C'è un solo Machiavelli, parola di Asor Rosa
Il libro del professore emerito di Letteratura italiana sul Segretario fiorentino è mirabile. Ci sono l’uomo, il politico e il teorico, l’identità italiana e la ferinità straniera, il mito e la storia, l’ispirazione alle “antique corti delli antiqui homini”, l’esortazione ai valori italici, il ruolo del papato. Esemplari le pagine sul rapporto con Guicciardini
A cinquecentocinquant’anni dalla nascita, a quattrocentonovantadue dalla morte, dopo un numero smisurato di volumi dedicati al genio di Niccolò Machiavelli in tutto il mondo, cos’altro c’è da dire o da aggiungere sul Segretario fiorentino, sulla sua parabola di uomo e di pensatore, sul suo periodo storico, su ciò che ha pensato fosse e su ciò che potette essere? Basta leggere Machiavelli e l’Italia. Resoconto di una disfatta, di Alberto Asor Rosa, edito da Einaudi, per capire che con i grandi non si finisce mai, che la miniera inesauribile di materia scientifica, politica e umana non smette di fornire occasioni di studio, di interpretazioni, ancora mirabili, su un evento, la stesura del Principe e di altri libri non meno importanti, che ha finito per formare e determinare i secoli successivi, per renderli giusti o sbagliati, decadenti o avvincenti, dipende dall’occhio e dallo sguardo che intendiamo poggiare sulla cosa, sull’oggetto di un’indagine sempre aperta.
Chi è Niccolò Machiavelli? Asor Rosa, al termine della sua prova incisiva, per ricostruzione e analisi, non ha dubbi: «Non è mai stata realmente superata, nel nostro ambito nazionale, la dicotomia-contrapposizione fra una visione del Machiavelli “cattivo”, - sostenitore del male per il male, o anche del male per il bene, ma sempre in un ambito di assoluta e insuperabile distonia morale, - e una visione del Machiavelli “buono”, - sostenitore di cause giuste, da promuovere o difendere incondizionatamente anche a rischio della disfatta. Se ci fosse un lato positivo da attribuire a questa mia ricerca, io oserei dire che è questo il tentativo di dimostrare, con argomenti che io ritengo inoppugnabili, che il Machiavelli è uno solo, tutto inteso dal principio alla fine a realizzare lo scopo migliore (certo, lo scopo per lui migliore, ma questo fa parte dei meccanismi umani di scelta e di decisione), con i mezzi più adeguati allo scopo. La superiorità, e insieme la criticità (perenne criticità) della “politica buona”, è questa. Se il complesso del sistema non tiene conto di tutto questo, il (preteso) “fine buono” si trasforma in un inequivocabile, reale e autentico “strumento cattivo”; lo “strumento” diventa “buono” o “cattivo” solo se è realmente in grado di perseguire e raggiungere il “fine prescelto”».
E c’è un fine che alberga nel cuore e nell’anima del Segretario fiorentino, una domanda costruttiva sullo Stato, una domanda antica sul “caso Italia”, una domanda ossessiva sul “principe nuovo”. Caso, se vogliamo, ancora irrisolto, tra vittorie (poche) e sconfitte (tante), tra debolezze ancestrali (tante) e forze episodiche (poche). Scrive Asor Rosa: «Il libro è ispirato a un tema, anzi a un bisogno fondamentale: come si può, come e perché si deve fondare il “nuovo Stato”. Questo tema lega tutto: dalla dedica (persino) alle singole analisi, dagli eroi prescelti a rappresentare come campioni il fine da raggiungere ai diversi casi considerati, fino alla inevitabile, logica conclusione del capitolo XXVI, tutt’altro che staccato da tutto il resto, anzi chiave di volta dell’intero sistema. Anche in questo senso Il Principe e i Discorsi perfettamente si corrispondono: anche i Discorsi, infatti, prendono spunto, sul piano storico, dallo stesso tema, quello della fondazione di uno Stato, sia pure di un singolo caso, che però lí è quello, eccezionalissimo e fuori del comune, di Roma. In ambedue i casi risulta evidente anche l’altro dato fondamentale del sistema: a fondare il “nuovo Stato” necessita sempre, - almeno a giudicare dalle esemplificazioni presentate, - il Genio individuale di uno solo, il “principe nuovo”, soprattutto quando le condizioni particolarmente catastrofiche della situazione politica circostante non lasciano altra scelta. Ma, d’altra parte, se non ci fosse intorno una situazione particolarmente catastrofica, che bisogno ci sarebbe di un “principe nuovo” in grado di fondare un “nuovo Stato”?».
Che cos’è, allora, Il Principe? Netta e chiarissima la definizione di Asor Rosa: «Libro di alta teoria politica e al tempo stesso proposta di un intervento volto al mutamento, strumento di adulazione cortigiana a fini personali e manuale di analisi politica sul campo, la molteplicità delle destinazioni moltiplica caratteri e modalità dell’opera». Perfetto. Non lo si potrebbe dire meglio. Del resto, la classe è semplicità. Consapevolezza di misurarsi con la complessità, ma bisogno di giungere in poche parole al nucleo essenziale del tema. Ieri come oggi. La lettura del Segretario fiorentino reca in sé la nostalgia di un pensiero sottile e il vizio di ricondurla ai nostri giorni, di chiedere a lui lumi per ciò che abbiamo di fronte. È possibile? Spiega Asor Rosa: «Cercare di avvertirla e di classificarla oggi può dunque significare soltanto una cosa: nella conoscenza storica, oltre a un bisogno di conoscenza, c’è una componente di nostalgia. Se quella cosa è stata, potrebbe tornare? Non dipende soltanto da noi, dai nostri fragili e periclitanti desideri e volontà. Ma forse è lecito osservare che la conoscenza storica non è solo pensare, è anche sperare. È quello, in fondo, che Niccolò ha fatto dall’inizio alla fine della sua vita, senza stancarsene mai, nonostante le disillusioni e i disinganni più brutali e profondi».
Ci sono Machiavelli e l’Italia, nel libro, l’identità italiana e la ferinità straniera, l’uomo («che ha alle spalle e si nutre della grande cultura italiana dei due secoli precedenti)», il politico e il teorico, il mito e la storia, l’ispirazione alle antique corti delli antiqui huomini e l’esortazione ai valori italici, il ruolo del papato, il confronto tra il Segretario fiorentino e Guicciardini in pagine esemplari, la grande catastrofe italiana e il dopo, quando si allarga la fama mondiale di Machiavelli, le letture decisive che ne fecero Voltaire e Rousseau, Foscolo, Gramsci e Croce, il magistrale lavoro di De Sanctis. Chiude amaro Asor Rosa: «La conclusione potrebbe forse essere che, nonostante alcuni (pochi) tentativi operati, la nazione italiana, la stirpe italiana, non si appropriano di Machiavelli, non metabolizzano la lezione e il messaggio di Machiavelli. Il frutto più alto e più prestigioso, sul piano politico-teorico e sul piano politico-pratico, della provincia italiana più creativa e più alta (allora) dell’operare artistico e culturale, le resta sostanzialmente estraneo». Purtroppo.
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