Carlo Verdelli, Mamma Rai non perdona
Il nuovo Direttore di “Repubblica” ha scritto un libro triste e godibile. Triste, perché la mamma degli italiani non è riformabile, prigioniera degli appetiti dei partiti e dei clienti; godibile, perché scritto con la verve del cronista attento ai minimi particolari. Uno specchio che rimanda l’immagine del Paese claudicante, elefantiaco e (quasi) mai meritocratico
Se la mamma degli imbecilli è sempre incinta, la mamma degli italiani è sempre della politica. Mamma Rai non se l’è ripresa la politica, come recita il sottotitolo del bel libro di Carlo Verdelli, Roma non perdona, edito da Feltrinelli, poiché non è stata mai mollata dalla politica, anche quando ha fintato di volerla mollare. La politica non è mai sazia di occupare, di distribuire pani e pesci, di orientare (almeno crede) il consenso, di gestire ciò che è pubblico (di tutti gli italiani) come fosse cosa privata (di qualche partito). Questa mamma è lo specchio del Paese claudicante, lo specchio che rimanda l’immagine di tutto ciò che è elefantiaco e (quasi) mai meritocratico, lo specchio su cui ci si arrampica sgomitando, salendo, scendendo e precipitando, molto dipende dalle sorti di chi, in quel determinato momento, tenta di guidare l’Italia. Poi, siccome tutto brucia troppo in fretta, le poltrone più o meno calde improvvisamente si accendono e scaricano il malcapitato. Non a caso, Verdelli scrive che la Rai lo ha espulso come un corpo estraneo. Avanti un altro, la ruota gira e, con la ruota, girano e rotolano i giornalisti, talvolta fior di professionisti che pure sanno, non essendo verginelle, cosa si muove nelle viscere della mamma.
Verdelli, uno di quei fior, giornalista dalla carriera esemplare, da poco Direttore di Repubblica, racconta ciò che ha visto da vicino nei tredici mesi da Direttore editoriale per l’Offerta Informativa, ciò che ha sognato e sperato, ciò che non si è avverato non potendosi avverare. Il libro è godibilissimo, scritto con la verve del cronista attento ai minimi particolari, del cronista costretto persino all’umiliazione. Dopo due ore di consiglio di amministrazione vorrebbe andare in bagno e ne avrebbe diritto. Si alza e viene fulminato da Monica Maggioni: «Scusa Verdelli, ma che fai, esci così? Prima si deve avere il via libera da chi presiede, o no? E cazzo, il rispetto. Vai, vai...». L’autore commenta: ««Solo alle elementari, quando una suora mi mandò dietro la lavagna, provai una vergogna uguale».
Eppure, ci aveva creduto. La Rai è la Rai. Ha accompagnato o no la vita di noi tutti da quando eravamo in fasce? Verdelli dedica il libro alla madre e al padre, «che non si perdevano una puntata di “Lascia o raddoppia” con Mike Bongiorno. Era in bianco e nero, andava in onda sulla neonata Rai – Radiotelevisione Italiana» e aggiunge: «Tra i tanti posti dove ho cercato di fare giornalismo, la Rai è stato l’amore forse più intenso, di certo il più breve. Ho accettato di andarci per un debito emotivo, perché è stata la compagna insostituibile, da quando è comparsa, di un’infinità di serate che hanno riempito di senso la solitudine stanca della famiglia italiana. Perché ha portato sorrisi e canzoni nelle case, La freccia nera e L’Odissea, Sergio Zavoli ed Enzo Biagi, persino il primo uomo sulla Luna, che senza Tito Stagno si sarebbe perso nel blu, invece eccolo lì, in bianco e nero, nel nostro minuscolo salotto, a farci sentire orgogliosi di essere umani. E la radiolina a transistor con Tutto il calcio minuto per minuto, Sandro Ciotti che raccontava di gol solo immaginati “in un pomeriggio luminoso come un’idea di Leonardo” e poi passava la linea a Enrico Ameri».
La Rai è una delle più grandi televisioni pubbliche d’Europa: 13 canali televisivi, 10 canali radio, 11 sedi all’estero, 13.000 dipendenti. È una famiglia, una grande famiglia, ma dietro il sentimento di chi la guarda si nasconde la bramosia di potere di chi la guida. È una famiglia non riformabile. È una famiglia che spreca tanto per assecondare gli appetiti dei clienti. Spiega Verdelli: «La terza edizione della TgR, cioè il tg regionale, va in onda su RaiTre da mezzanotte e 10 a mezzanotte e 14. Quattro minuti, ascolto marginale, ma con una spesa pazza da 3 milioni di euro l’anno. Possibile? Eccome. Le sedi regionali chiudono alle 22, quindi il personale impegnato nella messa in onda (giornalisti, operatori, montatori) è in straordinario notturno. Cancellarlo? Impossibile. L’Usigrai, onnipotente sindacato dei giornalisti Rai, ha come primo comandamento “non si tagliano le edizioni”, perché farlo sarebbe un vulnus alla completezza del Servizio pubblico, ma anche, più sommessamente, perché le redazioni regionali rappresentano il bacino di consenso più cospicuo del sindacato stesso. Con un organico di 663 giornalisti, la TgR è la redazione più grande d’Europa. Letto bene: la redazione più grande d’Europa. Guai a prenderla in contropelo. Oltretutto, è il terzo tg più visto dell’arena, dopo Tg1 e Tg5, e con ascolti doppi rispetto al Tg La7 di Enrico Mentana. Quella delle sedi regionali è un’altra delle peculiarità del gigantismo Rai. Ci sono 24 redazioni, anche se le regioni d’Italia sono 20 (duplicazioni in Sicilia, perché è lunga, e in Trentino-Alto Adige, per geopolitica), più altre 2 sedi distaccate (Udine in Friuli e Sassari in Sardegna). In Gran Bretagna e Francia sono rispettivamente 15 e 13. Ogni sede è un presidio rilevante sul territorio, non proprio immune dalle influenze della politica che governa in loco, e con standard di efficienza rivedibili. Ci sono stabili con interi piani deserti, camion per le riprese che vanno benone per la trasmissione di grandi eventi e parate, un po’ meno per la cronaca quotidiana o le emergenze. I mezzi satellitari leggeri, detti “zainetti”, sono da poco in dotazione quasi ovunque ma capita che occorrano quattro firme diverse per poterne utilizzare uno».
Tutta questa potenza di fuoco resta inesplosa. La Rai non va dove va il mondo dell’industria e del digitale. La Rai resta il giardino della casa politica italiana, pagata da (quasi) tutti gli italiani, mamma in crisi ma dalle poppe sempre generose. Il latte versato e spesso buttato, come hanno fatto i pastori sardi in protesta, è l’assegno in bianco che siamo chiamati ogni anno a firmare per sostenere «uno smartphone usato soltanto per telefonare. E le altre funzioni? Domani, magari. Il problema è che il domani è adesso», sostiene Verdelli che, adesso, dalla plancia di comando di Repubblica potrà riascoltare le vecchie radiocronache, la poesia di Ciotti, la voce squillante di Ameri e andare in bagno, se vuole, senza essere ripreso. La Maggioni e la suora sono soltanto un doloroso ricordo.
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