Nicolás Gómez Dávila, l'aristocrazia dell'intelligenza
"Escolios a un texto implícito I e II" e "Notas", sono i tre volumi del grande scrittore colombiano editi da Gog, per attingere la forma e la chiarezza, per consentire al pensiero di assurgere a eternità permanente
Nicolás Gómez Dávila irrompe con tutta la sua forza. Ci sono tre libri, editi da Gog, che consentono di misurare la grandezza, di prenderne atto e di trasmetterla, se ne avrete voglia, a chi più vi aggrada. Escolios a un texto implícito I e II e Notas. Per i primi due, versione italiana e note di Loris Pasinato, abbiamo una prefazione di Gennaro Malgieri e un’introduzione di Alfredo Abad; per il terzo, sempre a cura di Pasinato, l’introduzione è di Franco Volpi. Tre volumi, milleduecento pagine circa, la miniera del pensiero che si offre a chi non ha fretta, a chi non legge per l’oggi ma per il sempre, a chi non blatera di conservatore e reazionario, a chi predilige qualcosa destino a restare, a sopravvivergli dopo averlo nutrito.
Scrive Malgieri: «Che Gómez Dávila sia stato anche ‘esteticamente’ al di là del tempo ormai non è più un mistero, né materia per dispute filosofiche o esistenziali. Sostanzialmente autore di un solo libro – la monumentale raccolta degli Escolios -, lo scrittore non aveva di vista il successo, la grande notorietà, l’affermazione letteraria e accademica, l’ambizione di diventare un maestro o una guida spirituale, men che mai ‘politica’. Aspirava semplicemente a far arrivare la sua voce oltre le mura della megalopoli intellettuale saccente e corrotta dalla prassi, popolata da mediocri chierici del democratismo totalitario. Già nelle Notas, prime prove della sua capacità di sintesi nelle quali dava conto dei ‘colloqui’ che fin dalla giovinezza aveva intrecciato con gli Immortali, pagani e cristiani, per rinvenire e smascherare le aporie della modernità e scarnificarle fino a demitizzarle ed annichilirle con una logica ora tagliente ora corrosiva, rivelava il suo chiaro obiettivo: “Non è un’opera ciò che intendo lasciare. Le uniche che mi interessano si trovano a una distanza infinita dalle mie mani. Vorrei però lasciare un libriccino che, di tanto in tanto, qualcuno apra. Un’ombra tenue che seduca poche persone. Sì! Affinché una voce inconfondibile e pura attraversi il tempo”».
In realtà Dávila ha lasciato una grande opera e c’è chi, come alcuni, non la apre di tanto in tanto, ma la tiene ferma dentro la mente, a disposizione di ogni attimo per attingere la forma e la chiarezza, per consentire al pensiero di non vagare inutilmente, di assurgere a eternità permanente. Aggiunge Alfredo Abad: «Concentrato in un senso immanente, individuale, spiegabile ed autonomo, l’uomo moderno dà le spalle al mistero del mondo, all’ampia gamma della sua incertezza. L’impugnazione quindi dell’autonomia, della divinizzazione dell’umano è precisata dall’assimilazione dell’uomo entro una considerazione tragica che rompe con gli orientamenti teleologici trasmessi dalla modernità. Per questo si trova ad affermare che. “Ragione, Progresso e Giustizia sono le tre virtù teologali dell’imbecille”. E Gómez Dávila è convinto di questo perché infatti egli postula un’idea interamente tragica dell’esperienza umana».
È Franco Volpi a definire la voce di Dávila “inconfondibile e pura”, poiché «ci sono scrittori che sembrano provenire dal nulla. Che germogliano imprevedibilmente da ambienti che sono loro estranei, senza essere stati preparati da nulla e da nessuno, senza precedenti, senza appartenenze o segnali di riconoscimento utili per definirli. Eccentrici, scomodi e irregolari, risultano inclassificabili, e per la stessa ragione inconfondibili». E aggiunge: «L’universo creato da quest’opera, dove stile e idee si addensano in solida unità, si presenta come un recinto chiuso: non c’è passo razionale né deduzione logica che possa servire per entrarvi. L’unico modo per farlo è lanciarvisi dentro. Comprendere, in questo caso, è veramente una questione di empatia, di saper addentrarsi nella logica insita nelle idee dell’autore, conciliando intuizioni e visioni, simpatie e idiosincrasie, predilezioni e anatemi».
Lanciamoci, allora, senza alcun paracadute dentro l’opera di Dávila, aristocratico e intelligente, fondatore di un’unica scuola: l’aristocrazia dell’intelligenza. Sono ancora pochi gli iscritti. Accorrete, accorrete felici, ma solo dopo averlo letto e riletto, letto e riletto: «Niente al mondo si perde per noi, se abbiamo un possesso profondo di una sola cosa». E l’unica cosa che serve possedere è l’aristocrazia dell’intelligenza.
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