Roberto Esposito, il pensiero istituente
Mentre si annuncia il prossimo libro, ripercorriamo l’itinerario di uno dei nostri filosofi più illuminati, tra i protagonisti dell’Italian Thought, dall’ampio respiro internazionale. Dall’impolitico all’impersonale, da communitas-immunitas-bios alla negazione, il destino dell’Europa è al centro della sua riflessione
Pensiero istituente sarà il titolo del prossimo libro, in uscita a gennaio da Einaudi, ma Roberto Esposito, che pure mantiene i piedi ben ancorati sul nostro suolo e non gioca a fare l’esterofilo, è uno dei filosofi italiani dal più ampio respiro internazionale. Se tradurre vuol dire tradire, egli non si è sentito tradito né all’estero né in Italia, «anzi mi pare che il mio lavoro sia stato anche troppo valorizzato in patria e fuori, come testimoniano anche alcune critiche palesemente ‘risentite’. Come ha spiegato in maniera insuperabile Nietzsche, il sentimento più irresistibile – ma anche più mediocre – degli uomini è il ‘risentimento’. Che va accettato e compreso nei suoi lati fin ‘troppo umani’». Tra i protagonisti dell’Italian Theory, o Thought che dir si voglia, è chiamato spesso a chiarirne il significato: «È il nome collettivo dato in America e poi altrove a una serie di elaborazioni – essenzialmente l’operaismo e la biopolitica – di alcuni autori italiani contemporanei che hanno, pur diversamente, interpretato tali categorie. Naturalmente la filosofia italiana contemporanea è assai più ricca. Comprende, per esempio, una linea di pensiero analitica e una metafisica. Ma la prima in America non è certo una novità. La seconda, che pure conta opere significative, non è sostanzialmente compresa nei suoi presupposti e nei suoi argomenti fuori dall’Italia».
La parabola filosofica di Esposito ha spesso incrociato l’Europa, i suoi drammi e le sue speranze. La crisi che la investe non è soltanto di natura economica, poiché «è una crisi istituzionale – delle istituzioni europee, palesemente inadeguate – e biopolitica, nel senso che coinvolge questioni letteralmente di vita e di morte, in particolare per quel che riguarda i flussi migratori. Infine, se si considera la questione sul piano più generale dei valori fondativi dell’Europa, si può ben parlare di crisi di civiltà. L’unico modo di affrontarla con qualche speranza di uscirne è riconoscerla in tutta la sua portata». Se Benedetto Croce parlava con il mondo da Napoli, c’è ancora chi ci prova con successo, «penso in particolare al mio amico e maestro Biagio de Giovanni», ed Esposito, come de Giovanni, si interroga e interroga, soprattutto attraverso i suoi ultimi libri, se possa esistere l’Europa senza filosofia: «Tra Europa e filosofia vi è un legame originario e costitutivo. Non solo nel senso che la filosofia – almeno la tradizione filosofica occidentale – è nata e si è sviluppata in Europa. Ma anche nel senso che, non avendo il nostro continente confini certi a est, l’identità dell’Europa è stata per certi versi definita anche dal pensiero – vi è un’idea di Europa più di quanto non vi sia un’idea di Asia o di Africa. Del resto la filosofia ha avuto un ruolo decisivo in tutte le grandi crisi europee, da quella dell’impero romano, interpretata magistralmente da Agostino, alle guerre di religione, da cui nasce il pensiero di Hobbes e Cartesio, alla rivoluzione francese, anticipata dall’Illuminismo e interpretata da Kant e Hegel, fino allo scontro, anche filosofico, tra democrazia e totalitarismo».
Se la tradizione filosofica italiana «ha tanti vettori – metafisici, logici, scientifici, artistici e tanti volti diversi e irriducibili a un’unica linea, non c’è dubbio che l’aspetto prevalente sia costituito dal pensiero civile e politico, dall’Umanesimo fiorentino fino a oggi. Non per nulla nel mondo gli autori italiani più letti, oltre che Dante, sono Machiavelli e Gramsci». Communitas, immunitas e bios sono le tre parole che attraversano una parte rilevante del suo pensiero filosofico. Ridefinirle a beneficio del lettore non è mai superfluo: «‘Bios’ è parte – e anzi la categoria costitutiva – della semantica biopolitica, originata dagli studi di Foucault, che ho cercato di rielaborare appunto incrociandola con il paradigma di ‘immunitas’, a sua volta legato, per contrasto, a quello di ‘communitas’. Entrambe – ‘communitas’ e ‘immunitas’ – si originano dal termine latino ‘munus’, che significa ‘ufficio’, ‘dono’, ‘cura’, ma communitas in senso affermativo (coloro che si impegnano nei confronti degli altri), immunitas in senso negativo (coloro che sono esentati dall’impegno comune e protetti dai rischi della coesistenza). Naturalmente parlo del significato originario di questi termini, oggi piegati ad altri significati».
