Francesco Borgonovo, la macchina e l'uomo
Il libro del giornalista andrebbe studiato per opporre, al pensiero unico del progresso a tutti i costi, almeno una qualche domanda capace di incrinare le sicurezze, le certezze, la boria di chi non torna indietro
Francesco Borgonovo ha scritto un libro intelligente. Non di una intelligenza artificiale, ma umana, troppo umana, terribilmente umana. A difesa dell’uomo, del suo essere uomo. Fermate le macchine! Come ci stanno rubando il lavoro, la salute e perfino l’anima, edito da Sperling & Kupfer, non è uno slogan e neppure un allarme, bensì assurge a imperativo categorico. Come dire: fermatele davvero, sennò andiamo a finire molto male, se non ci siamo già andati. Lo fa con ritmo giornalisticamente intenso, attingendo a una miniera di informazioni, rendendo evidente al lettore che non è più possibile, ai nostri giorni, viaggiare e digitare inconsapevolmente. Diventa persino un libro di studio, nel senso che andrebbe studiato, dentro e fuori la scuola, per opporre al pensiero unico del progresso a tutti i costi, almeno una qualche domanda capace di incrinare le sicurezze, le certezze, la boria di chi non torna indietro. È un libro che riguarda l’uomo, che lo interpella, poiché prima di finire stritolato negli ingranaggi, come dimostra la bella copertina, è l’uomo che costruisce la macchina, è l’uomo, soltanto l’uomo, che può fermarla, prima di esserne decostruito e annientato.
Scrive Mario Giordano nella prefazione: «Io non sono un algoritmo. Io sono carne, sangue, sudore, caviglie gonfie e malinconia. Io sono quell'emozione che ho provato, quel sentimento che avevo e che avrò, la gioia di quando torno a casa la sera, io sono la paura di mia figlia prima di giocare a pallavolo, la sua felicità quando ha fatto punto, io sono il tremore che mi prendeva davanti al compito di matematica che poi è lo stesso che ora prende lei. Io non sono un algoritmo. Io sono vita. Unica. Pensiero. Io sono io. E le formule matematiche perfette, gli algidi cervelloni high tech, le elaborazioni più sofisticate, potranno imitarmi in tutto, potranno sostituirmi, togliermi il lavoro, guidare la mia auto, prendere il mio posto nella società. Ma non potranno mai essere me. Non potranno mai essere quello che io sono e che resterò. Forse per sempre. Ho letto il libro di Francesco Borgonovo come si legge un inno alla vita».
Certo, perché di inno alla vita si tratta, ma Giordano bene ha fatto a mettere quel “forse” davanti a “per sempre”. Forse, in quanto la potenza della tecnica sembra non avere limiti, il rovesciamento tra mezzi e fini ha determinato la corsa irrefrenabile, all'impazzata, di un mondo che corre, corre, corre senza sapere dove. È la filosofia, insegna Emanuele Severino, e non la scienza a rivolgersi al senso della vita: «Vado mostrando da tempo l’inevitabilità del processo che conduce al dominio della tecnica sulle forze che ancora intendono servirsi di essa. Qui possiamo accennare al processo a cui non si presta mai la dovuta attenzione. Tali forze si combattono, e ognuna, per prevalere, è costretta ad assumere come scopo il potenziamento della frazione dell’apparato tecno-scientifico da essa gestito. Quindi sono costrette a rinunciare ai loro scopi – e quindi a perire. Possono rimanere come mezzi più o meno sostituibili. L’incremento senza fine della potenza è destinato a diventare lo scopo del Pianeta. Nessuna di quelle forze può avere pertanto la capacità di regolamentare quell'incremento. È esso a regolamentare sé stesso, cioè a espungere tutto ciò che lo ostacola o lo rallenta».
A espungere il lavoro, la salute e persino l’anima. A espungere tutto ciò che ostacola e rallenta. La tecnica non vuole né ostacoli né rallentamenti. Non ha tempo da perdere, la tecnica. E i tecnoentusiasti, come li definisce Borgonovo, proliferano. Non hanno consapevolezza del disastro che preparano, sono parte del disastro. Invece, occorre l’osservatore distaccato, ma anche l’uomo che ha il senso del timore, del timore di sé e di ciò che può produrre. Semplicemente con un clic. Non a caso, cambiare i geni con un clic è tra i capitoli più interessanti del libro, al pari di braccialetti al polso, anelli al naso, di il cellulare a scuola, prima di approdare alle conclusioni che invitano e ammoniscono a non dimenticare mai gli esseri umani.
Si può scrivere un libro intessuto di elementi di cronaca, di riferimenti statistici, di dichiarazioni altisonanti in un contesto di ideologia dominante, di potenza tecnologica dominante, e di rapportarli alla declinante condizione umana, al pericolo mostruoso cui sembra essersi votato l’uomo. Borgonovo ci riesce splendidamente perché parte dalla quarta rivoluzione industriale, come l’ha definita Klaus Schwab, fondatore e presidente del World Economic Forum di Ginevra, ne enuncia tutti gli effetti distorsivi e, soprattutto, senza mai dimenticare l’uomo. Anzi, è l’uomo che scrive, è l’uomo che legge, è l’uomo del quale si avverte il respiro affannoso, pagina dopo pagina, macchina dopo macchina. Chi fermerà la musica, cantavano i Pooh, senza punto interrogativo. Chi fermerà le macchine? Qui il punto interrogativo ci vuole tutto. Purtroppo.
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