Francesco Iengo, l'arte desacralizzata
Aldo Marroni ha curato un prezioso volume per ricordare la figura del collega, Docente di Estetica, scomparso vent’anni fa. Sei articoli riproposti per testimoniare un pensiero vivo, che non smette di indicare il modo di ricercare, di criticare, di scrivere, di pensare
Ad aprile saranno vent’anni dalla morte di Francesco Iengo, Docente di Estetica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara. Non è stato dimenticato, né dalla comunità scientifica né dai tanti alunni che frequentarono i suoi Corsi, si laurearono con lui e che, grazie ad Aldo Marroni, Docente della stessa disciplina nello stesso Ateneo, possono riscoprirlo attraverso articoli pubblicati un tempo sulla Rivista Questarte e oggi fatti rivivere in un volume esaltante per misura e contenuti. Verso un’arte desacralizzata, edito da Mimesis, è una sfida alla mitizzazione dell’arte come atto creativo e all’ideale dell’autenticità.
Si parte da un assunto di Iengo: «Ogni opera d’arte è un fatto completamente culturale. Di conseguenza, la storia di ogni arte non può non risolversi in storia della cultura» e, secondo Marroni, la sfida «trova il suo fondamento in alcuni punti irrinunciabili: 1) la sopravvivenza del capitalismo si basa sull’eternizzazione della storia; 2) l’estetica è l’ideologia del capitalismo; 3) la concezione dell’arte è integralmente condizionata da tale appartenenza; 4) l’estetica, in quanto radicata nello spirito della borghesia, non può essere soppiantata da una estetica altra; 5) l’impossibilità di oltrepassare l’estetica, esige l’elaborazione di una strategia critica che tenga conto di tale intransitabilità; 6) senza uscire dall’estetica, ma ponendosi a fianco di essa, è necessario ripensare il concetto di arte, riscoprendo la sua antica alleanza con la scienza e la nuova alleanza con la tecnologia. […] Eternizzazione, creazione e autenticità, sono il risultato di un sistema ideologico che è necessario decostruire, in quanto espressione di un mascheramento, di una visione del mondo tutta incline a legittimare la borghesia nella sua ascesa economica. Iengo procede nella sua critica attraverso un ragionamento nel quale al centro vediamo la forte presenza della critica marxiana al concetto di merce e quella nietzscheana al concetto di genio».
L’accurato saggio di Marroni non è soltanto una presentazione dell’opera di Iengo, ma introduce elementi di ulteriore indagine conoscitiva, soprattutto in ambito tecnologico. Si chiedeva, Iengo: «Morte dell’arte nella civiltà tecnologica?» e si rispondeva: «Semmai, morte di un certo concetto di arte, e cioè quello organico a un passato, fra l’altro nemmeno troppo remoto». Chiude Marroni: «Di seguito invita a non cercare più l’espressione artistica dove abbiamo sempre pensato che fosse, perché “l’arte del presente, come quella del tempo che si annuncia, può stare esattamente dove meno supponiamo che stia”, cioè nella tecnologia».
I sei articoli riproposti spaziano dalla domanda: l’arte è scienza? ai rapporti tra arte e scienza, all’intervento della tecnologia, alla creatività e al lavoro, alla morte e/o alla trasfigurazione dell’arte, per giungere all’arte nella realtà tecnologica. Sembrano davvero scritti oggi, non avvertendo per nulla l’usura del tempo. Accade ai maestri, a coloro che scrivono per sempre, senza lasciarsi sfiorare dalla contingenza, dal respiro breve dell’attualità: «Tutto il mondo umano (e cioè anche la nostra gestualità, la nostra oralità, e non soltanto la radio e il cinema, ecc.) non è in realtà altro, e non può essere altro, che una generale simulacrizzazione di eventi a opera di tutti i media che fanno di me un uomo: dalla pelle alle mani, dal linguaggio al cinema ecc. L’unico evento non simulacrizzabile, e cioè l’unico che mi coinvolga immediatamente (e cioè, che prescinda, appunto, dai media di cui sono fatto, perché li spegne), è precisamente la mia morte fisica. Perciò, ambire a una desimulacrizzazione, e credere, inoltre, che una simulacrizzazione minore fosse intrinseca a modalità comunicative del passato, significa, da un lato, contemplare la morte fisica dell’intera umanità e, da un altro lato, eguagliare il passato alla morte: significa, dunque, una petizione di principio di tipo, ancora una volta, misterico».
Verso un’arte desacralizzata è anche l’occasione per ritrovare i grandi autori che hanno generato lo studio di Iengo: tra gli altri, Adorno, Barilli, Baudrillard, Benjamin, Boltanski, Burke, Croce, Hegel, Kant, Marcuse, Mcluhan, Weber, ma è soprattutto la testimonianza di un pensiero vivo che non smette di indicare il modo di ricercare, di criticare, di scrivere, di pensare, dopo l’estetica, ancora l’estetica. Dobbiamo essere grati a Iengo e a Marroni. Al primo per avercelo detto, al secondo per avercelo ridetto.
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