Pier Paolo Pasolini, sulla biopolitica, dice più e meglio di tanti filosofi e a Esposito non sfugge l’importanza dell’intellettuale italiano, in quanto «pur non usando quel termine, l’intera opera di Pasolini è interpretabile come un continuo confronto tra vita, politica e arte. La sua stessa vita, e anche la sua morte, sono state intese da alcuni come un’opera, la sua opera più grande. L’ultimo suo, straordinario, film, ‘Salò-Sade’, può essere visto come il culmine della tanatopolitica, vale a dire di una biopolitica rovesciata e corrotta nel suo opposto assoluto – politica della morte». Ma oltre a communitas, immunitas e bios, altre parole segnano l’itinerario filosofico di Esposito. Penso a impolitico, «se si prescinde dal modo in cui Thomas Mann, nelle sue omonime ‘Considerazioni’, ha usato il termine, per ‘impolitico’ deve intendersi il margine esterno del politico, inattingibile politicamente perché irrappresentabile in termini di potere. Il che non toglie che vi sia sempre una tensione tra politico e impolitico, bene interpretata per esempio da Max Weber nella sua conferenza sulla politica come professione/vocazione. È la stessa tensione che passa tra diritto e Giustizia – nessun diritto può essere ‘giusto’. Tuttavia ogni diritto tende all’‘impossibile’ congiunzione con la Giustizia» e a terza persona, «un modo per alludere all’impersonale. Gilles Delueze usa questo termine per decostruire il paradigma di ‘persona’. Ma, in una chiave diversa, anche Benveniste si sofferma sulla differenza tra la terza persona e le prime due, caratterizzandola appunto come la persona dell’impersonale, irriducibile al rapporto ‘io’-‘tu’». Per afferrare il concetto di impersonale, Esposito si è servito di Simone Weil: «Il suo è un contributo decisivo. In un suo testo, teso a decostruire l’idea di persona nei suoi effetti di esclusione, Weil scrive che tutto ciò che è sacro nell’uomo è appunto quanto in lui vi è di impersonale».
In tempi in sui si dibatte sulla fine della politica, politica che comincia con Machiavelli, altro suo autore di riferimento, Esposito precisa: «La politica non può finire né finirà mai, visto che gli uomini si rapporteranno sempre, certo in modi diversi, tra loro. Anche il pensiero sulla politica non ha un termine. È qualcosa che chiede continuamento di essere rinnovato. A questo proposito vorrei segnalare la recente pubblicazione del primo numero di un ‘Almanacco di filosofia politica’ edito da Quodlibet, che costituisce un tentativo di rinnovare radicalmente il pensiero sulla politica, ponendo al centro la questione dell’istituire. ‘Pensiero istituente’ sarà il titolo del mio prossimo libro, in uscita a gennaio da Einaudi». Per il filosofo napoletano esiste politica senza nemico, perché «diversamente da quanto sostiene Carl Schmitt, la vera politica esclude l’idea di ‘nemico’, che appartiene all’orizzonte della guerra. Ma non esiste politica senza un avversario o senza opposizione. Il potere genera sempre una resistenza. Il conflitto, ben diverso dallo scontro bellico, è una categoria costitutiva del politico quanto l’ordine. Al punto che si può sostenere, come fa Machiavelli, che non c’è ordine senza conflitto. Il conflitto, come è stato detto, istituisce l’ordine, nel senso che dà espressione alla divisione originaria che taglia la società conferendo identità alle sue parti avverse». Esposito ritiene che non sia possibile uscire fuori dal linguaggio teologico-politico, poiché «tutto il lessico politico moderno – e per certi versi anche quello filosofico – è originariamente pensato in termini teologici. La stessa ‘secolarizzazione’ è una categoria che presuppone la teologia che intende ‘secolarizzare’. Ciò non toglie che si possa lavorare per aprire dei varchi nella macchina della teologia-politica in cui siamo ancora prevalentemente presi».
Per affrontare il nervo sempre scoperto della negazione, per approdare a una filosofia dell’affermazione, è utile il pensiero di Spinoza, «autore di straordinaria importanza. La sua vuole essere una filosofia radicalmente affermativa, senza però mai dimenticare che ‘determinatio negatio est’, cioè che la determinazione di qualsiasi cosa ha dentro di sé il negativo. Anche se in una forma ben diversa rispetto a quella della dialettica hegeliana. Un compito urgente del pensiero contemporaneo è quello di pensare affermativamente alcune categorie apparentemente negativo come quelle di ‘differenza’, ‘determinazione’, ‘opposizione’. Un punto centrale di questo transito logico e semantico è costituito dalla categoria di ‘istituzione’ – che va pensata in una chiave non conservativa, ma innovativa e produttiva».
Per chi volesse accostarsi allo studio del potere, Esposito suggerisce la lettura di Canetti e Foucault, senza preferire l’uno all’altro: «Non stabilirei un primato tra due dei maggiori autori novecenteschi. Sulla questione del potere vanno letti insieme, in forma quasi speculare. Canetti legge il potere nei suoi termini ‘eterni’, interessato ai suoi aspetti ricorrenti. Foucault nei suoi termini storici, attento alle sue continue mutazioni». Il pensiero italiano, nonostante tutto, è destinato a restare un pensiero vivente (titolo di un suo libro avvincente) ma, per Esposito, «va detto senza nessuna enfasi patriottica. Ogni tradizione di pensiero trae la propria linfa dal rapporto e dalla tensione con tradizioni diverse». Aspettiamo gennaio, aspettiamo Pensiero istituente…, altra occasione per alimentare il dibattito sulla crisi della nostra contemporaneità, per offrire soluzioni a chi vorrà utilizzarle. Provengono da uno dei nostri filosofi più illuminati.
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