Giampiero Mughini, memorie di un fuoriclasse
L’ultimo libro del noto giornalista e scrittore ripercorre i momenti cruciali di una storia non facile, di racconti complicati, di incontri e di letture in grado di cambiargli la vita. È il libro su un mondo finito, ma ancora vivo
Memorie di un rinnegato, per i tipi Bompiani, sono le memorie di un fuoriclasse, di un siciliano fornito di spina dorsale non piegabile ad alcuna occasione, che già dal lontano 1987, con Compagni, addio, edito da Mondadori, anticipò la caduta di tutti i muri, la fine delle Grandi Cause, delle Grandi Battaglie, sostituendole con le piccole cause, con le piccole battaglie che poi sono davvero Grandi, quelle per superare la dura quotidianità, quelle che da mane a sera dicono chi sei, cosa vuoi, che ci stai a fare su questa terra. E poco importa se resti solo, se ti rinnegano, se gli amici se ne vanno dopo inutili serate. Allora, un libro da leggere e uno da scrivere, una prima edizione da scovare nelle botteghe antiquarie, l’articolo da consegnare prima che faccia buio, la partita dell’amata Juventus, una cenetta con un’amica, un film da non perdere, i cani da coccolare più degli umani, arrivare puntuale a un appuntamento, diventano gli unici relativi assoluti che danno colore e sostanza all’esistenza. Basta con le assemblee, con le adunate, con le urla, con le occupazioni, con i giornali nati per cambiare la storia! La vita è altrove e quell’attacco: “Firma, notaio, firma. Lo voglio mettere per iscritto questo addio, questo gesto solenne e che vuole essere senza ritorno, questo addio a vent’anni di furori, a vent’anni di discussioni e contrapposizioni dalle quali uscivo tremando di rabbia e senza voglia di toccar cibo, questo addio ai volti e ai valori della Sinistra che hanno segnato la mia vita, di uno dei tantissimi figli del secolo delle ideologie” mi fece sobbalzare sulla sedia, giovane ventenne, e lo associai, qualche anno più tardi, per altro verso, ma per la stessa passione e intensità, all’attacco di Appunti partigiani. 1944-1945 di Beppe Fenoglio: “-Tórnaci. Se te la senti, tórnaci. Ma sappi che ogni volta passeranno con camion e mitraglie e cani per quelle colline dove tu sarai, io mi sentirò morire. Ora vai”.
Giampiero Mughini, trentadue anni dopo e nessuna vita dopo, torna a raccontare da dove viene, per quali percorsi si è inerpicato, quante volte si è fatto scoglio per tentare di arginare il mare, dov’è arrivato, posto che da qualche parte si arrivi. Queste memorie non sono pagine di bilancio, ma di vita, di vita non facile, di rapporti complicati, di un lavoro da cui cavare il pane, di incontri e di scontri, di letture e di telefonate che hanno la forza di cambiartela, la vita. La vita che a Catania, città natale, aveva un sapore, a Parigi un altro, a Roma un altro ancora. Mughini è tornato, si è sentito di tornare dove la battaglia è stata a volte cruenta, dove a volte si è sentito morire ma non avrebbe saputo e potuto e voluto immaginarne un’altra, di vita. Scrive di un mondo finito, Mughini, eppure ancora vivo se è vero che quel mondo è ancora in grado di prorompere dalle sue viscere e di approdare magicamente sulla pagina a costituire l’ennesimo libro, non credo l’ultimo, della sua vita.
Se è vero che la sua giovinezza si è conclusa con la morte di Claudio Rinaldi, il direttore più stimato, è vero che la stessa ritorna tra i pantaloni che ruscellavano di pioggia, i tasti della Olivetti dove battere i polpastrelli, la Rivista Giovane critica dove alimentare il sogno di un domani migliore, il treno lentissimo verso la città eterna, le seimila lire in tasca, i ventisei processi e le tre condanne con la sola colpa di aver consentito l’uscita di un periodico di “Lotta continua”, la morte del Commissario Luigi Calabresi, il sangue sparso dai terroristi, via Fani, le redazioni da cambiare senza smettere l’impermeabile, le lezioni di Lamberto Sechi sull’attacco di un pezzo ("Firma, notaio, firma…"), la stima per Bettino Craxi e la venerazione per Indro Montanelli, la scoperta della televisione e della popolarità, la politica che declina da quando i magistrati decidono di rivoltare l’Italia come un calzino, la carta vivida che si tramuta in un triste display. E oggi? Oggi, “rispetto del codice civile e penale, ascoltare con attenzione se uno ti parla, mettersi in fila tutte le volte che è necessario, questo è quanto pretendo oggi da chi mi sta di fronte. Tutto il resto, quel che è da fare e da decidere, in questo po’ po’ di pandemonio che è l’Italia eternamente lacerata tra la California e Bagdad, lo studieremo e lo valuteremo assieme. Nessuno ha in tasca ricette infallibili”. Era la chiusura di Compagni, addio, potrebbe essere la chiusura di Memorie di un rinnegato, poiché la vita, come certi amori, fa dei giri immensi prima di tornare a ciò che eri, a ciò che hai sempre sentito di essere. Un fuoriclasse.
Il Foglio sportivo - in corpore sano