica delle opere politiche. Nei personaggi è scolpita l’antropologia tracciata in precedenza: ci sono i simulatori, i ruffiani, gli imbroglioni, i creduloni e c’è l’inganno per raggiungere uno scopo. Non si deve conquistare uno Stato, ma una donna. Se Callimaco riesce nell’intento di avere Lucrezia e perché sono virtuosi e felici i mezzi, suggeriti da Ligurio, ai quali si fa ricorso. Aggiunge il curatore: «Per Machiavelli l’arte di simulare e dissimulare è virtù imprescindibile del principe; quando però le stesse logiche vengono trasferite nella sfera privata e l’affermazione di sé non ha più relazione con la sicurezza e la prosperità dello stato, ma con la voglia incontenibile di conquistare sessualmente una donna, o col desiderio di un padre di generare a tutti i costi un figlio, o con l’attitudine di un frate a far bottega del proprio ufficio, ecco che il simulare e il dissimulare danno luogo a situazioni equivoche che Machiavelli gioca sempre sul filo del paradosso. E quando la realtà quotidiana appare doppia o tripla, diventa di per sé comica. L’abilità di Machiavelli è nel rappresentare situazioni paradossali che alla luce del senso comune, restano sempre verosimili: è questo forse l’aspetto di maggior fascino, oltre che di modernità, della commedia. Consiste in ciò fondamentalmente il divertimento della Mandragola. E non è un caso che lo spettacolo della Mandragola ancora oggi non perda nulla del suo divertimento a teatro, non costituisca affatto, come per le altre commedie rinascimentali, un recupero archeologico».
Soffermarsi su Mandragola non vuol dire sottovalutare Andria e Clizia. Machiavelli va preso per intero, ma sorseggiato a piccoli sorsi. Non c’è bisogno di raccontare la trama delle tre commedie. C’è bisogno di leggerle, soprattutto Clizia, per scoprire che «quando Machiavelli moraleggia c’è da temere un frutto avvelenato. Sotto il manto del valore educativo della commedia egli aveva di fatto messo in scena una vicenda la cui scabrosità andava oltre lo stesso amoralismo della Mandragola. […] La passione di Nicomaco per Clizia, di fatto sua figlia adottiva (Sofronia e Nicomaco l’avevano allevata “come loro cara figliuola”) e più giovane di lui di più di cinquant’anni, aveva introdotto un tanto che con tanto realismo mai più si sarebbe presentato in commedia fino al dramma borghese di primo Novecento. La stessa Sofronia, custode dei valori morali della famiglia, nella sua strategia di contrasto al marito adotta un espediente che non è affatto morale: anche lei, dunque, è un personaggio “machiavellico”. Insomma, si potrebbe concludere che Machiavelli nella Clizia ammanta di moralità l’immoralismo, andando oltre la stessa Mandragola”.
Machiavelli comico e Machiavelli tragico, Machiavelli sostenitore di chi sa entrare nel male, necessitato, Machiavelli che ha lo sguardo lungo sull’uomo, sulle passioni che lo muovono, sulla ruina: «Non è dubbio insomma che il comico e il tragico siano entrambi componenti costitutive dell’animo di Machiavelli e dunque necessariamente della sua arte. Ne consegue che le spinte che regolano l’agire degli uomini, fondamentalmente la ricerca dell’utile e del piacere, siano declinate dallo scrittore tanto nella sfera alta della politica e della storia quanto in quella degli appetiti più bassi. Le parole e i concetti riferiti ai due ambiti non sono fra loro molto differenti».
«Sí suave è l’inganno, al fin condotto, immaginato e caro, ch’altri spoglia d’affanno e dolce face ogni gustato amaro. O remedio alto e raro, tu mostri el dritto calle all’alme erranti; tu, col tuo gran valore, nel far beato altrui fai ricco Amore. Tu vinci sol con tua consigli santi pietre, veneni e incanti». Ah, Machiavelli! Superlativo Machiavelli!
Il Foglio sportivo - in corpore sano